'Io credo che esista una cattiveria sana, e una malata e nociva', ribattei.

Lei sorrise e si appoggiò con le mani alla scrivania di fronte allo stesso modo di un uomo in carriera, le mancavano solo i pantaloni, una giacca e una cravatta e poi mi sarei sentito a tutti gli effetti ad un colloquio di lavoro.

Sorrise e disse con ironia: 'Vedo che iniziamo a capirci'.

Riprese: 'Comunque, sviluppai in quel periodo una curiosità quasi infantile per il posto che mi circondava. Sentivo che c'erano molti luoghi inesplorati che aspettavano soltanto di essere scoperti. Sentii al telegiornale di una donna anziana che era morta in una villa più su perché era caduta in un sentiero pericolante. In seguito alla vicenda, naturalmente lo resero inaccessibile. Io aspettai qualche settimana, e poi lo andai a cercare. Ci misi cinque giorni a trovare quella strada perché l'avevano nascosta per bene dietro una miriade di cespugli e piante orticanti. Questi sentieri hanno più vie di accesso così ne trovai un'altra con un semplice muretto da scavalcare, et voilà. Ero dentro. Era molto suggestivo e verdeggiante, circondato da pini marittimi ben potati, era un vero peccato che non potesse vederlo nessuno. Portava giù in mare. L'acqua era fredda in quel periodo, ma mi tuffavo ugualmente. Tornai alle origini. Ritrovai dentro di me un'innata semplicità che avevo dimenticato col passare del tempo. Camminavo sul muschio degli scogli senza provare fastidio. Quel luogo mi ha guarita, mi ha fatto tornare intera. Io ho un'ossessione per tutto ciò che può essere soltanto mio e di nessun altro. Quella discesa era animata da una storia inquietante e aleggiava tra il verde un profumo proibito. M'inebriava l'idea che potessi goderne io soltanto. Un grande privilegio che per una volta non mi era costato nulla. Anche quando mi graffiavo su uno scoglio e iniziavo a sanguinare pensavo "questo è vivere, qui giace una meravigliosa verità, l'essenza della vita", quella che dimentichiamo quando cresciamo. Il fatto che ci riempiamo di beni inutili, abitudini e finiamo in situazioni di cui non abbiamo bisogno. La vita è così semplice, siamo noi a complicarla a volte; a renderla insignificante, con tutti i nostri averi, con tutte le nostre formalità. Lì, invece, mi sembrava quasi bella e meritevole di essere vissuta appieno. Non mi sentivo giudicata, mi sentivo accettata da una forza invisibile che mi diceva che ero umana e dovevo apprezzare le ombre e i turbamenti dentro di me, perché quella ero io e non potevo farci nulla. Credo che in quel periodo, il mio sguardo tornò ad essere un po' più morbido, più vulnerabile. Mi sentivo più forte, ma allo stesso tempo, dato che erano passati anni dall'ultima volta che avevo pianto, mi ritrovai lì a farlo qualche volta. Scendevo di casa vestita come una ragazzina come non facevo da anni, maglietta bianca o nera e un paio di pantaloni vecchi. Prima di andare lì, mi sfilavo gli anelli, i bracciali, gli orecchini, la collana e li lasciavo sul comò. Andavo lì vestita in un modo che mi faceva sentire nuda e mi ritrovavo. Era come guardarsi allo specchio in quell'acqua salata e scura. Non so perché la discesa a mare sotto casa mia non sortiva lo stesso effetto su di me. Forse perché era troppo conosciuta e affollata a volte, l'altra era tutta mia. Poi, in una mattina calda di Maggio, un ragazzo da solo passò da mare su una canoa. Rimase qualche minuto a largo e ogni tanto pagaiava per non lasciarsi trasportare via dalla corrente. Mi fissò in silenzio e io m'innervosii perché mi sentivo esposta. Mi parve strano che fosse solo, e lui come se mi avesse letto nel pensiero disse qualcosa come: "In teoria non sono solo, ma ho perso il mio amico, credo sia andato nella direzione sbagliata"

"Non siete partiti insieme?"

"No, io sono partito dopo, avevo fame."      

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