Capitolo 1

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Clara

Rovereto, 10 Giugno 1940

"In questa vigilia di un evento di una portata secolare, rivolgiamo il nostro pensiero alla Maestà del re imperatore, che, come sempre, ha interpretato l'anima della patria. E salutiamo alla voce il Führer, il capo della grande Germania alleata. L'Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola ed accende i cuori dalle Alpi all'Oceano Indiano: vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all'Italia, all'Europa, al mondo. Popolo italiano! Corri alle armi, e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!"

La voce prepotente del Duce mi trapassa le orecchie e un senso di nausea mi pervade, non riesco a capire fino in fondo cosa queste parole significano. Siamo in guerra? Tengo lo sguardo fisso sulla radio dalla quale è uscito quel discorso che mi ha fatto accapponare la pelle ma istintivamente guardo i miei genitori alla ricerca di una loro parola, un loro gesto che mi dica: "Clara, va tutto bene" ma invece vedo solo sguardi persi nel vuoto e un leggero tremore nelle mani di mia madre. All'improvviso sento un odore di bruciato e mi appresto a spegnere il fornello sul quale stava cucinando il soffritto, stavamo preparando la cena quando alla radio hanno cominciato a trasmettere il discorso di Mussolini. Fin da piccola ho ascoltato le parole di questo fanatico, essendo nata nel 1924, e anche a scuola mi inculcavano nella mente i valori del Fascismo, della razza italiana che era superiore a tutte le altre, della grandezza della Germania e del loro Führer, parola che non sono mai riuscita a pronunciare del tutto. Ma mai questi discorsi, che volevano farmi entrare nella testa, hanno smorzato la mia voglia di imparare e di vedere il mondo con i miei occhi, non hanno mai estirpato i miei ideali di uguaglianza, di pace e di speranza che solo una ragazza di sedici anni può avere. Ma adesso che è scoppiata la guerra, che cosa cambierà? "Cosa succederà adesso?" chiede mia mamma quasi leggendomi nel pensiero. Mi guarda come se mi vedesse per la prima volta e le sue braccia mi avvolgono stringendomi a sé, non capisco se sta cercando di infondermi sicurezza e protezione o se le sta cercando lei in me. "Adesso, Florenza – esclama mio papà – dobbiamo prepararci a tutto. Sappiamo entrambi come funziona una guerra, il cibo sarà ridotto ulteriormente, arriveranno più soldati, la vita cambierà in peggio, nonostante non pensassi che sarebbe andata peggio di così, e cosa più importante dobbiamo stare uniti, ora più che mai." Dicendo l'ultima frase papà mi guarda e nonostante sia preoccupata gli sorrido. "Io continuerò ad andare a prendere il pane e il cibo e..." "No Clara, tu starai qui, a casa. Non ti mando fuori con il rischio che ti cada una bomba sulla testa" mi interrompe mia mamma, io mi scosto dal suo abbraccio per guardarla negli occhi. "Mamma, la bomba può cadermi in testa anche se sto qui e non posso vivere segregata in casa fino alla fine della guerra. Non sono una sprovveduta, starò più attenta, ti prego" la supplico guardando anche mio padre. "Clara ascoltami, non so cosa farei se ti succedesse qualcosa. Non ti sto chiedendo di chiuderti in casa per sempre ma solo di limitare le tue uscite io... Ho paura per te." Guardo i suoi occhi preoccupati e l'abbraccio senza sapere cosa fare per tranquillizzarla, ho paura anche io ma la voce di papà mi richiama all'attenzione. "Piccola vieni qui." Quindi mi alzo e lo raggiungo, le sue mani mi prendono per le spalle mentre, in piedi, osservo mio papà e lui osserva me. "Clara, figlia mia, promettimi che qualsiasi cosa accadrà tu rimarrai sempre la ragazza spensierata, curiosa e intelligente che ho sempre amato. La guerra è una brutta bestia ma non ti abbattere, hai capito? Aiuta le persone, credi in te stessa e non smettere di credere nei tuoi ideali, mai. Florenza, se vuole dare una mano lasciala fare, è grande e sa cavarsela, ma Clara, cerca di fare attenzione, soprattutto ai soldati sia italiani sia tedeschi. Mi sono spiegato?" Io annuisco trattenendo le lacrime che reclamano di uscire, mi abbasso e lo abbraccio sentendo che quel giorno avrebbe cambiato per sempre la mia vita. Anche mia madre ci raggiunge e in quell'abbraccio di famiglia mi auguro che quella quotidianità che chiamo vita non venga stravolta da una stupida guerra che di glorioso non ha proprio nulla, ma in cuor mio so che la vita che prima conoscevo è finita alle 18:00 del 10 Giugno 1940.

Il rumore di un piatto che si frantuma mi risveglia da tutti i pensieri che mi stavano frullando nella testa, ero così assorta nel pensare a quello che succederà da adesso in poi che ho fatto cadere a terra il piatto che stavo asciugando. "Clara ma è possibile? Sei sempre con la testa fra le nuvole, se vuoi diventare un aiuto per la famiglia devi crescere e smetterla con tutte le tue fantasie." Le parole di mia mamma fanno più rumore del piatto in frantumi, non posso credere a quello che ha appena detto. "Tu sai a cosa stavo pensando? No! Vi ho sempre aiutati quindi cos'è questa storia che devo crescere e..." "Va bene basta – mi zittisce mio padre – tutte e due. Questo è il momento meno opportuno per farci la guerra anche in casa, quindi per favore cercate di non attaccarvi l'una con l'altra. Clara, non rispondere così a tua madre." Apro la bocca per ribattere ma decido di starmene zitta, non voglio peggiorare la situazione. Capisco che anche i miei genitori siano agitati e preoccupati e quindi cerco di mettermi nei loro panni, anche se mi risulta difficile. "Scusami" dico stringendo i denti a mia madre e lei mi assesta una bacio sulla fronte prendendo la scopa e la paletta, pronta per raccogliere i cocci di quello che una volta era un piatto. Rimango come ipnotizzata da tutti quei frammenti di ceramica sparsi sul pavimento della cucina, una brutta sensazione si fa strada nel mio petto. Ho paura che la mia vita, per colpa dello scoppio della guerra, diventerà come quel piatto, ma all'improvviso mi riscuoto da questo pensiero orribile e mi rifugio in camera pensando che mia mamma ha proprio ragione, ho la testa fra le nuvole. Quello che la mia testa non poteva sapere la mia anima stava cercando di dirmelo, come un mantra che ti rimbomba nella testa in continuazione. "Clara, la guerra finirà ma con lei finirà anche il tuo amore e il tuo cuore si frantumerà come quel piatto, ma nessuno sarà in grado di raccoglierlo e di rimetterlo al suo posto."

Non riesco a dormire, le parole di Mussolini continuano a ronzarmi nella testa, ho paura di quello che accadrà di lì a poco, non so se sono forte abbastanza per superare tutto questo. Osservo il soffitto rischiarato dalla Luna e mi concentro su un ricordo felice di quando ero bambina. Avevo 10 anni ed ero insieme alla mia attuale migliore amica Maria, era una domenica pomeriggio e insieme ai nostri genitori stavamo facendo un pic-nic in un meraviglioso posto in mezzo al verde. Io e lei stavamo disegnando il paesaggio intorno a noi con le mani tutte impiastricciate di gelato, le nostre mamme stavano spettegolando di una persona piuttosto che dell'altra e i papà, tanto per cambiare, discutevano animatamente sul Duce e sull'educazione che io e Maria ricevevamo a scuola. Ma io e la mia amica eravamo completamente estranee ai loro discorsi, immerse nelle matite colorate e nei nostri sogni a occhi aperti. Eravamo bambine e sognavamo principi azzurri, principesse con abiti scintillanti e amori che potevano resistere alle grinfie del tempo. Ricordo che era Aprile. Chiudo gli occhi immaginando quella scena che mi scalda il cuore, e mi addormento dormendo un sonno agitato pensando che in guerra nessuno ha tempo di pensare all'amore, ma che forse è l'unica cosa a dare speranza quando la guerra di speranza non ha proprio nulla.

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Ricordo che era AprileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora