'Ci dicevamo delle cose orribili' disse lei piano con gli occhi pieni di lacrime. 'Ma era questo ciò che meritavo, non è così? Dopo tutto quello che avevo fatto...'

Aveva iniziato a singhiozzare ed io mi sporsi verso di lei, mi misi in ginocchio e le strinsi le mani tra le mie. Mi distruggeva vederla così. La consolai come potei e poi sedetti nuovamente vicino a lei e le accarezzai i capelli cercando di trasmetterle tutta la tenerezza che avevo in corpo.

'Non avevi fatto nulla tu...eri libera, diversa, non hanno saputo capirti...non avevi fatto nulla'

Le lacrime le correvano sulle guance mentre lei piangeva disperata.

'Io ho sofferto tanto'

'Lo so'

'No! Non lo sai! Nessuno sa!'

'Che vuoi dire?'

'Che non mi si possono dire certe cose! Le parole per me contano e quel demonio! Lui sapeva e non se ne fregava nulla. Io ero fragile, gli avevo spiegato molte cose di me e lui non se ne importava, appena poteva mi diceva delle cose orribili, senza la minima comprensione. Non c'era alcun morbidezza dentro di lui', mi spinse via improvvisamente con forza, e mi guardò rabbiosa:

'Non c'è morbidezza in nessuno di voi! Siete tutti uguali! Delle bestie ossessionati dell'apparenza e che non sanno cos'è l'amore! Non sapete nulla. Vi piace solo guardare, ma se una di noi ha una voce, se una di noi tenta di essere come le pare, voi fate di tutto per individuare quell'unica cosa distinguibile e gliene private. Lo fate perché avete paura! Non sapete come prenderci, non sapete come amarci, e quindi risolvete il problema trasformandoci in una specie di bambole industriali. Ci scegliete come se fossimo un catalogo di giochi, mettete un segno, ed ecco che siamo vostre, non è così? Io non sono di nessuno! Io sono nata libera, e morirò libera e non m'interessa se il prezzo da pagare è la solitudine. Ho lottato troppo per questa libertà, non mi sarà portata via né dal primo borghese di turno, né da un pescivendolo, tantomeno da un ricco industriale fintamente intellettuale.' Gli occhi fiammeggianti, enormi, mi guardavano senza pietà e rimasi pietrificato da quelle parole. Ce l'aveva anche con me che l'avevo spogliata con gli occhi non appena era entrata. Ce l'aveva con me che ero come tutti. Io, che mi credevo così diverso e al di sopra degli altri, le avevo a mio modo fatto un torto, o comunque lo avevo fatto a chi come lei cercava di esercitare la propria identità femminile liberamente. Le avevo giudicate tutte dalla prima all'ultima, lei persino! Bella e cattiva, l'avevo giudicata, ecco.

'Dio mio, hai ragione. Ti prego smettila di piangere. Ti aiuterò...se posso'

Fui tentato dal prometterglielo, ma non lo feci. Perché la storia non era ancora finita, e avevo come una specie di sensazione che mi metteva in guardia dal pronunciare frasi del genere. Questa era anche una lezione imparata a mie spese naturalmente da mio padre, il quale mi aveva invitato più volte a pesare le parole, nonostante le sue spesso non lo fossero. Molte volte per delle cose che avevo promesso, avevo trascorso giorni interi in punizione, o ancor peggio ero stato invitato a portarle avanti, fino in fondo.

Lei si alzò e andò in bagno, per sciacquarsi il viso e asciugarsi le lacrime, io le diedi una coperta per rannicchiarsi al meglio sul divano. Eccola, pensai, la bambina che ero curioso di vedere. Con il viso arrossato, le gambe tirate verso di sé e le mani nascoste sotto il tessuto di lana.

Aspettavo ansioso che lei continuasse la storia, lei se ne accorse e lei dopo avermi sorriso debolmente riprese quasi immediatamente.

'Il venerdì sera, vico Belle Donne è sempre affollato da giovani ragazzi che desiderano esporsi alle critiche della società. Bevono tra le mille facce conosciute e non, ma per lo più già viste e mai salutate per avere un nome, per esistere. Quella sera dovevo andare a cena con degli amici, ma per qualche motivo che mi sfugge non ero andata, e invece mi trovavo lì in quel vicolo stretto e afoso, con una mia amica, Paola. Forse già te l'ho nominata.'

Annuii.

'Avevamo gli stessi ritmi, io e Paola, gli stessi desideri, la stessa disciplina impartita dalle corrispettive famiglie, eppure due personalità completamente diverse che si conciliavano in maniera indefinibile. Era ancora presto, e si contavano poche persone. La strada umida per il caldo era scivolosa sotto le suole dei nostri sandali. Io ero distratta e camminavo disincantata ascoltando di buon grado il vociare ancora basso proveniente dai bar. Mi sentivo completamente in armonia con me stessa. Dall'angolo poi è spuntato lui all'improvviso mano nella mano con una ragazza vestita in maniera bizzarra, con dei colori fluorescenti. E lei dapprima mi vide e poi subito spostò lo sguardo su di lui con una certa apprensione, pe assicurarsi che non mi guardasse. Lui si spostò con le mani i capelli davanti agli occhi per nascondersi da me, io capii e naturalmente abbassai lo sguardo. Mantenni l'andatura precedente, ora però più attenta al movimento dei miei fianchi, e alla mia postura.'

Non potei fare a meno di ridere.

'Una volta che io e Paola li avevamo superati ci guardammo ma non commentammo l'incontro.

Poi ci appoggiammo ad un muretto e lei fece una serie di chiamate per dire a qualche amico di raggiungerci. Nel giro di qualche minuto il vicolo iniziò a pullulare di persone e io riconobbi tra i visi quello di Marco, un ragazzo che conosceva Davide. Una volta arrivati anche gli amici di Paola, non so bene perché, Marco rimase con noi e iniziò a parlare con me. Morivamo entrambi dalla curiosità di chiedere una cosa, una soltanto, ma nessuno dei due voleva farlo perché ciò avrebbe significato ammettere, esporsi completamente. Così lui iniziò a pormi qualche domanda superficiale, e io feci lo stesso, ma ci stavamo girando intorno ed era chiaro che avremmo finito con l'arrivare proprio a quella maledetta domanda. Era soltanto questione di chi sarebbe capitolato per primo. Così mantenni un tono tranquillo e finsi d'interessarmi alla sua vita, ma poi Marco lasciò emergere con un sospiro che era tempo che non ci vedevamo. Un tempo anomalo nella sua lunghezza come potrai immaginare.'

Mina pronunciò l'ultima frase con spiccata ironia, e rise come se quella serata fosse stata la più leggera al mondo. Ne era divertita forse perché le piaceva che nella sua vita accadessero tante cose e che l'attenzione era sempre e ovunque su di lei. Le divertiva tutto anche se ciò voleva dire che le avrebbe fatto un po' male. Per lei quella notte non era stata altro che un racconto da utilizzare per altri racconti, e un motivo per prendersi un po' in giro.

OmissioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora