QUATTRO

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Quando mi sveglio, il fastidioso trillare della sveglia mi ronza dentro il timpano. Avrei una voglia matta di tirarla contro il muro, ma siccome è quella del cellulare, mi limito a spegnerla toccando lo schermo. Mi concedo alcuni minuti per riprendere conoscenza, poi mi alzo e vado in bagno. In un quarto d'ora mi sono fatta la doccia, lavata i denti e pettinata.

Mamma e Dan sono seduti al tavolo in cucina.

«Buongiorno a tutti!» li saluto.

«Buongiorno, tesoro!» Mamma mi allunga una tazza di caffellatte e mi bacia sulla guancia.

Passo dietro a Dan dandogli un bacio e mi siedo accanto a lui. Il suo sorriso mi tira lievemente su di morale.

«Emozionata, piccola?» mi chiede.

«Emozionata non è la parola adatta» mormoro. "Agitata" suona meglio. "Terrorizzata" ancor dipiù.

Non ho per niente fame, ma riesco lo stesso a mandare giù uno yogurt alla fragola e a finire il caffellatte. I miei sono visibilmente eccitati per il loro primo giorno di lavoro qui a Sydney. Certo, se andassi a scuola con persone che conosco già da una vita, stamattina sarei anch'io più tranquilla. Ma, purtroppo, non è il mio caso.

«Sicura che non vuoi andare in autobus, tesoro?» chiede Dan alla mamma.

«No, caro» risponde. «L'ufficio è abbastanza vicino per andarci a piedi. Anzi, oggi vedo quanto tempo ci impiego da casa, così potrei farlo tutti i giorni e tenermi anche in forma, no?»

«E noi non correremo il rischio di vederti comprare una brutta macchina!»

«Non ci contate!» ribatte, bevendo il caffè.

Finito di fare colazione, preparo lo zaino mettendoci solo un block notes e una penna. Ieri sera mi sono anche preparata i vestiti, per non perdere tempo in una cosa che detesto. Purtroppo, come quasi tutte le scuole australiane, anche in questa è obbligatoria la divisa. Per fortuna, almeno, non è uno di quei ridicoli completini da scolaretta che ho visto spesso sui miei libri di scuola. Maglietta a maniche corte gialla con le spalline verdi e lo stemma della scuola stampato su un lato del petto. Gonna verde a pieghe, munita di tasche.

Mi allaccio le All Star e contemplo la mia immagine allo specchio. Non mi piace questa divisa. Mi sembra di essere un limone, con la parte inferiore ammuffita. Come se non bastasse, mi è anche cresciuto il seno, e il tessuto aderente della t-shirt non è proprio l'ideale per nasconderlo. Odio mostrare il mio corpo, ma, visto che non ho altra scelta, dovrò cercare di ignorare il pudore e accontentarmi. Almeno la divisa è comoda. E poi, non sarò l'unica a indossarla.

Si dice che il modo in cui ci si veste può influenzare l'idea che gli altri si fanno di noi, soprattutto se è la prima volta che ci si incontra. Certo, come se noi e ciò che ci mettiamo addosso fossimo la stessa cosa. Giudicare le persone al primo sguardo sembra una specie di malattia venerea che infetta tutte le persone del mondo; un gene malefico del nostro DNA fatto apposta per considerare gli altri sbagliati.

Ecco uno dei motivi per cui sto bene da sola; e per cui non intendo adeguarmi al costume comune di farsi belli per dare una prima impressione positiva. Non mi truccherò nemmeno, per chiarire il concetto ai miei nuovi compagni di classe: ciò che penseranno di me sarà un problema loro, non mio. Mi metto l'orologio e infilo gli occhiali da sole.

Dan fa capolino dalla porta. «Pronta, tesoro?»

«Pronta. Andiamo.» Mi infilo lo zaino in spalla e lo seguo di fuori. Per andare da casa al nuovo studio di Dan si prende la stessa strada che passa per la mia nuova scuola, quindi stamattina andremo in autobus assieme, almeno finché non arriverà la sua macchina. E spero davvero che arrivi in fretta. Odio andare in autobus; troppa gente chiassosa di prima mattina, mentre io devo ancora svegliarmi del tutto.

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