Capitolo 5

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Rovereto, Luglio 1940

E così Luglio è arrivato, portando con se un caldo ancora più afoso di quello di Giugno. Come ogni mattina mi trovo in paese per svolgere le solite faccende, sto camminando tranquillamente ma il mio sguardo viene catturato da un volantino appeso a un muro, un volantino fascista con scritto in grande "Popolo Italiano". I brividi mi percorrono il corpo, nonostante il caldo, ma il vedere volantini che tappezzano Rovereto incitando gli italiani alla guerra mi fa ribrezzo e per un attimo nella mia mente penso a l'ufficiale, quel soldato che odia anche lui tutto questo. Intanto decido di attraversare la strada ritrovandomi alla mia sinistra la grande fontana di Piazza Rosmini, che io adoro. Ci sono tante donne che camminano, pochi uomini del mio paese per lo più anziani, essendo tutti gli altri partiti per il fronte, e ovviamente molti soldati. La mia attenzione però viene catturata da un soldato in particolare, il tenente Krumme, il quale mi nota mentre si sta accendendo una sigaretta, io lo saluto con la mano un po' impacciata e lui si tocca il cappello in segno di saluto, facendomi il segno di aspettare lì con la mano. Vedendo il gesto il mio cuore perde un colpo, ma non so dire se sia per la felicità o per la paura, l'unica cosa che so è che non vedo l'ora che attraversi la strada e che venga da me. Non ci siamo più visti dopo quel nostro primo appuntamento, se posso definirlo così, non sempre lo vedo per strada ed è difficile potergli parlare, ma lui è sempre nei miei pensieri. Spero che sia così anche per lui. Infondo non siamo niente, non so neanche se quell'uscita abbia sancito una specie di amicizia ma spero che non sia stata l'ultima. "Signor tenente" lo saluto appena lo vedo arrivare davanti a me, ogni volta che lo vedo provo delle strane emozioni. "Buongiorno Clara, come sta?" dice lui con il suo solito sorriso, quel maledetto sorriso. "Bene dai e lei?" "Tutto bene, cosa fa da queste parti?" chiede come se io non vivessi in questo paese e questa cosa mi fa un po' divertire, da questa domanda sembra quasi che sia io la "straniera". "Devo comprare il pane, sa com'è..." dico sorridendogli timidamente, in cuor mio mi auguro che non noti le mie guance in fiamme. Iniziamo a camminare e nessuno dei due proferisce parola. Ad un certo punto un uomo, passando vicino a me, mi spintona e vedo il tenente cambiare espressione, i suoi occhi diventano rigidi e arrabbiati. Torna indietro e ferma l'uomo che mi aveva spinta, ho la sensazione che non andrà a finire bene. "Signore, non ha chiesto scusa alla signorina." "Non chiedo scusa a una ragazza che va in giro con i tedeschi" dice l'uomo guardando il tenente Krumme dall'alto al basso con uno sguardo di disgusto. Io dal canto mio sono immobile, non dico niente per difendermi, sono agitata perché ho paura che la situazione degeneri più di quanto lo stia già facendo. Cos'è quest'odio improvviso? Non sto facendo niente di male! Guardo il soldato davanti a me diventare furioso. "Lo sa che potrei farla arrestare?" dice in modo calmo ma deciso, questo tono mi spaventa ancora di più se avesse urlato. "Lo faccia allora" dice l'altro mentre si allontana. Il tenente, irritato, mi si avvicina e mi sprona a proseguire mettendomi una mano sulla schiena. A quel contatto i brividi mi salgono su tutto il corpo. "Mi dispiace" dico mortificata, mi sento in parte colpevole di questo episodio che è appena accaduto, entrambi sappiamo quel è stato il motivo scatenante e cioè io e lui insieme, la nostra vicinanza. Io non potevo sapere che questo episodio sarebbe stato il primo di una lunga serie. "Non si preoccupi. Se ci vediamo anche solo per parlare si attirerà sempre più addosso questi sguardi, volevo dirglielo" mormora guardando dritto davanti a se con il suo sguardo da ufficiale, duro e impenetrabile, così diverso da quello a cui mi sono abituata. "Lo so, ma voglio imparare a fregarmene del giudizio della gente, sennò non vivo più. E poi è difficile anche per lei" gli dico guardandolo e lui finalmente si gira guardandomi con gli occhi tristi. Vedendolo così vorrei solo abbracciarlo, ma so che non sarebbe opportuno così rimango al mio posto. "Sono abituato, neanche a me frega del giudizio delle persone." "Posso farle una domanda sulla guerra?" chiedo dopo dei minuti di silenzio. Lui sembra restio ma mi invita a proseguire. "Durerà tanto?" Lui si ferma e mi guarda teneramente, come si potrebbe guardare una bambina piccola che fa domande su una cosa più grande di lei. "Temo di sì, Fräulein, ma non si preoccupi, andrà tutto bene." In cuor mio credo lo abbia detto più per convincere se stesso che me. "Posso chiederle se vuole bere qualcosa? Sempre se non le dà fastidio farsi vedere al bar insieme a me" esclama all'improvviso fermandosi in mezzo alla strada. "Andiamo" dico subito senza esitare, inizio a dirigermi verso il bar alla nostra sinistra ma noto che lui è ancora fermo che mi guarda. "Tenente?" dico per spronarlo e lui inizia a seguirmi con uno sguardo incredulo e un po' commosso. Non avrei mai potuto rifiutarmi, non dopo quello che è appena successo perché voglio dimostrargli che io sono diversa da loro, che di me si può fidare. Entriamo al bar, un locale piccolo e semplice con tanti piccoli tavolini disposti vicini fra di loro. "Si sieda pure, ordino io. Cosa vuole?" "Mmm, un succo alla pera" dico dopo averci pensato un po' su, quindi mi siedo e lui si dirige al bancone. Dopo aver ordinato il succo per me e un caffè per lui ritorna, si siede sulla sedia accavallando le gambe e nel mentre si toglie il cappello, lasciandomi così vedere i suoi folti capelli biondi. Mi guarda con quei suoi occhi verdi e per un secondo mi imbarazzo sotto il suo sguardo indagatore. A cosa starà pensando? "Lei se ne rende conto?" E poi se ne esce con questa domanda. "Di cosa?" dico ridendo. Lui appoggia i gomiti sul tavolo e si protrae verso di me, incatenandomi ai suoi occhi e al suo sorriso. "Di quanto sia bella." Sgrano gli occhi avendo paura di aver sentito male, ma invece ho sentito benissimo, faccio una risatina nervosa e arrossisco, mentre lui mi guarda seriamente divertito. "Danke" gli rispondo timida in tedesco abbassando lo sguardo sulle mie mani, non so come mi sia venuto in mente di rispondergli in tedesco ma è l'unica parola che so. Intanto il cameriere arriva con le nostre ordinazioni e gentilmente ce le porge. "Il succo per la signorina e il caffè per il tenente." "Grazie" dico gentilmente. "Danke schon" risponde lui. Inizio a bere il mio succo mentre lui si accende una sigaretta. Quel complimento così inaspettato continua a frullarmi nella testa. "Chissà a quante lo ha detto." Ecco, per l'ennesima volta non sono riuscita a tenere a freno la lingua. Perché non posso godermi il suo complimento e basta? "Che cosa?" chiede confuso aggrottando le sopracciglia. "Del fatto che sono bella..." sussurro guardando il mio bicchiere, non ho il coraggio di alzare lo sguardo perché se lo facessi ho il timore che vedrebbe quanto sono spaventata da tutto questo, dal mio cuore che batte a una velocità fuori dal normale. Lui fa una risata un po' sarcastica, spegne la sigaretta nel posacenere e mi guarda dritta negli occhi. "Lei non capisce vero?" "Che cosa dovrei capire?" dico iniziando ad agitarmi, è possibile che questo soldato debba farmi sentire così? Lo conosco a malapena ma dalla prima volta che l'ho visto ho sentito una strana sensazione. Come se fossimo stati destinati a incontrarci. "Era scoppiata la guerra da quattro giorni in Italia – risponde subito lui – quando mi è venuta addosso e per poco non si sfracellava il viso per terra. E lei era lì, così piccola davanti a me e intimidita." "Non da lei" dico subito mettendo le cose in chiaro, non voglio che pensi che io abbia avuto paura di lui. Imbarazzo sì, timidezza anche ma paura mai. "Si lo so, lei... è diversa dalle altre donne" mormora mentre mette lo zucchero nel caffè, lo mescola e inizia a berlo. Come può essere così calmo mentre mi dice queste cose? Io sono un fascio di nervi, e poi una donna? Io una donna? Sono ancora una ragazzina e lui mi vede come una donna. "Mi scusi è che sono..." "Lo so, è timida" dice togliendomi le parole di bocca, mi sorride in modo dolce e questo mi fa calmare un po'. Sembra che questo soldato mi conosca da una vita. "Già. Comunque non me lo aveva mai detto nessuno prima." "Che è bella?" chiede e io annuisco bevendo il mio succo alla pera, mentre lui mi guarda un po' incredulo. Stiamo in silenzio per un po', sorseggiando ognuno la propria bevanda, ma alla fine decido di rompere il ghiaccio. Non voglio sprecare questo momento che abbiamo stando in silenzio. "Lei tenente non ha un accento tedesco marcato quando parla in italiano e poi è molto fluente." Era dalla nostra prima uscita che volevo fargli domande per conoscerlo meglio, ma quel giorno non ne avevo il coraggio. "Sì mia madre ha origini italiane e quando ero piccolo ho voluto che mi insegnasse l'italiano." È metà italiano! "Ah capisco. E le manca casa?" Appena pongo questa domanda il suo sguardo si fa un po' triste e mi maledico per avergli chiesto una cosa così ovvia. "Sì, sì mi manca casa. Ma non posso farci niente, il dovere chiama." Il dovere, combattere una guerra di altri, una guerra che non hai voluto tu, è questo il dovere? Intanto lui si guarda l'orologio mentre finiamo di bere. "Devo ritornare o i miei uomini si accorgeranno che manco da un po'." "Va bene." Guardo nel portafoglio per vedere quanti soldi ho e mi accorgo con sgomento che non ho nulla, le uniche monete che avevo le ho spese per il cibo e quando ho accettato il suo invito non mi sono ricordata di non avere più un soldo. "Io però non ho molti soldi per pagare" dico mortificata e imbarazzata. Non ne combino una giusta. "Non si preoccupi Clara offro io, si figuri." Gli sorrido con gratitudine seguendolo al bancone. "Be allora, danke" lo ringrazio ripetendo la parola tedesca di prima e lui inizia a ridere scuotendo la testa. "Credo che dovrò insegnarle altre parole in tedesco oltre a danke." "Se vuole" ribatto io ma mi accorgo che si è già spostato per andare a pagare. Successivamente ritorna verso di me e appoggia la mano sulla mia schiena invitandomi a uscire prima dal bar. "Grazie per il succo" gli dico appena siamo usciti. "Grazie a lei per la chiacchierata." Ed ecco che per l'ennesima volta i nostri sguardi si incontrano, incatenati in un gioco di cui vorrei sapere le regole, ma che solo loro sanno. Il verde dell'erba, il marrone della terra. Ad un certo punto però, il nostro scambio di sguardi viene interrotto da un rumore assordante, alziamo gli occhi al cielo e vediamo un aereo passare sopra le nostre teste. Io non faccio neanche in tempo a realizzare la cosa che mi ritrovo schiacciata in un angolo sotto il corpo del soldato, sono completamente immobilizzata non posso muovermi. L'aereo ci sorvola senza sganciare nessuna bomba e quando si allontana tiriamo entrambi un sospiro di sollievo così, ancora scossi, il tenente mi aiuta a rialzarmi. "Grazie tenente" dico ancora frastornata e impaurita, non mi abituerò mai a tutto ciò, a questa paura così forte che non ho mai provato in vita mia. "E di cosa, è mio dovere proteggere i civili" risponde prontamente. Civili, io sono una semplice civile per te? Mentre lo dice, però, scorgo una strana espressione sul suo volto che non riesco a decifrare, ma non voglio stare a pensarci ora come ora. "Sta bene?" mi chiede e io annuisco non molto convinta. "Devo riferire tutto alla Kommandantur, torni a casa è pericoloso stare qui. Soprattutto adesso che è appena passato un aereo." "Va bene" dico con voce flebile. Lui mi prende la mano e la bacia, come fa sempre quando dobbiamo congedarci. Me la accarezza impercettibilmente. "Fräulein, arrivederci" dice toccandosi il cappello. "Signor tenente" saluto io, lui si volta e se ne va.

Nota autrice:
Questo capitolo mi scalda il cuore.

Clara

Ricordo che era AprileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora