TRENTUNO

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Entro a tutta velocità al piano terra del St. Vincent's Hospital, dopo esser quasi impazzita ad aspettare l'autobus e aver corso come una velocista. Raggiungo subito lo sportello dell'accettazione.

«Dominic Warnecke, per favore!» ansimo, tossendo.

La stessa addetta dell'ultima volta mi sorride.

«Aspetta che cerco... Primo piano, stanza 13.»

«Grazie!»

Corro su per le scale facendo gli scalini a due a due. Trovo la stanza 13 e apro la porta, che sbatte contro il muro con un tonfo.

Si voltano tutti a guardarmi. Quasi non mi accorgo che i miei genitori sono già qui.

«Dom» sussurro.

È lì, seduto sulla sponda del letto, con indosso i vestiti puliti. Gli occhi azzurri luccicanti, e aperti.

«Hetty!» sorride.

Lancio un gemito fortissimo e gli corro incontro. Lui fa appena in tempo a scendere dal letto che mi sono già gettata fra le sue braccia. Lo stringo con tutte le mie forze, scoppiando in un pianto violento e liberatorio. È come se mi avessero levato una montagna dal petto.

«Mio Dio, sei vivo!» singhiozzo in estasi. Senza staccarmi da lui mi tiro indietro per guardarlo in faccia, come se ancora non ci credessi. Quei meravigliosi occhi di cielo mi stanno fissando entusiasti. Sento le nostre madri piangere.

«Credevo di averti perso.» Mi asciugo le lacrime e mi sciolgo da lui.

«Sono qui, Hetty. E non sono un ologramma. Senti.» Mi dà un bacio casto sulle labbra, che basta a infiammarmi. Sì, è qui. Ed è vivo.

«Riesci a essere ironico anche in un momento come questo, tesoro.» Mia mamma lo guarda adorante.

«Quando siete arrivati?» le chiedo.

«Mezz'ora fa.»

«Mezz'ora?»

«Meglio se vi lasciamo soli un po'» propone Beth. «Chiamateci, se vi serve qualcosa. Siamo qui fuori.»

Escono tutti dalla stanza. Il sollievo è evidente sui volti di tutti, e come dare loro torto? Io mi sento senza peso.

Rimasti da soli, finalmente, ci baciamo. Il bacio è lungo, intenso, bisognoso, come se ci nutrissimo l'uno dell'altra. Appoggio la fronte alla sua, ansimando. Dio, quanto mi erano mancate le sue labbra.

«Da quanto sei sveglio?» è la prima domanda che gli faccio.

Stringe i denti. «Da lunedì pomeriggio.»

«Da lunedì?!» esclamo. «Ma... come? Tua mamma mi aveva scritto...»

«Non è stata mia mamma» spiega. «Sono stato io, con il suo cellulare. I miei parenti erano gli unici a sapere che ero già sveglio.»

Lo guardo, incredula e confusa.

«Dom... perché l'hai fatto?» piagnucolo. «Ho avuto tanta paura!»

«Perdonami.» Mi stringe a sé. «Ma cerca di capire: mi ero appena svegliato, non riuscivo ancora a respirare senza ossigeno, e un'infinità di altre stronzate. Volevo riprendermi ed essere nel pieno delle forze, prima di rivederti.»

Faccio un gran respiro e lo abbraccio. Non posso non perdonarlo, dopo questa rivelazione, ma se penso a tutto il dolore che ho provato...

«Ti giuro che questa non la passi liscia!» lo avverto. «Vedrai, mi vendicherò mentre dormi!»

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