Capitolo 13

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Rovereto, 27 Luglio 1940

I giorni passano lenti e nella più totale paura. Nessuna bomba è stata ancora sganciata su Rovereto, ma le notizie di città bombardate in tutta Italia ci fa accapponare la pelle. In una semplice notte potremmo anche noi sentire le sirene suonare, infatti i soldati sono passati in ogni casa per trovare dei rifugi adatti a eventuali bombardamenti. Nella mia piccola casa la vita scorre normalmente, per quanto possa essere normale che mio padre non vuole più rivolgermi la parola. Non ha cambiato idea su noi due e io non so più che cosa fare, mia madre neppure, anche lei ha provato a parlargli ma niente da fare. Io e Alexander continuiamo a vederci, ovviamente, ci amiamo e ci basta l'amore reciproco, ma dentro di me provo dolore per l''indifferenza di mio papà. Sono stesa sul divano a leggere una rivista e sto aspettando il mio tenente, visto che questo pomeriggio non ha impegni ne abbiamo approfittato e abbiamo deciso di andare a fare una passeggiata. Sento bussare e quindi mi precipito ad aprire trovandomi lui davanti. Gli salto in braccio come una scimmietta e ci baciamo. "Mi fai entrare?" mi chiede ridendo dopo avermi rimessa giù. "Ma certo." Lo faccio entrare e sedere in cucina. Devo raccontargli di come è andata la chiacchierata con i miei e ho paura di ferirlo, non voglio che stia male per nulla al mondo, soprattutto se è per colpa mia. "Com'è andata con i tuoi?" chiede curioso di sapere. Non avevo detto niente a lui, non ho avuto il tempo e il coraggio, soprattutto. "Un disastro" dico abbassando lo sguardo, lui si strofina gli occhi esasperato e posso percepire la sua tristezza gravare su tutto il suo corpo. "Mia mamma ha capito, stranamente. Ma il problema è mio papà." "Cavolo mi dispiace, ti sto incasinando tutto" dice tristemente. Ecco di cosa avevo paura, di farlo star male per paura di avermi ferita in qualche modo, mi alzo e mi siedo sulle sue gambe, lui mi circonda i fianchi con le sue braccia, lo bacio trasmettendogli un po' di calma nel suo cuore agitato e lui mi guarda con quei bellissimi occhi verdi. "Non stai incasinando niente!" preciso io. "Proverò io a parlare con lui, meine Liebe." Lo guardo spalancando gli occhi. "Non so se sia una buona idea, Alexander..." "Voglio provarci, per te" dice sorridendo e io lo abbraccio forte, accarezzandogli la schiena e perdendomi nel suo profumo buono. "Va bene soldato." Lui mi prende il viso e mi bacia le labbra e poi la fronte, lo adoro quando lo fa. Ci guardiamo per un po', cercando di dimenticare tutti i nostri problemi. "Andiamo a camminare?" chiedo. "Certo." "Arrivo, vado a mettermi le scarpe." Salgo di corsa le scale cercando di non cadere, essendo un'eterna sbadata, ed entro in camera mia, mi infilo i calzini e le scarpe, afferro lo zainetto e in due minuti sono pronta. "Wow, a tempo di record" ride Alexander. "Hai visto?" esclamo allargando le braccia. Lui prende la giacca della sua uniforme e mi apre la porta. "Signorina..." "Danke" dico facendo un inchino e ridiamo entrambi. Amo stare con lui, mi fa dimenticare che siamo in guerra, pur essendo lui un soldato. Mi prende a braccetto e appoggio la testa sulla sua spalla mentre scendiamo lungo la piccola discesa di casa mia. Ma, poco dopo, vedo salire mio padre e presa dal panico spingo Alexander in modo da nasconderlo alla sua vista ma, ovviamente, lo nota. "Clara! Quante volte devo dirtelo?" inizia a sbraitare lui appena lo vede. Ho seriamente paura di una sua reazione sconsiderata, sono parata davanti ad Alexander come per proteggerlo, da mio padre poi! "Signor Fiocchi, io amo sua figlia." Va subito al punto, il mio soldato. Se non fosse per il momento inopportuno mi avrebbe fatto sorridere. "Tenente la lasci stare" dice mio padre, lo vedo un po' intimorito dal ragazzo di fianco a me e questo mi fa divertire. Io adoro mio papà ma alcune volte è troppo, troppo testardo. Mia mamma dice che io e lui siamo uguali. Decido di posizionarmi fra i due per cercare di calmare le acque. "Basta, perché non andiamo a casa e ne parliamo come persone civili?" intervengo nella loro disputa. "Ah, civili..." mormora mio padre mentre ci sorpassa e questo mi a imbestialire. Adesso basta. "Provaci almeno papà!" urlo nella sua direzione. "Signor Fiocchi le voglio parlare, la prego" dice Alexander con tono calmo ma autoritario, il tono da ufficiale lo chiamo io. Mio padre guarda prima lui e poi me. Posso quasi vedere gli ingranaggi della sua testa muoversi per capire cosa fare. Ma quel giorno la fortuna sembra essere dalla nostra parte. "Vedi di muoverti!" dice puntandomi il dito. Quindi guardo Alexander con un sorriso speranzoso e sprono entrambi a entrare in casa. Ci sediamo e si propaga il silenzio, siamo tutti e tre molto tesi. "Parli signor tenente" inizia mio papà e il mio corpo viene percorso dai brividi. Lo chiamavo sempre io così, le prime volte che ci vedevamo e lo faccio ancora alcune volte, per scherzare e per prenderlo in giro. "Io amo sua figlia" inizia Alexander ma viene subito interrotto. "Questo lo ha già detto." "Papà!" dico mentre lo fulmino con lo sguardo. "Mi sono innamorato di lei – mi prende la mano – e non mi è mai successo prima." Mentre lo dice mi guarda dolcemente. "La prima volta che l'ho vista, quel giorno, appena ho posato gli occhi su di lei ho capito che sarebbe diventata parte di me." Io sorrido e prendo la mano di mio papà, tengo per mano i miei uomini preferiti. Se solo sapessero, entrambi, quanto sono importanti per me forse non staremmo qui a discuterne. "Papà, ti ricordi quando sono passati gli aerei? Quelli che non ci hanno bombardati? Ecco lui mi ha protetta, si è messo sopra di me per proteggermi" intervengo io e mio papà posa gli occhi su Alexander. "Veramente?" Il mio soldato annuisce. Mio padre continua a guardare il tavolo senza spiaccicare una parola. "Lo ami veramente?" mi chiede dopo un po' e io annuisco speranzosa. "Mi fa dimenticare la guerra, e io a lui." "E cosa farai se mai dovesse partire?" mi chiede e io non esito a rispondere. "Lo seguirei. Ma anche se non potessi farlo, starei sempre con lui, qualsiasi cosa accada." La mia voce trema nel dire quelle parole, è una delle mie paure più grandi, vederlo partire e non tornare più. Papà appoggia la sua mano su quella di Alexander che è poggiata sulla mia, ed entrambi lo guardiamo sconvolti. "Va bene" dice, io mi alzo subito dalla sedia e lo abbraccio cingendogli il collo. "Grazie papà, grazie" dico commossa e lui mi abbraccia di rimando, è emozionato quanto me. "Ti avverto però – dice guardando Alexander – se dovesse anche solo torcerle un capello gliela faccio pagare. Non mi interessa se lei è un tenente o un soldato della Wehrmacht." "Papà!" mormoro sorridendo, protettivo fino alla fine, anche se so che Alexander non mi farebbe mai del male. "Certo signore, ma non succederà." Detto questo si stringono la mano, ma poi mio padre fa una cosa che non mi sarei mai aspettata, gira attorno al tavolo e lo abbraccia dandogli una pacca sulla spalla. Alexander, rimasto anche lui interdetto, resta con le braccia a penzoloni ma poi ricambia l'abbraccio sorridendo. Successivamente mio padre abbraccia me, si sta comportando come se gli avessi detto che mi voglio sposare e trasferirmi in Germania, ma so quanto sia difficile per lui, gli voglio bene per questo. "Rimarrai sempre la mia bambina sappilo." Ci guarda entrambi spostando lo sguardo da me a lui. "Forza ragazzi, la vita è dura lo so io. Soprattutto adesso, ma l'amore aiuta. Siete solo dei ragazzi, ma siamo qui, dobbiamo essere forti. Dai, andate a fare quella passeggiata." "Ti voglio bene papà" gli dico, non sa quanto. "Anche io" sussurra per poi sparire in salotto. Quindi usciamo e appena siamo fuori dalla porta Alexander mi prende fra le sue braccia e mi fa fare una giravolta, ci baciamo felicissimi. "Sono la persona più felice del mondo, meine Liebe." "A chi lo dici. Sto meglio ora che abbiamo l'approvazione dei miei." "Sì anche io non sai quanto. Quanto sei bella Clara" dice guardandomi e io sorrido imbarazzata. Lo tiro per una mano e iniziamo a percorrere la strada con il sole di fine Luglio che mi scalda il viso. "Che giorno è oggi?" chiedo. "Ehm, il 27 Luglio. Perché?" "Perché non dimenticherò mai più questo giorno." Lui mi sorride, quel sorriso che mi fa sognare. "Sì be, è stato difficile, però è andata meglio di quanto mi aspettassi. Pensa quando gli chiederò la benedizione per quando ti sposerò" dice guardandomi con la coda dell'occhio. Io rimango scioccata e comincio a ridere come una stupida e imbarazzata lo spintono. "Che stupido che sei" dico cercando di nascondere l'imbarazzo, ma sono felice come non lo sono mai stata. Sposarmi, io con lui, sarebbe un sogno, chissà un giorno... "Ho detto la verità" mi dice prendendomi a braccetto. Io non dico niente, mi limito ad appoggiargli la guancia sul braccio, dandogli un bacino sulla spalla che vale più di mille parole. Cos'ho fatto per meritarmelo? È la persona più importante della mia vita, lui è la mia vita. 

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Ricordo che era AprileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora