Capitolo 35

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Rovereto, 4 Aprile 1944

Sto asciugando i piatti dopo aver finito di cenare, i miei genitori sono saliti in camera mentre Alexander è seduto sul divano esausto. Oggi ha avuto una giornata davvero dura, ma una cosa che la stanchezza non gli può togliere è il suo sorriso. Nella tristezza e nella stanchezza il suo sorriso non muore mai. La mia mente però non sta pensando a lui, ma a un altro sogno strano che ho fatto questa notte. Non ho ancora parlato ad Alexander di questi sogni, specialmente del penultimo dove sembra che io parli con lui anche se non c'è. Dovrei dirglielo ma forse sto solo ingigantendo le cose, quello che so è che nel sogno di stanotte Alexander non c'entrava. O così pensavo io. Ero seduta sul divano di una casa mai vista prima, davanti a me c'era un'enorme rettangolo nero che non so come definire e in mano avevo un libro. Un libro blu con il titolo bianco in corsivo scritto in grande: "Ci rincontreremo in un giorno d'Aprile". Sentivo dentro di me tante emozioni contrastanti ogni volta che i miei occhi leggevano le pagine, all'inizio non capivo bene di cosa parlasse ma una scena mi è rimasta impressa, se chiudo gli occhi riesco a ricordarmi le parole, tanto che appena sveglia le ho riportate su un quadernino. "Siete stato solo molto gentile e io ve ne sono molto grata. Vi auguro una buona giornata. A presto." Faccio per chiudere il cancello, ma la sua voce mi giunge alle spalle ancora una volta. "Non so nemmeno il vostro nome..." dice, accarezzando l'elmetto che gli ho restituito. "Mi chiamo Mila, signor ufficiale." Lui mi sorride, poi si gira e si rimette in moto. Prima di andare via, mi rivolge il saluto militare e dice: "Io mi chiamo Giambattista. A presto, signorina." I sogni che avevo fatto tre notti prima potevano essere frutto della suggestione, o così l'ho vista io, ma questo? Questo proprio non lo capisco. Chi sono queste due persone? E poi com'è possibile che il mio cervello ricordi alla perfezione una paragrafo di un libro che non ho mai visto? Oggi sono andata persino in libreria per chiedere di questo titolo ma nessuno mi ha dato una risposta. Forse mi sto facendo paranoie inutili ma dentro di me sento che non sono soltanto sogni. Purtroppo non so chi sia l'autore, non sono riuscita a leggerlo, ma nel sogno sentivo come una specie di connessione che mi collegava allo scrittore, o forse è meglio dire scrittrice, perché sono sicura che era una ragazza. La cosa che mi fa strano è che ho iniziato a fare questi sogni dal primo giorno di Aprile, e stanotte ho sognato questo romanzo in cui nel titolo c'era il mese di Aprile. Questo mese sembra perseguitarmi e non so il perché. La musica che esce dal giradischi mi fa risvegliare dai miei pensieri e all'improvviso delle mani si appoggiano sui miei fianchi. "Sempre con la testa fra le nuvole tu." Mi giro e mi ritrovo Alexander alle mie spalle, mi toglie il piatto dalle mani per poi afferrarmi per la vita, mi bacia il naso e all'improvviso comincia a farmi volteggiare per tutta la casa. Le nostre risate quasi sovrastano la musica, mi fa girare così tanto che mi gira la testa. Chiudo gli occhi immaginando di essere in un grande castello in una pista da ballo enorme, ci sono io con un vestito bellissimo e da sopra una scalinata vedo il mio soldato che mi aspetta, sorridente e bellissimo con un vestito elegante, ma non è l'uniforme, no! È un abito semplice nero che gli fa risaltare il biondo dei suoi capelli. Lo raggiungo e dopo esserci baciati cominciamo a ballare per tutta la notte, la guerra è finita e ci siamo solo noi due! "Sei ancora più bella quando ridi" mi sussurra dolcemente, per poi finire il ballo in un casquè, io gli afferro il viso e lo bacio. Mi sventolo la mano sul viso accaldato facendogli poi un inchino. "Sei tu che mi fai ridere soldato!" Lui mi guarda truce facendo il finto offeso, poi si lascia ricadere sul divano alle sue spalle e io lo raggiungo subito. Rimaniamo a fissare la poltrona davanti a noi senza dire niente, la musica è finita e il silenzio fa da padrone. In quella quiete i sogni che dall'inizio del mese hanno cominciato a infestarmi la notte, riappaiono forti e prepotenti. Non so come definirli, sono strani e a volte mi hanno messo angoscia, e quel libro poi non riesco proprio a capire cosa possa significare. Entrambi sembriamo chiusi nei nostri mondi, nei nostri pensieri, non so proprio cosa succede oggi. All'improvviso mi giro verso Alexander, gli voglio raccontare di questi sogni per sentire un suo parere, ma l'espressione del suo viso mi fa serrare le labbra. Guarda come in trance il pavimento del salotto, non muove le palpebre e quindi lo scuoto per riportarlo alla realtà. Lui si gira per guardarmi come se mi vedesse per la prima volta, poi mi afferra la mano e comincia ad accarezzarmi le dita. "Alexander, ma stai bene?" Annuisce e poi comincia a raccontare, un racconto che mi avrebbe lasciata senza fiato. "Sai, meine Liebe, ancora prima che diventassi tenente ero di stanza a Berlino, avevo quasi diciannove anni e la guerra doveva ancora scoppiare, era il Gennaio del 1939. Come ti dissi fu per volere di mio padre che mi arruolai, così feci quello che lui voleva e presto diventai sottotenente, non volevo deluderlo infatti diventare un ufficiale così giovane non era da poco. Mio papà non è un nazista lui... lui all'inizio credeva nelle parole di Hitler ma andando avanti ha cominciato a vedere il marcio, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Ero un ufficiale della Wehrmacht e tale dovevo rimanere." All'improvviso si blocca per guardarmi e sorridermi, io ricambio il suo bellissimo sorriso accarezzandogli la guancia. È un ufficiale della Wehrmacht e tale deve rimanere. Non si può tornare indietro. "Vai avanti, lo sai che adoro sentirti parlare della tua vita, anche se vorrei che tutto questo non ti fosse mai capitato" mormoro baciandolo. "Va tutto bene amore mio. In Germania c'erano, oltre che noi soldati tedeschi, anche soldati italiani. Insomma cinque anni fa Mussolini e Hitler andavano a braccetto, e quindi era inevitabile che a volte degli ufficiali italiani arrivassero a Berlino. Il 23 Gennaio del '39, ricordo persino il giorno, incontrai un tenente del Regio Esercito, era più grande di me, e la prima cosa che notai di lui era la sua compostezza, il suo modo di fare era molto austero. Era alto come me, biondo come me ma aveva gli occhi azzurri. Si chiamava Giambattista Ijeger." Il mio cuore fa un salto. Giambattista? Ma è lo stesso nome che ho letto nel libro del mio sogno! Sarà sicuramente una coincidenza. "Le coincidenze non esistono." Questa volta devo dare ragione alla mia vocina, le coincidenze non esistono, non ci sto capendo più niente. Mi agito e mi muovo nervosamente sul divano, tanto che Alexander se ne accorge e mi lancia un'occhiata confusa. "Cosa c'è Clara?" mi chiede. "Hai detto Giambattista?" "Sì, si chiamava così. Perché?" "Niente, pensavo di aver capito male." Gli sorrido cercando di nascondergli il mio reale stato d'animo e lo sprono a continuare. Lui mi ascolta, poco convinto della mia risposta. "Un giorno mi sono ritrovato da solo con lui, era seduto su una panchina nell'Alexanderplatz - esclama sorridendo divertito dal nome della piazza - stava fumando e quando mi ha visto mi ha fatto cenno di raggiungerlo. Ero un po' intimorito da lui, non so bene il perché, ma avevo capito una cosa: che quell'ufficiale era solo, come me, gli mancava casa e molto probabilmente stava sognando di tornare nella sua città. Io ero fortunato, ogni giorno tornavo a casa dai miei genitori ma in quel periodo l'aria che si respirava in casa era pesante, appesantita da una guerra imminente e dalle fandonie che il Führer propinava a tutta la Germania. Ogni sera, quando potevo, mi ritagliavo del tempo per me, per evadere da tutto ma purtroppo non sempre si può scappare dalla realtà. Comunque, per ritornare a l'ufficiale Ijeger, mi sono avvicinato a lui e dopo avergli fatto il saluto militare mi sono seduto. Mi ha offerto una sigaretta e siamo rimasti in silenzio per un po', parlava un tedesco impeccabile ma in quel momento abbiamo cominciato a dialogare in italiano. Alcune volte non capivo certe parole, aveva un accento strano, ma così dal nulla abbiamo iniziato a parlare delle nostre vite. Sai perché ti sto raccontando tutto questo? Perché quel pomeriggio d'inverno mi è rimasto impresso nella mente, non so spiegarti ma in quel momento mi sono sentito legato a quel soldato da un filo invisibile. Era come se un qualcosa che era successo, o che doveva succedere, in qualche modo mi legasse a lui. Lo so, può sembrare stupido..." "No non lo è" lo interrompo subito. Forse i miei sogni e il suo racconto hanno un nesso, quindi ho deciso che appena finisce di raccontarmi gli parlerò di tutto. È mio marito e lui non mi giudicherebbe mai, se il Giambattista del sogno e il Giambattista di Alexander sono gli stessi allora vuol dire che tutta questa faccenda è qualcosa più grande di noi. Qualcosa che va oltre la realtà. "Lui viveva a Napoli, con sua madre e la sorella, purtroppo il padre è caduto durante la Grande Guerra. Mi ha raccontato di quella città, del cibo e della quotidianità semplice che le persone vivevano, e che anche lui viveva prima di diventare un soldato. Faceva il giornalista sai? Ma poi ha dovuto abbandonare tutto per colpa di questa cazzo di guerra." Gli appoggio la testa sulla spalla, ho bisogno di un contatto, della sua vicinanza. "Sai dov'è Napoli? È nel sud Italia, nella regione Campania. Ho visto delle foto una volta, e in una si vedeva il Vesuvio!" esclamo sorridente, sto cercando di tirarlo su di morale perché dopo l'ultima frase ho sentito il suo stato d'animo cambiare. "Ti ci porto un giorno, va bene? Quando verrà la pace ti porterò a Napoli, a Venezia, a Firenze, a Monaco e a Berlino, gireremo tutto il mondo, te lo prometto. Ti porterò a vedere il Vesuvio e a magiare la pastiera napoletana" mi dice allegramente, io con slancio lo abbraccio baciandogli i capelli. "Guarda che me lo segno, soldato. Vai avanti, cosa vi siete detti dopo?" "Dopo ho cominciato a parlargli della mia, di vita. Lui mi ascoltava interessato, dopo tanto tempo avevo trovato qualcuno che mi stava ascoltando veramente e che non faceva solo finta. Gli ho parlato della mia famiglia, di quanto Monaco fosse bella in quel periodo dell'anno e di quanto mi mancasse, gli ho spiegato che ero metà italiano e che mia madre era originaria del Veneto, e lui mi ascoltava, anche l'ufficiale non parlava così con qualcuno da tanto tempo! Gli ho offerto anche una caramella sai? Alla menta, direttamente dalla Baviera. All'inizio si è messo a ridere e poi l'ha accettata di buon gusto. L'ultima cosa che mi ha detto è che di lì a poco sarebbe dovuto partire per tornare in Italia, a Scicli per l'esattezza, si trova in Sicilia. È partito ad Aprile." Aprile! O no, basta! "Ci siamo alzati, ci siamo fatti il saluto militare e infine mi ha congedato con una pacca sulla spalla, e sai cosa mi disse? - Magari, sottotenente, ci rivedremo in un'altra vita, nel frattempo abbiate cura della vostra vita. - Io non sapevo come rispondergli, l'ho ringraziato e poi lui si è voltato andandosene, lasciando dietro di sé uno strano profumo di limoni. Non l'ho mai più rivisto." I suoi occhi incontrano i miei e sono sicura che in questo momento stia vedendo la mia faccia sconvolta. Mi sorride come se capisse perfettamente che cosa io stia provando, all'improvviso mi prende fra le sue braccia e io mi stringo a lui in un abbraccio silenzioso. Sto pensando a tante di quelle cose che mi fa male la testa. "È per questo che hai cominciato a parlarmi delle prossime vite? È lui che lo ha detto a te!" sussurro nell'incavo del suo collo, mentre la mano gli accarezza dolcemente la schiena. "Esattamente, non so perché proprio in questo periodo ho cominciato a dirti tutto questo, e non so nemmeno perché ti ho raccontato di lui in questo giorno. Ma volevo farlo da tanto tempo." Io non dico niente, vorrei porgli una domanda ma ho paura della risposta, ma siccome che Alexander capisce sempre quando voglio chiedergli qualcosa e non ne ho il coraggio, mi prende il viso fra le mani e mi sprona a parlare. "Avanti, Clara. Cos'hai? Sei strana da quando ho cominciato a parlare." È possibile che sia capace sempre di leggermi dentro? "Lui, Giambattista, ti ha mai parlato di una ragazza? Una ragazza di nome Mila?" gli chiedo così piano che ho paura che non mi abbia sentita. "Una ragazza di nome Mila? Ehm, no non l'ha fatto. Perché?" mi risponde confuso guardandomi stranito. Mi scosto dal suo tocco prendendomi i capelli fra le mani, una parte di me avrebbe voluto che mi dicesse di sì. Forse sarei riuscita a dare una risposta a tutte le mie domande. "Ma, aspetta un secondo..." esclama all'improvviso. Giro la testa verso di lui con gli occhi sbarrati e lo prego silenziosamente di dirmi cosa gli sta frullando in testa. "Va bene, può sembrare una cosa stupida e priva di senso ma, adesso che mi ci fai pensare... tre anni fa, era il..." pensa e in un secondo dei brividi di freddo gli percorrono il corpo. "Cosa?!" "Era il 24 Aprile 1941, non so che significato abbia questa data ma me la ricordo bene. Quella notte feci un sogno strano, non te ne ho mai parlato perché se ti ricordi in quei giorni facevamo fatica a vederci, tu eri quasi sempre all'ospedale e io ero molto indaffarato, e successivamente avevo scoperto che dovevo partire per la Polonia, ricordi? Troppe cose che mi hanno portato a dimenticare quello che mi era successo. Quella notte sognai l'ufficiale." Mi porto le mani alla bocca, incapace di emettere un solo suono. Anche lui ha fatto dei sogni? Anche lui lo ha sognato? "Guardavo una scena, ero come uno spettatore, davanti a me c'era Ijeger e vicino a lui una ragazza, avrà avuto la tua età. Lui indossava una camicia, mentre la giacca e il berretto erano di fianco a lui. La ragazza invece... indossava un vestitino leggero con i fiori, aveva la pelle ambrata e i capelli neri che le arrivavano sopra le spalle. Era molto bella. Erano seduti sulla sabbia, vicino al mare, stavano parlando e l'ufficiale guardava la ragazza con un tale amore che ho visto solo una volta nella vita, la guardava come tu guardi me e come io guardo te. Quei due si amavano. Ricordo che l'aveva chiamata per nome, l'aveva chiamata signorina Mila. Ricordo anche cosa lui le stava dicendo, ricordo le parole esatte. - Mi amerai anche quando non sarò più un ufficiale? - le ha chiesto e lei senza esitazione ha risposto. - Amerò qualunque versione di te. Perché io amo la tua anima, non ciò che indossi, né quello che fai. - Lui la stava guardando con una tristezza che faceva male al cuore e poi riprese a parlare. - Mi riconoscerai un giorno? Magari tra tante persone, in abiti civili; la guerra sarà finita, le strade saranno piene di bambini che giocano, la moda sarà cambiata. Mi riconoscerai lo stesso in un'altra epoca? Quando non avrò più questo nome? Questo viso? - La ragazza, Mila, stava piangendo e lui l'ha presa fra le sue braccia per stringerla a sé. Li ho lasciati così, poi mi sono svegliato e non li ho mai più rincontrati nei sogni." Una lacrima solitaria lascia i miei occhi, sto piangendo e a stento me ne rendo conto, lo capisco quando Alexander comincia a raccogliere le lacrime con il pollice accarezzandomi dolcemente. "Anche tu mi riconoscerai in un'altra epoca, Clara? Quando comparirò nella tua vita per sconvolgerla? Ti ricorderai di me in un'altra vita? In einem anderen Leben?" Annuisco chiudendo gli occhi per bearmi delle sue mani che mi toccano il viso con dolcezza, le stesse mani che imbracciano il fucile. All'improvviso le immagini del sogno ritornano prepotenti, io che parlo al cielo sperando che il mio Alexander riesca a sentirmi. "Anche io ho fatto dei sogni..." Le sue mani smettono di toccarmi, riapro gli occhi e lo ritrovo a fissarmi con una strana preoccupazione in viso. Decido di baciarlo, imprimo nella mia anima le sue labbra morbide, il suo respiro caldo, il suo dolce sapore. Le uniche labbra che io abbia mai baciato in tutta la mia vita, le uniche labbra che bacerò per il resto dei miei giorni. Perché lui è stato il mio primo bacio e lo sarà sempre. Anche nella prossima vita. "Clara, moglie mia, raccontami. Lo sai che a me puoi dire tutto. Come facevi a conoscere il nome della ragazza del sogno?" Gli afferro le mani stringendole forte, faccio un respiro profondo e senza perdere altro tempo comincio a raccontargli tutto. Gli racconto del primo sogno in cui ho visto me stessa, o quella che credevo essere me, scrivere il nostro primo incontro, gli parlo del libro e di come ho letto una scena dove Giambattista si presentava alla sua Mila, e Mila si presentava al suo Giambattista. E poi... "E poi, la seconda notte, ero di nuovo nei panni di quella ragazza. Ero seduta fuori all'aperto e... ti stavo parlando, ma..." Ma il coraggio se ne va, la voce viene meno e gli occhi cominciano a riempirsi di lacrime un'altra volta. Con che coraggio avrei dovuto continuare? "Ma cosa..." dice lui ma io lo interrompo subito, come un fiume in piena rompe gli argini nelle giornate più piovose, anche i miei occhi hanno deciso di far uscire le lacrime come se non riuscissero più a contenerle. "Ma tu non eri lì, non fisicamente, ti parlavo rivolgendomi al cielo e tu mi rispondevi con il vento. Ti sussurravo che mi mancavi, che era difficile andare avanti senza di te, ma che nonostante tu non ci fossi riuscivo a sentirti sempre nel vento, nei sogni e nella mimosa. Cosa c'entra il tuo fiore preferito? Era come se tu non ci fossi più. Ti prego di qualcosa!" Il suo viso è diventato pallido e la sua stretta sulle mie mani è diventata forte, tanto da farmi male. Mi guarda preoccupato senza dire niente. "T-tu, tu non puoi morire, per favore, io ho paura Alexander" mormoro con la voce spezzata dal pianto. All'improvviso lui si rianima tornando come alla realtà, mi asciuga il viso dalle lacrime e mi sorride dolcemente. "Nein, nein. Non devi avere paura amore mio, sono qui io, non devi temere nulla quando ci sono io." Mi prende fra le sue braccia facendomi appoggiare al suo petto, mi stringe così forte da farmi male, ma questo è l'unico male che non provoca dolore, l'unico male che vorrei sentire per tutta la vita. "Mi senti tesoro mio? Non so dirti il significato di quel sogno, questo non lo so, ma so che la morte non può toccarci perché niente può farlo, né la guerra, né l'odio e nemmeno la morte. Io non posso sapere cosa mi accadrà, non so se riuscirò a vedere la fine di questa guerra ma so che qualsiasi cosa accada io non ti lascerò mai, non potrei mai farlo. Ti amo così tanto, come potrei lasciarti, vita mia? Sarebbe come chiedere alla mimosa, alle margherite e alle rose di non sbocciare più quando arriva la primavera." Mi aggrappo al suo maglioncino ormai completamente zuppo delle mie lacrime, mi tiene ancora stretta, tanto che riesco a sentire il battito del suo cuore. Quel suono è il motivo per cui sono viva, il motivo per cui continuo a vivere. Non piango più, il mio corpo che prima era scosso dai singhiozzi ora è rilassato contro quello di Alexander, una strana calma mi pervade il petto. Il mio soldato mi culla lentamente, come se fossi una bambina, mi lascia teneri baci sulla fronte, e in tedesco mi sussurra dolci parole. Chiudo gli occhi, mi lascio trasportare dal suo abbraccio protettivo, dalle sue labbra soffici, dal suono della sua voce. "Quando sentirai che la speranza ti ha lasciata ricorda le mie parole e quelle dell'ufficiale: ci rincontreremo in un'altra vita. Magari entrambi li abbiamo sognati perché l'Universo ci voleva dire qualcosa, magari noi quattro siamo legati dal filo rosso del destino, magari anche l'ufficiale ha trovato la sua persona che gli faceva dimenticare la guerra e magari quella persona è proprio Mila. Magari li incontreremo, se non in questa vita allora nell'altra. Magari un giorno qualsiasi tu e quella ragazza diventerete amiche, magari saremo proprio io e l'ufficiale a farvi incontrare. Ma fino ad all'ora non avere paura, io sono qui e non vado da nessuna parte."

Nota autrice:

Questo capitolo non è semplicemente un capitolo qualsiasi, è qualcosa di più, è un intreccio di vite passate e presenti che ancora non riesco a capire del tutto. Ci ho messo una settimana per scriverlo perchè volevo che uscisse perfetto, degno delle persone a cui l'ho dedicato. Il libro di cui parlo è il già citato "Ci rincontreremo in un giorno di Aprile" di Emma White.

Emma, in questo giorno importante ti dedico questo capitolo, a te e alla tua cosa bella. Vi auguro il meglio perché ve lo meritate. Ti voglio bene.

- Clara

Ricordo che era AprileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora