Mi sveglio diverse ore dopo, con la luce del sole che filtra nella cabina.
«Buongiorno, dormigliona!» Dan è già sveglio, e mi saluta con il suo sorriso irresistibile.
«'giorno» rispondo fiaccia.
«Dormito bene?»
«Stranamente, sì» faccio, stiracchiandomi. Noto che manca la mamma.
«È andata in bagno» risponde alla mia domanda inespressa. «Qualcosa da bere?»
«Avrei propria voglia di un energy drink...» mormoro, sapendo che mamma non me lo lascerebbe mai bere appena sveglia.
Dan fa un sorrisetto e chiama le hostess alzando una mano.
«Se lo finisci prima che torna la mamma, tengo la bocca chiusa, d'accordo?» mi sibila da cospiratore.
Gli sorrido per la gratitudine e annuisco.
«Due succhi d'arancia e una Red Bull, grazie» chiede all'addetta, che pende dalle sue labbra.
Bevo un sorso dalla lattina lanciando qualche occhiata in direzione del bagno, e per fortuna la finisco ben prima che torni mamma.
«Buongiorno, tesoro!» mi sorride, bevendo un sorso di succo.
La caffeina e la taurina della Red Bull iniziano a fare effetto, regalandomi un briciolo di vitalità in più... per quel che valga in una situazione come la mia.
Mi giro a guardare di fuori. L'oceano si staglia ancora in ogni direzione, ma pochi minuti dopo gli altoparlanti ci informano che, a breve, inizieremo la fase di atterraggio. Il segnale luminoso si accende, invitandoci ad allacciare le cinture di sicurezza.
Mi stringo la cinghia attorno alla vita e recupero dallo zainetto i miei occhiali da sole oversize (li ho scelti apposta perché mi nascondono bene il viso). Il sole splende più intensamente del solito, ricordandomi che qui nell'emisfero sud è già primavera.
Dopo un po' l'oceano lascia il posto alla costa, ondulata e dalla sabbia chiara. I primi grattacieli di Sydney si delineano.
L'Aeroporto Kingsford Smith è collocato in mezzo a una baia circondata da edifici. Mi aggrappo ai braccioli, mentre iniziamo l'atterraggio: le piste si trovano in parte sull'acqua, e rendono la manovra più simile a un ammaraggio d'emergenza.
Anche se abbiamo volato ventuno ore in totale, le ruote toccano terra due giorni dopo la nostra partenza, considerando l'ora locale. Ci sono diciotto fusi orari di differenza dal Colorado, quindi non capisco se abbiamo guadagnato o perso un giorno della nostra vita.
Qualunque sia la risposta, per me non fa nessuna differenza. La mia vita è finita quando abbiamo lasciato l'America.
Recuperati i nostri bagagli, ci aspetta la parte che i miei temono più di tutte: i controlli. Abbiamo già visto qualche episodio di quei programmi sulla sicurezza negli aeroporti, e ormai sappiamo bene quanto siano sospettosi alla frontiera australiana. Ma stavolta non fanno storie. E così svanisce la mia ultima possibilità di tornare a casa.
Davanti all'uscita principale del Terminal 1 c'è una folla di eleganti chauffeur con in mano tablet e cartelli coi cognomi delle persone che sono venuti a prendere. Tra i tanti ne noto uno con scritto: "DAN, SUE & HEATHER GILMOUR" tutto circondato da cuoricini. Lo tengono in mano due colleghi di Dan, che corre loro incontro e li abbraccia stretti.
Ufficialmente, noi siamo stati gli ultimi a lasciare casa, per via delle varie stronzate da riorganizzare. I loro colleghi meno impegnati e i single (che poi le due cose coincidono quasi sempre) hanno fatto i bagagli per primi, e ormai dovrebbero vivere qui già da due o tre mesi, se non di più. Poi sono partiti quelli fidanzati (sempre che lo siano ancora) e quelli sposati; infine noi. Il grande vantaggio dei colleghi di Dan è che non hanno figli adolescenti. Gli unici quattro che ne hanno sono padri di bambini di uno, massimo due anni. I mocciosi non avranno le mie stesse difficoltà a ricominciare una nuova vita qui, no di certo.

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I LIVED
Literatura KobiecaQuando Hetty scopre che deve trasferirsi in Australia, il mondo sembra letteralmente crollarle addosso. A sedici anni, introversa, solitaria, senza amici, e con il divorzio dei genitori alle spalle, per lei la vita non è mai stata una bella esperien...