TRENTA

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Beth e Geoff vengono a cena da noi la sera stessa. Quando ho sentito la parola "svolta" è stato come riacquistare tutta la speranza che stavo perdendo; ma poi, appena ho visto le loro espressioni serie, ho capito che non sarebbe stato così semplice.

Mangiamo un pasticcio di pasta che ha preparato mamma alla maniera australiana, ma nessuno di noi sembra avere molto appetito. Durante la cena cerchiamo di mantenere l'argomento di conversazione su un terreno tranquillo. Solo quando prendono il caffè iniziano a parlarci della "novità" in questione: Dom è stato scelto per una cura sperimentale contro la fibrosi cistica.

«Per prima cosa, gli dreneranno di nuovo i polmoni» spiega Geoff. «Poi useranno una cura a base di Timosina alfa 1 e altre proteine per contrastare l'infezione. Se va a buon fine, dovrebbe arrestare completamente lo sviluppo della malattia.»

«Funzionerà?» chiede Dan.

«Ha meno del quaranta percento delle possibilità di riuscita. E comunque, i giorni dopo l'operazione saranno il momento più critico di tutti. Se la Timosina reagisce in modo errato con le altre proteine, il farmaco potrebbe anche ucciderlo.»

"UCCIDERLO? Oh, no..."

Dopo diversi istanti di silenzio, mamma chiede: «Avete già preso una decisione?»

«Abbiamo firmato il consenso poche ore fa» mormora Beth. «Domattina lo opereranno.»

Li guardo sconvolta.

«Non potevamo fare altrimenti» dice Geoff. «I dottori hanno detto di non aver mai visto nessuno sopravvivere a una simile ricaduta da fibrosi cistica. L'infezione è in continuo sviluppo. Se c'è una speranza, è solo questa cura.»

Io mi stringo a mamma. Una parola di troppo e temo che crollerò.

«Possiamo andarlo a vedere, domani?» le chiedo con un filo di voce.

«Ma certo che ci andiamo, tesoro.»

La ringrazio con lo sguardo.


Passare la notte è un'impresa. Continuo a chiedermi come andrà l'operazione e, soprattutto, se Dom ce la farà. Quasi non chiudo occhio e, le uniche volte che ci riesco, finisco solo per fare incubi terribili, fino al suono della sveglia.

Per aggiungere al danno la beffa, restiamo anche imbottigliati nel traffico del mattino, così arriviamo in ospedale dieci minuti dopo l'inizio dell'operazione, senza che abbia avuto il tempo di augurare buona fortuna a Dom.

Restiamo ad aspettare fuori dalla sala operatoria per un tempo che sembra infinito. Non riesco a provare niente, se non ansia. Un sacco di ansia.

Oltre a noi, ci sono tutti i famigliari di Dom. C'è anche una bambina piccola, che credo sia la cuginetta. È davvero piccola; ma bellina da matti. Così magrolina, con i codini biondi e gli occhi azzurri, mi ricorda proprio Dom. Il vuoto dentro di me si allarga. Sta giocando con una Barbie, tubandole cose che capisce solo lei, quando solleva lo sguardo. Rimaniamo a fissarci per alcuni istanti, poi lei scende dalla sedia, abbandonandoci sopra la Barbie, e trotterella nella mia direzione. Si ferma proprio davanti a me, guardandomi con grande curiosità. Per la prima volta dopo giorni, mi viene da sorridere. Lei allunga le piccole braccine verso di me, come se volesse essere presa in braccio.

Che strano. Non ho mai fatto questo effetto ai bambini. Io ho sempre detestato questi piccoli esseri rumorosi e piagnucolosi, e loro sembravano detestare me. Eppure, stavolta è diverso. Provo una nuova sensazione di tenerezza, vedendo questa piccolina che desidera un contatto con me. Sua madre ci sta guardando, sorridendo. Le chiedo il permesso con lo sguardo e lei risponde annuendo.

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