Rovereto, 24 Giugno 1940
I giorni passano monotoni, le giornate sono quasi sempre le stesse, mi alzo, vado in centro a prendere il pane e torno a casa. Ma nonostante questa quotidianità che può sembrare noiosa riesco sempre a trovare qualcosa di nuovo da fare, o almeno lo facevo un tempo. Adesso che è scoppiata la guerra le cose sono più difficili, ma stranamente sembra che non sia cambiato nulla e ogni tanto penso che quel discorso alla radio me lo sia solo immaginato. Ma poi vedo che qualcosa è cambiato in modo impercettibile, le persone sono spaventate e per le strade le vedo alzare in continuazione la testa nella paura di scorgere un aereo pronto a bombardare Rovereto, il cibo scarseggia e anche i generi di prima necessità sono difficili da trovare. Mi chiedo dove il mondo andrà a finire, è uscito da vent'anni da una guerra che ha lasciato solo morte e distruzione, e nonostante io non fossi ancora nata mio papà mi ha sempre raccontato com'era vivere in tempo di belligeranza, ho visto nei volti dei miei genitori la paura che avranno provato tanti anni prima, precisamente il 24 Maggio 1915. Oggi fa davvero caldo, sento il sole che mi picchia sul viso e i vestiti mi si sono appiccicati al corpo, così raccolgo i capelli in un chignon per alleviare un po' il caldo ma la situazione non migliora. "Buongiorno cara" mi saluta una gentile signora anziana che abita vicino a noi. "Buongiorno signora." Dopo aver camminato parecchio per le stradine del mio paese che adoro, arrivo in centro stravolta dal caldo ma non potevo non uscire di casa perché devo comprare il cibo per la mia famiglia. Io sono sempre stata l'incaricata, visto che entrambi i miei genitori lavorano, e quindi arrivo al solito negozio di alimentari e mi metto in fila aspettando il mio turno. "Grazie mille, buona giornata" dico al signore che mi ha servita. "A lei signorina." Ritorno indietro ripercorrendo la strada che ho attraversato prima e arrivo in Piazza Rosmini, riconoscibile grazie alla grande fontana contornata da fiori posizionata al centro. "Che caldo mamma mia" dico tra me e me mentre mi asciugo la fronte dal sudore, cammino più lentamente adesso ma dei brividi mi fanno venire la pelle d'oca nel vedere lui, il soldato con cui mi sono scontrata dieci giorni fa, sempre nella sua uniforme della Wehrmacht che mi mette una certa angoscia. Inizio a sentire l'ansia crescere nella paura di farmi vedere, e quindi decido di voltarmi per ammirare le vetrine di alcuni negozi, nella speranza che lui vada via. Non so darmi una spiegazione di questa mia reazione infantile, dopotutto non l'ho fatto apposta ad andargli addosso, ma dentro di me so che non mi nascondo per questo, non solo per questo almeno. Da quel giorno di inizio Giugno non ho fatto altro che sperare di vedere quegli occhi verdi puntati su di me, di vedere il suo sorriso, un sorriso su un viso troppo giovane per essere un soldato. Ma insieme a queste emozioni belle si aggiungono l'angoscia e la razionalità, per prima cosa lui si sarà già dimenticato di me e cosa più importante è un tedesco, e io lo vedo come li guardano i tedeschi i miei compaesani e io non voglio immischiarmi, voglio starne fuori. "Troppo tardi ormai." Una vocina si fa strada nella mia testa e mentre cerco di ignorarla mi volto non vedendo più il tenente quindi, cautamente, decido di dirigermi verso la grande fontana per sciacquarmi il viso. L'acqua fresca mi fa tirare un sospiro di sollievo dal caldo opprimente e per un momento ritorno a respirare. "Signorina... Fräulein!" sento chiamare e riconoscendo la sua voce cominciano a tremarmi le mani. Mi giro e me lo ritrovo davanti con un sorriso a trentadue denti, quel sorriso che il mio cuore sperava di incontrare, e adesso che ce l'ho davanti mi irrigidisco e inizio a sudare freddo quando vedo che inizia ad avvicinarsi. "Buongiorno, caldo vero?" mi chiede avanzando piano, come se avesse paura di spaventarmi. Ho ansia, è vero, ma vorrei dirgli che lui non mi potrebbe mai fare paura. "Buongiorno signor tenente. Si è molto caldo oggi, non so come fa a stare con quella divisa" gli dico facendo un cenno con la mano alla giacca verde scuro, e lo dico con un sorriso sulle labbra che mi compare spontaneamente, ma il mio cuore batte nervoso. "Dovere. È andata a sbattere contro qualcun altro?" mi chiede ridendo poggiando la mano sul cinturone dove è appesa una pistola che contrasta con il sorriso che lo illumina più del sole stesso. "No, ho seguito il suo consiglio" gli rispondo con un leggero sorriso. L'ansia mi comprime il petto e prima di mordermi la lingua le parole mi escono dalla bocca. "Devo andare adesso" gli dico sorpassandolo, ma la sua voce, profonda e rassegnata, mi arriva come se mi avesse pugnalata alla spalle. "Ha paura di me non è vero?" dice con una voce velata di tristezza. Mi giro verso di lui, ora il sorriso che aveva e che splendeva più di qualsiasi altra cosa al mondo non c'è più. Al suo posto vedo il fardello che sta portando e che cela dietro alla divisa con la svastica che indossa. Non lo conosco, so solo il suo nome, ma vederlo così affranto per colpa mia mi fa sentire una persona orribile. "N-no, non ho paura di lei è solo che... è un paesino, non siamo abituati a tutto questo, ad avere stranieri" dico poco convinta. In fondo Rovereto non è proprio piccolo, e lui non è uno straniero qualsiasi, è un ufficiale dell'esercito del Reich. Con questa frase mi sembra quasi di scusarmi anche per i miei compaesani, dopotutto non sappiamo cosa celano questi uomini dietro l'uniforme. "Sì capisco" mi risponde lui e mentre lo dice abbassa lo sguardo sui suoi anfibi. "Posso avere l'onore di conoscerla meglio? Non conosco nessuno qui..." ritenta l'ufficiale e per un attimo il suo sorriso ritorna. Io mi sento mancare la terra sotto i piedi. Mai avevo ricevuto una simile proposta, e riceverla per la prima volta da un soldato tedesco mi mette una certa difficoltà. Non so come comportami, sono solo una ragazzina, perché vuole conoscere me? "Ehm... ci penso" dico a bassa voce, non so neanche se mi abbia sentita. Ma mi ha sentita eccome, annuisce con sguardo triste e volta la spalla pronto per andare via, via dal mio rifiuto celato dietro parole confuse. "Va bene, non importa signorina, a presto." Si tocca il cappello, si volta e se ne va. Lo guardo pietrificata andare via, via da me, forse sono stata troppo affrettata, forse vuole solo diventare mio amico. Mi sembra così solo... "Certo, un soldato che vuole esserti amico, si vede tutti i giorni." Senza prestare attenzione alla vocina fastidiosa nella mia testa inizio a rincorrerlo per fermarlo. Non so bene che cosa voglio fare, l'unica cosa che so è che non voglio vederlo triste per colpa mia. "Aspetti, tenente Krumme!" Lui si volta e io continuo a parlare per non perdere il coraggio. "Va bene. Ci possiamo trovare domani alle ehm..." "Per le 15:00?" prosegue lui di nuovo felice, alla vista del suo sorriso il mio cuore si rianima. "Sì va bene, davanti alla biblioteca, sa dov'è? Così le faccio vedere il paese, ecco..." mi sto incartando, mi rendo conto che sto dicendo cose un po' a caso, ma lui sembra non farci caso. "Va bene allora" mi prende la mano e me la bacia, guardandomi sempre con quello sguardo che mi intriga e non so il perché. "A domani Fräulein." "A domani signor tenente." Dopo aver sbrigato tutte le commissione decido di ritornare verso casa e nel tragitto mi rendo conto di avere accettato un appuntamento con un soldato, un ufficiale, della Wehrmacht. Non voglio dire niente a mia madre o a mio padre per non creare allarmismo inutile. Anche loro sono spaventati dai soldati e non posso biasimarli, inoltre avevo promesso a mio papà che non mi sarei avvicinata a loro. Per un attimo mi sento in colpa, loro si fidano di me e io sto rovinando la loro fiducia nei miei confronti per uscire con una persona che nemmeno conosco. Però questo soldato di nome Alexander mi sembra diverso dagli altri, è diverso da come immaginavo, sono stata in grado di fargli cambiare umore solo perché gli avevo dato il beneficio del dubbio sull'accettare il suo invito, per poi sorridere non appena avevo cambiato idea. Vederlo con quegli occhi tristi e dopo con un sorriso perché avevo accettato la sua richiesta mi ha scaldato il cuore, forse è veramente l'eccezione alla regola. Una cosa che ho sempre cercato di fare è non avere pregiudizi sulle persone, può essere difficile infatti non sempre riesco nel mio intento, ma è quello che cerco sempre di fare. Alexander. Chi sei tu?
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Ricordo che era Aprile
General FictionRovereto, 1940 La guerra è appena scoppiata in Italia, il mondo è in guerra, ma Clara, una ragazza di sedici anni, si augura che nel suo paese fra le montagne la sua quotidianità non cambi. In cuor suo spera che la vita, la vita che conosceva fino a...