Capitolo 33

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Rovereto, 13 Ottobre 1943

Dopo il bombardamento di Trento il paese sembrava come svuotato, le persone uscivano solo per sbrigare le proprie faccende per poi rintanarsi in casa con la paura di un imminente attacco nemico. Successivamente al quel terribile giorno, come se i nostri animi non fossero già provati abbastanza, l'8 Settembre il maresciallo Badoglio annunciò l'armistizio con l'Inghilterra e gli Stati Uniti e l'esercito italiano fu lasciato solo a fronteggiare questa notizia. Non eravamo più nemici degli Alleati, ma quindi lo eravamo della Germania? Questo pensiero mi fece tremare di paura, se l'Italia fosse diventata nemica della Germania di conseguenza anche io e Alexander lo saremmo diventati. Dopo poche settimane dallo scioglimento del Partito Fascista Mussolini, grazie all'appoggio della Germania, riuscì a risalire al potere creando la Repubblica di Salò. Tutto il Nord Italia era di nuovo sotto il controllo fascista, sembrava che tutto stesse ricominciando da capo. Il nostro paese venne spezzato in due, il Sud Italia da poco liberato dagli americani e il Nord Italia occupato di nuovo dai fascisti. Dal mio punto di vista sono state settimane intense, le persone che prima gioivano per la fine del fascismo erano quelle che dopo si ritrovavano d'accordo con il nuovo Partito Fascista Repubblicano, certe persone erano tristi per l'arresto di Mussolini mentre altre, che da sempre erano state antifasciste, si ritrovarono catapultate in un fastidioso déjà-vu. Io volevo starne fuori, fin dalla sua nascita, ancora prima che nascessi io, il fascismo non mi era mai andato a genio e sicuramente il mio pensiero non è affatto cambiato. Ma nonostante l'umanità stesse continuando a farsi la guerra, l'autunno arrivò come in tempo di pace, portando con sé il freddo, la pioggia e l'ennesimo discorso di Badoglio che avrebbe cambiato per sempre le nostre vite.

ITALIANI! – Con la dichiarazione fatta l'8 settembre u.s., il Governo da me presieduto, mentre annunciava la accettazione da parte del Comandante in Capo delle Armate angloamericane in Mediterraneo dell'armistizio da noi richiesto, ordinava alle truppe italiane di rimanere con le armi al piede, pronte a respingere qualsiasi tentativo di violenza da qualsiasi parte venisse loro fatta.
Con una simultaneità d'azione che evidentemente palesò un ordine superiore da tempo impartito, le truppe tedesche imposero ad alcuni reparti il disarmo, mentre nella maggior parte dei casi passarono decisamente all'attacco.
ITALIANI! Non vi sarà pace in Italia finché un solo tedesco calcherà il vostro suolo. Noi dobbiamo, tutti compatti, marciare avanti con i nostri amici degli Stati Uniti di America, della Gran Bretagna, della Russia e delle altre Nazioni Unite. Nei Balcani, in Jugoslavia, in Albania, in Grecia, ovunque si trovino truppe italiane che sono state testimoni di uguali atti di aggressione e di crudeltà, esse devono combattere fino all'ultimo contro i tedeschi.
ITALIANI! Vi informo che S.M. il Re mi ha dato l'incarico di notificare oggi 13 ottobre la dichiarazione di guerra alla Germania.

Un capogiro mi fa perdere l'equilibrio, se mio padre non mi avesse sostenuta per un braccio probabilmente sarei rovinata a terra. Priva di sensi. E forse sarebbe stato meglio così. Tante volte ho pensato, prima di dormire o appena sveglia, che cosa io e mio marito abbiamo mai fatto di così sbagliato per essere visti da tutti, e adesso anche agli occhi del mondo, nemici e persone da odiare solo per il fatto che noi due ci amiamo. Forse è colpa della guerra, che fa nascere nelle persone l'odio verso chi è diverso, perché se lui fosse stato italiano al cento per cento o io tedesca forse non ci saremmo tirati addosso tutto questo odio. Se ci fossimo incontrati in un'epoca diversa forse le persone ci avrebbero sorriso nel vedere due giovani innamorati, invece che guardarli con disprezzo. Non vi sarà pace in Italia finché un solo tedesco calcherà il vostro suolo. Non sono mai stata dalla parte loro, dalla parte di quei fanatici nazisti che meriterebbero solo l'Inferno, ma neanche Alexander lo è mai stato, ma per tutti lui è un nazista semplicemente perché indossa quella divisa che lo ha marchiato da quando aveva diciotto anni. La vita è stata brutale con lui, si porta dietro l'odio che le persone gli hanno inflitto dall'adolescenza, l'odio che volevano trasmettergli verso chi è diverso, gli hanno fatto imbracciare un fucile quando avrebbe dovuto impugnare una matita, una chitarra o una macchina fotografica. L'Italia non si darà pace finché tutti i tedeschi spariranno dal nostro territorio, ma loro non sanno e non sapranno mai quanto queste parole facciano male per me. Io non voglio che la guerra me lo porti via, le persone che hanno fatto del male e che continuano a farlo meritano questo, ma lui non è come loro, non lo è mai stato. Lui è il mio tedesco buono. E allora se l'intero popolo italiano non vuole vedere di che cos'è fatta veramente la sua anima vorrà dire che lo porterò via, ce ne andremo entrambi in un luogo che solo noi conosciamo per poter vivere finalmente in pace. Ma non possiamo, perché non esiste un luogo simile, adesso io e lui siamo nemici veri e propri, nemici che portano la fede al dito. Delle braccia mi avvolgono e le carezze delicate di mia mamma mi risvegliano dai miei pensieri. Vorrei piangere ma non riesco, continuo a sentire quella frase nella mia testa che rimbomba e non riesco a fare niente per fermarla. Incontro gli occhi di mio papà che mi guardano tristi, mentre mi aggrappo a mia madre come se fosse la mia ancora di salvezza, forse riescono a sentire la tempesta che imperversa dentro di me, vorrei urlare ma nessuno mi sentirebbe. "Tesoro mio, va tutto bene, andrà tutto bene" continua a sussurrarmi mia mamma nella speranza di risollevarmi. Sento così tanto dolore e paura che mi mordo il labbro per impedire di crollare, lo mordo così forte da sentire il sapore del sangue sulla lingua. Anche mio papà ci raggiunge in quell'abbraccio che sa solo di distruzione e speranze finite, perché dentro di me so che non c'è più speranza, come può esserci dopo tre anni di guerra? Sono solo tre anni ma sembra un'eternità, ormai sono stanca e se non fosse per il mio soldato sarei già crollata. Ci sono persone che stanno peggio di me, persone che stanno vivendo sulla propria pelle e in prima persona le conseguenze di tutto questo, ma ora come ora, nonostante possa sembrare egoista, riesco solo a vedere il mio dolore. "Io vado fuori a cercarlo" mormoro ancora incastrata fra i miei genitori che sento subito irrigidirsi. "No Clara, non ti lascio uscire mi dispiace. Non sai quello che sta succedendo lì fuori e..." Mi scosto dal loro abbraccio in preda al panico, per stare bene ho bisogno solo di una cosa e cioè vedere lui. "Ho bisogno di vedere come sta, vi prego cercate di capirmi, ho bisogno di vedere mio marito" dico con la voce rotta cercando di trattenere le lacrime. All'improvviso le mani di mio papà mi prendono il viso e i suoi occhi mi scrutano fin nel profondo. "Piccola mia ascoltami, lo so come ti senti, va bene? So che l'unica cosa che può farti stare bene è vederlo, perché so quanto lo ami e saperlo la fuori ti logora dentro, ma ascoltami. Se tu esci da qui io e tua madre non riusciremo a sopportarlo e non puoi rischiare perché se varchi quella porta non sai cosa può succedere. Tornerà qui, da te, dove vuoi che vada se non tornare da te? Per favore, aspettiamolo qui." Guardo gli occhi di mio papà farsi lucidi, forse non mi sono mai resa conto quanto lui tenga ad Alexander, è preoccupato tanto quanto me e mia madre pure. Ho il cervello annebbiato, so che potrei fare qualcosa di sconsiderato e che poi potrei pentirmene, lentamente indietreggio cadendo sul divano, prendo la testa tra le mani cercando di riordinare i pensieri e prego che il mio soldato sia al sicuro. Dopo ore di attesa, dopo che ho piluccato la cena senza mangiare realmente, il rumore di chiavi nella toppa della porta mi fa alzare dal divano come una molla. Mi affretto a raggiungere l'uscio di casa e la figura del mio bellissimo soldato mi compare davanti agli occhi, i miei genitori mi raggiungono e rimangono dietro di me. Nella casa cala il silenzio, nessuno osa parlare ma gli occhi di Alexander esprimono tutto quello che le parole, in momenti come questo, non possono fare. Si toglie il cappello stringendolo fra le mani, così forte da far diventare le nocche bianche, vorrei raggiungerlo e abbracciarlo ma sono come pietrificata, non riesco a muovere un muscolo. Alza gli occhi su di me e mi guarda con lo sguardo afflitto, distrutto e colpevole. Mi perdo in quel mare verde, vorremmo dirci tante di quelle cose che stiamo zitti perché dire qualcosa sarebbe inutile, Badoglio ha parlato per noi, io e lui siamo ufficialmente nemici, punto e basta. Lentamente mi si avvicina, il rumore dei suoi anfibi è l'unico in tutta la casa, il suo profumo di tabacco e menta mi arriva alle narici facendomi chiudere gli occhi un istante per annusarlo, ma appena li riapro lo trovo a pochi centimetri dal mio viso. Lo osservo bene, cerco di scovare i suoi pensieri più profondi ma un dettaglio dei suoi occhi mi spezza il cuore in mille pezzi. I suoi bellissimi occhi sono rossi e umidi, segno che ha pianto da poco, che ha pianto da solo. Perché non è venuto da me? Avremmo potuto piangere insieme, avrei potuto consolarlo e dirgli che tutto questo non ci può sfiorare perché il nostro legame va oltre tutto questo. Invece no, il mio soldato ha pianto da solo, forse perché si vergognava, forse perché per tutta la sua vita gli hanno insegnato che mostrare le proprie emozioni è da uomini deboli, gli hanno insegnato che un soldato non può piangere. Alexander mi regala un sorriso rassegnato, mi accarezza la guancia dolcemente e mi stampa un bacio sulla fronte, per poi incamminarsi silenziosamente verso la nostra camera, senza dire una parola.

Ricordo che era AprileDove le storie prendono vita. Scoprilo ora