Capitolo 4

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Rovereto, 25 Giugno 1940

Davanti allo specchio mi sto preparando per incontrare il soldato. Ho pensato tutto il giorno se questa cosa è veramente la cosa giusta da fare, ma alla fine sono giunta alla conclusione che sì, è la cosa più giusta. Decido di mettermi un vestito bianco con le violette e di acconciare i miei capelli marrone scuro in maniera semplice, fermando le estremità con delle forcine. Non mi sono mai preparata prima d'ora per uscire con un ragazzo, ma non credo che definire Alexander un semplice ragazzo sia corretto. Ho il cuore che va a mille e non ho ancora razionalizzato la situazione. Quando ho finito prendo lo zainetto marroncino e mi dirigo alla porta per uscire, prima che la mia ansia mi faccia cambiare idea. Non ho ancora inventato una scusa da propinare a mia mamma ma potrei rimanere sul vago. "Dove vai?" mi chiede per l'appunto lei vedendomi pronta per uscire di casa. "In paese" le dico, non posso dirle la verità anche se vorrei, lo vorrei tanto. Faccio per uscire definitivamente ma la sua voce mi frena ancora. "Ti hanno vista parlare con un ufficiale tedesco in piazza. Te l'ho detto che devi stare attenta a loro, sono cattivi." Impallidisco, in che senso mi hanno vista con un soldato tedesco? L'unica volta che ho parlato veramente con lui è stato ieri! Possibile che qualcuno abbia detto a mamma di avermi vista con lui? Ovviamente non mi stupisce che abbiano spifferato tutto, ma cerco di mantenere la calma. "Mamma non è stato niente, tranquilla" le dico per farla calmare e intanto guardo l'orologio: sono le 14:50, se non mi muovo farò tardi. "Devo andare, ti voglio bene." "Anche io, sta attenta!" Esco finalmente di casa e intanto penso del perché la gente non si fa mai i cavoli suoi, dico sul serio, vedono il marcio anche se non c'è, devono per forza dire la loro anche se non sanno niente. Cerco di scacciare via il pensiero e intanto sotto il sole cocente mi dirigo verso la biblioteca civica di Rovereto: un grande edificio con la facciata gialla, uno dei luoghi che amo di più al mondo. Entri e vieni immerso dal profumo dei libri, vieni risucchiata dalle loro storie che ti fanno evadere per un momento dalla realtà, e soprattutto di questi tempi mi ritrovo a fantasticare di trovarmi in altri luoghi, dove la guerra non c'è. Intanto arrivo davanti alla biblioteca, dopo aver camminato sotto il sole cocente e decido di aspettare il tenente seduta su una panchina. Inizio a torturarmi le mani essendo nervosa, non so che cosa mi aspetterà. All'improvviso sento la sua voce e il mio cuore perde un battito. "Signorina." Mi giro e lo vedo arrivare, imponente nella sua uniforme. Il suo volto, il suo portamento e quel maledetto sorriso che non lo lascia mai, neanche per un secondo. Nervosa mi alzo e lo raggiungo. "Signor tenente" lo saluto con la voce che mi trema. "È venuta!" Dal tono in cui lo dice sembra stupito di vedermi realmente lì. "Certo!" dico senza esitazione, come se non potessi mancare per nulla al mondo e dentro di me lo penso veramente. Dopo degli attimi di silenzio finalmente rompe il ghiaccio. "È bellissima" mi dice abbassando la voce, come se avesse paura di farsi sentire, come se volesse confessarmi un segreto. Io arrossisco non essendo abituata a ricevere complimenti. Il mio cuore fa una capriola di gioia nel sentire quelle due parole, è veramente bello sentirsele dire. Sbiascico un grazie con un piccolo sorriso e lui mi invita ad avanzare. "Come sta?" mi chiede il tenente. "Bene e lei?" "Bene grazie." Siamo tesi, entrambi, e questo mi mette un po' a mio agio, non sono l'unica allora. Perfino un soldato del Reich può essere in difficoltà. Forse non è più abituato a vivere situazioni che dovrebbero essere normali per un ragazzo della sua età. "Be la guerra mi fa paura, a volte sa..." gli dico in un momento di slancio. "Be è la guerra." Mentre lo dice i suoi occhi si addolciscono mentre mi guarda. Ha degli occhi bellissimi, di un verde chiarissimo e limpido. "Già, non avrei mai pensato di vivere in un periodo così, che farà la storia diciamo..." "Sì neanche io" mormora, posso scorgere un velo di tristezza nei suoi occhi, non deve essere facile neanche per lui. "Da quant'è un soldato?" mi sento di chiedergli, mi sembra così giovane che mi chiedo come possa essere già un ufficiale. Voglio conoscerlo meglio, lo voglio veramente. Lui mi guarda e comincia a raccontare. "Da quando ho diciott'anni più o meno. Mi sono arruolato nella Wehrmacht per volere di mio padre sa, ma io non credo nel nazismo e in Hitler ben che meno." Io mi blocco dopo aver sentito queste parole credendo di aver capito male. Un tenente dell'esercito tedesco che dice che non crede nel nazismo? E perché lo ha detto a me poi? Se qualcuno ci sentisse sarebbe la fine. "Perché lo ha detto a me? E' pericoloso." "Perché mi fido di lei." "Non mi conosce neanche!" "Voglio fidarmi." Al suono di quelle parole la mia espressione, da impaurita e sconcertata, si rilassa e gli sorrido per questa fiducia inaspettata che mi scalda il cuore. Ho come l'impressione che lui non sia avvezzo a queste tipo di conversazioni, non più almeno, lo vedo nel suo sguardo e nelle sue parole. "Manterrò il suo segreto" mormoro, lui mi sorride con gratitudine e nel mentre si toglie il berretto. "Neanche io credo nel nazismo e nel fascismo, stanno portando solo guai." Solo dopo aver pronunciato la frase mi rendo conto di quello che ho confessato. Ma lui non si scompone, come se l'avesse già capito, come se fosse ovvio e all'improvviso si ferma. "Volevo ringraziarla" mormora volgendo gli occhi su di me. "E per cosa?" Infondo non ho fatto niente, sono io che dovrei ringraziarlo, se non avesse insistito non saremmo qui a parlare, come due ragazzi normali in tempo di pace. "Per oggi, per questo momento." Al sentire queste parole non posso fare a meno di sorridere. "E di che." Ci guardiamo per dei secondi che a me sembrano un'eternità, i suoi occhi verdi incastrati nei miei color nocciola. Da quanto ci fissiamo intensamente le gambe mi tremano, vorrei distogliere lo sguardo per colpa della mia timidezza che bussa nel mio petto ma semplicemente non riesco. Dopo un po' decido di portarlo in un posto e quindi lo invito a seguirmi. "Venga con me" gli dico. "Va bene" dice senza esitazione e così inizio a camminare nella direzione opposta con lui al mio seguito. "Dove andiamo?" mi chiede curioso, e con un sorrisetto gli rispondo di rimando. "Adesso vede." Dopo pochi minuti arriviamo davanti al fiume che attraversa Rovereto e ci sediamo su una panchina, lui alla mia destra distende le gambe e si gode il paesaggio. Lo guardo cercando di non farmi vedere da lui e rimango colpita dalla sua bellezza, che al sole viene accentuata. I suoi capelli biondi sembrano quasi trasparenti alla luce del sole. "Che bello qui, come si chiama questo fiume?" mi domanda continuando a guardarlo. "Fiume Leno." "Leno – dice come se stesse assaporando la parola – è un bel paese Rovereto." "Già, si è bello." Dimentico alcune volte quanto lui abbia ragione. È un paese semplice ma ricco di storia, con dei bei paesaggi, e poi ci sono le montagne che fanno da sfondo. Fin da piccola ho sempre amato le montagne, tanto che con mio papà andavo sempre a fare delle piccole escursioni. "Posso chiederle un favore tenente?" mi giro guardandolo. "Certo" risponde lui incuriosito, mi sorride voltandosi verso di me. "Si può togliere la giacca? Mi sta facendo morire di caldo" dico ridendo, neanche io so con quale coraggio gliel'ho chiesto. Non credo che possa, un soldato deve sempre essere impeccabile e con l'uniforme a posto, però oggi fa veramente caldo e so che dentro di lui sta soffrendo. "Non aspettavo altro che me lo chiedesse." Quindi inizia a sbottonarla e se la toglie rimanendo in camicia. Nel mentre io mi abbasso per grattarmi la gamba e in un momento di slancio gli faccio delle scuse. Mi rendo conto di averlo giudicato male, sono stata precipitosa e non se lo meritava. Adesso che lo sto conoscendo meglio capisco di aver sbagliato su tutti i fronti. "Comunque volevo scusarmi" dico senza guardarlo negli occhi. "E per cosa?" mi chiede alzando il sopracciglio realmente confuso dalla mia confessione. "Per essere stata maleducata con lei, le prime volte. E non avevo paura di lei, ma della sua divisa" dico arrossendo un po' e indicando con la mano la giacca poggiata sulla panchina. "Non si deve preoccupare signorina, è normale, anche a me fa paura a volte. Mai mi sarei aspettato di diventare un soldato così giovane." Mentre lo dice mi guarda e i suoi occhi si fanno teneri, non lo diresti mai di un soldato tedesco, però ho la sensazione che questo soldato che è vicino a me non sia come gli altri, e dopo quello che ha detto ne ho quasi la conferma, dopotutto ci scordiamo che sono umani pure loro, io in primis. "Sì...e poi avevo anche paura del giudizio della gente." Non mento, penso un po' troppo a quello che potrebbero pensare gli altri, è sempre stato un mio grande difetto, non è bello vivere con la paura che quello che fai possa essere giudicato da altre persone che magari neanche ti conoscono. "Be posso immaginare" dice ritornando a guardare il fiume davanti a lui. "E inoltre ci hanno visti, mia mamma sa tutto." Ecco l'ho detto, infine non hanno visto nulla di che ma so quanto uno semplice scambio di sguardi possa far capire male alle persone. "Perché la gente non si fa gli affari suoi" dice irritato e non posso che dargli ragione. "È quello che ho detto anche io. Comunque mi scusi, sul serio" ripeto guardandolo, questa volta, e lui fa lo stesso con me. Di nuovo quel maledetto sguardo. "Non si preoccupi Clara" sussurra con un dolce sorriso, mi sposta i capelli dietro la spalla lasciando le dita scorrere nei boccoli color cioccolato per dei secondi impercettibili, io gli sorrido incapace di fare altro. "Va ancora a scuola?" mi chiede il tenente dopo un paio di minuti di silenzio. Parliamo e stiamo in silenzio, parliamo e stiamo in silenzio un'altra volta, come se volessimo goderci la presenza dell'altro in silenzio. "No, ho smesso, anche se avrei voluto continuare, ma con lo scoppio della guerra e con i soldi che scarseggiano è impossibile. Però voglio rendermi utile in qualche modo, pensavo di diventare infermiera. Ho già scritto la lettera da mandare all'ospedale, ma non ho ancora avuto il coraggio di spedirla." So cosa mi aspetta se decido di proseguire con la mia decisione, non sarà facile. "Sarà a contatto con molti feriti, soldati e civili... soprattutto adesso che ci sono i bombardamenti." "Grazie per avermelo detto" dico sarcastica, però so che in fondo ha detto la verità. "È la verità" dice guardandomi, ecco lo ha sottolineato anche lui. "Sì ha ragione" dico con una voce rassegnata. "Però lo so, non è facile." "Soprattutto per lei." Lo guardo sott'occhi, lui invece guarda dritto nei miei con i suoi occhi verdi e non distoglie lo sguardo, continua a fissarmi con quegli occhi che non riesco a decifrare, ma che mi ritrovo a volerli vedere sempre. "Cosa c'è tenente?" gli dico con un sorriso e una risata nervosa. "Nulla" e ritorna a guardare davanti a se, sempre con quel sorrisino stampato in faccia. Quel sorriso sarà la mia rovina.

Alla fine decidiamo di alzarci e lì le nostre strade si separano, non senza prima avermi fatto il baciamano e io senza prima averlo salutato a dovere. "Arrivederci signor tenente." La mia voce ha tremato appena ho pronunciato quelle tre parole, forse per la consapevolezza di essere uscita con un tenente dell'esercito tedesco, forse per il suo sguardo che mi è rimasto impresso nella mente, forse per quel sorriso gentile che stona con il suo abbigliamento. Ho paura che il cuore mi stia uscendo fuori dal petto, sta battendo fortissimo e questa cosa mi spaventa. Non ho idea di quello che succederà, l'unica cosa che so è che non vedo l'ora di rivederlo. 

Nota autrice:
In questo capitolo avete avuto modo di conoscere di più il soldato tedesco, chissà, magari è veramente l'eccezione...

-Clara

Ricordo che era AprileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora