Rovereto, Maggio 1943
"Quindi ti piacciono?" "Ma certo che mi piacciono! Ma come avete fatto ad avere una macchinetta fotografica in quel posto sperduto?" "Il maggiore Clara, il maggiore. Devi sapere, sposa, che i maggiori possono tutto, sono anche riusciti a farle sviluppare." Io rido scuotendo la testa, adoro come adesso mi chiami sempre sposa, come per rimarcare che tra non molto, quella parolina di cinque lettere, cambierà in moglie. Alcune volte mi impongo di non pensare che tra due settimane io e lui ci sposeremo, perché altrimenti vado fuori di testa dalla felicità. Siamo seduti su un prato a parlare tranquillamente, da quando lui è tornato ho provato a chiedergli che cosa avesse vissuto in quei due anni lontano da me ma era sempre restio, quindi ho preferito lasciargli il suo tempo, tempo per metabolizzare tutto quello che ha dovuto vivere e vedere. E oggi, distogliendomi dalla mia lettura, ha cominciato a parlarmi delle foto che aveva scattato in Norvegia e mentre parlava vedevo un luccichio negli occhi che non scorgevo da molto tempo. "Meine Liebe, ho scoperto cosa farò una volta finita la guerra, voglio diventare un fotografo! Voglio creare e non più distruggere, la fotografia è vita, è arte e io voglio farne parte." Se mi chiedessero qual è la cosa più bella della mia vita e che mi rende felice io risponderei vedere Alexander felice. Vederlo parlare delle sue passioni e dei suoi progetti a guerra finita mi fa pensare solo a una cosa: speranza! Lui è la mia speranza. "Tu puoi fare tutto quello che vuoi tesoro, come ti dissi tempo fa tu non sei la divisa che indossi, ricordalo. Sai come capisco che per te la fotografia è diventata importante? Perché quando ne parli hai lo stesso sguardo di quando guardi me." Lui mi guarda e scoppia a ridere, di conseguenza lo fulmino con lo sguardo. "Piccola, hai ragione amo scattare foto, ma niente è più importante di te. Comunque sei troppo presuntuosa." "Bè ho imparato dal migliore." Il mio soldato diventa serio e senza che me ne accorga comincia a farmi il solletico, mi dimeno per cercare di sfuggire dalle sue mani ma lui mi intrappola sotto di sé rubandomi un lungo bacio. In quel momento di dolce debolezza riesco a scansarlo e a rimettermi a posto. "Presuntuoso... non va bene signor tenente!" Ci scambiamo degli sguardi di sfida ma alla fine entrambi rinunciamo a questa battaglia instauratasi fra di noi, riprendendo a guardare le foto. Ne prendo una a caso dal mucchietto davanti a noi scattata nell'inverno del 1942, poco prima che lui ritornasse da me. Ritrae la sepoltura di un compagno di Alexander, questo soldato è stato sepolto da loro come meglio potevano, hanno recintato la tomba con dei paletti di legno, con i quali hanno anche realizzato una specie di croce e sopra di essa hanno posato l'elmetto. Un'enorme croce simbolo della Wehrmacht svetta in mezzo alla tomba, un altro ragazzo strappato alla vita da questa inutile guerra. Alexander ha voluto imprimere per sempre il ricordo di questo soldato, in modo che non venga dimenticato. Spero che sia stato una persona buona, ma se era suo amico allora non poteva essere altrimenti. "Si chiamava Robert, era un sottufficiale e siamo diventati amici. Una pallottola spuntata dal nulla lo ha ammazzato." Appoggio la foto e mi avvicino a lui cautamente, non voglio costringerlo a parlare se lui non vuole, voglio solo fargli capire che io ci sono, sono sempre qui. Preferivo quando mi faceva il solletico. "In Lapponia eravamo spesso fuori, perlustravamo i boschi e molto spesso dovevamo dormire fuori, al freddo e nelle neve, eravamo un gruppo di venti soldati, ufficiali e non ufficiali. Io comandavo i miei uomini e dovevo sottostare al maggiore, quello della fotocamera, e dopo un po' di tempo ho cominciato a conoscere meglio i miei compagni affezionandomi di più a Robert. Era un bravo ragazzo ma un giorno un pallottola uscita da non so dove lo ha colpito, probabilmente sono stati i partigiani. Comunque per quanto sia stato difficile, in Polonia è stato ancora peggio, sai, ci sono delle cose che non ti ho scritto nelle lettere." Gli bacio la guancia inspirando il suo profumo. "Non sei costretto a parlarne se non vuoi" dico accarezzandolo dolcemente e un accenno di sorriso gli compare sul volto. "Tra poco ti sposerò amore mio, voglio che tu sappia quello che ho fatto in questi anni. Ne hai il diritto." Annuisco facendogli capire che sono d'accordo sulla sua scelta ma prima voglio sapere un cosa. "Alexander, hai paura a raccontarmi perché temi che mi allontani da te?" Mi guarda e non dice niente. È una domanda stupida perché io non lo lascerei mai, per niente al mondo. Ma voglio capire le sue paure per aiutarlo a sconfiggerle. Dio solo sa come la guerra vera e propria lo abbia cambiato, e io devo stargli accanto, tutto il resto non ha importanza per me. "Clara, io... Sì questo timore ce l'ho e non perché non abbia fiducia nel tuo amore, non pensarlo neanche, ma solo per il fatto che ho paura di perderti da quando ci siamo conosciuti, per colpa della guerra e dell'odio che ci gira intorno da anni." Abbasso lo sguardo amareggiata, anche io provo le stesse cose, quando se ne è andato ho vissuto ogni giorno con il terrore che qualcuno mi venisse a dire che lui era morto. È stato uno strazio. "Anche io ho paura, è stata dura senza di te, avevo paura di non farcela, non ce la facevo più..." Mi si avvicina appoggiando la fronte sulla mia, ci guardiamo e dal suo sguardo capisco che inizierà il suo racconto. "Non ti piacerà, Clara." "Lo so, ma sono pronta ad ascoltarti." Alexander mi circonda le spalle portandomi vicino a lui, sento il suo cuore battere a mille. "Quando sono arrivato in Polonia, a Varsavia, ho subito sentito che lì era capitato qualcosa di brutto, di molto brutto. Essendo un ufficiale ovviamente mi hanno informato su tutto, ma nel 1939 quando era scoppiata la guerra non ero ancora tenente e quindi tante cose passavano solo per gli ufficiali di grado più alto. Il mio compito lì era quasi lo stesso di quello di Rovereto, presidiare la città e controllare, stare in ufficio con una marea di scartoffie. Ma, Clara, lì c'erano i ghetti..." Corrugo la fronte, i ghetti? Cosa sono i ghetti? Non ne ho mai sentito parlare. "Cosa sono?" chiedo quindi, dal tono della sua voce però dubito che sia qualcosa di bello. Si sfrega la faccia con le mani, lo vedo agitato e questa cosa non mi piace, non mi piace vederlo così. "Ehi Alexander – gli sussurro all'orecchio – va tutto bene, sono qui. Guardami." I suoi occhi, prima splendenti e felici, adesso sono velati di tristezza, paura e sensi di colpa. Ma che cosa è successo a Varsavia? Sicuramente non sono cose che si leggono sui giornali o che si sentono in radio, qualunque cosa sia deve essere una cosa che viene nascosta dalla propaganda, rigirata dalle mani dei potenti per far credere quello che vogliono. "Hai mai sentito parlare delle leggi razziali?" mi chiede sottovoce, ho come la sensazione che non dovremmo parlare di tutto questo. "Sì certo, quando andavo a scuola ce ne parlavano, non le ho mai capite fino in fondo e non mi piacevano affatto" dico sinceramente. Razze inferiori, razza ariana, non bisognava contaminare il sangue puro con quello delle persone che appartenevano ad altre razze, altrimenti non si era più un ariano. Idee di un folle ma che sono state acclamate da migliaia di persone. "Certo che non ti piacciono" mormora baciandomi la fronte. Rimane in silenzio per un po', forse sta raccogliendo le idee, o forse il coraggio perché per quello che stava per dirmi ce ne voleva tanto. "A Varsavia vivevano tantissimi ebrei, ma quando è scoppiata la guerra nel Settembre del '39 le truppe tedesche sono entrate nella città e hanno... hanno preso tutte le persone di religione ebraica e le hanno isolate dalla città, rinchiudendole in appositi quartieri: i ghetti. I ghetti vengono gestiti da noi, da soldati tedeschi, io ci sono entrato e non hai idea..." Si alza in piedi cominciando a camminare per il nervosismo, si passa la mano fra i capelli continuando ad andare avanti e indietro, vorrei dire qualcosa per calmarlo ma non so cosa, sto a malapena capendo quello che sta dicendo. So che le leggi razziali andavano contro soprattutto agli ebrei, ma non sto capendo il perché li hanno rinchiusi in questi ghetti. "Alexander, perché vengono messi lì?" Voglio capire ma una parte di me non vorrebbe sapere. Alexander mi dà le spalle, forse perché non ha il coraggio di guardarmi ma lo sa che può dirmi tutto! "Lì dentro donne, uomini, bambini e anziani ogni giorno muoiono di fame, di freddo e di malattie perché non lasciano entrare gli alimenti e le medicine che servirebbero a loro, li ho visti Clara, li ho visti. Vengono maltrattati, le donne vengono violentate, i corpi delle persone morte vengono lasciati in mezzo alla strada. Per Hitler sono delle persone da eliminare una a una, non sono più persone non hanno più diritti, per lui migliaia di persone devono morire per preservare la razza ariana." All'improvviso si gira verso di me, il suo sguardo è sconvolto e lo vedo lottare contro i suoi demoni che si sta portando dentro da tutta la vita. "Io sono entrato lì, lo capisci? E non ho potuto fare niente per aiutarli, niente Clara. Entravo, facevo quello che dovevo fare e poi uscivo come se niente fosse ma dentro di me urlavo, perché non è giusto quello che stanno facendo, e sai una cosa? Questo è nulla, perché la maggior parte delle persone ebree vengono portate in campi di lavoro, così li chiamano loro, non so cosa succeda in quei campi ma sono sicuro che non sia niente di bello. Ce ne sono in tutta Europa, in Germania, in Austria e anche in Polonia, ed è proprio lì che esiste quello più temuto Auschwitz reso operativo il 14 Giugno 1940." Mi porto le mani alla bocca, sento un vuoto nascere nel mio petto, io non so cosa dire, non capisco il perché di tutto questo. Perché ce l'hanno con gli ebrei? Cosa hanno fatto? Non riesco a capire che cosa sono di preciso questi campi ma dalle parole di Alexander non sono cose belle, mi sta salendo la nausea al pensiero che uno di questi campi sia stato aperto il giorno esatto in cui io e lui ci siamo conosciuti. In quel bellissimo giorno dove tutto è iniziato, dove due persone si sono viste per la prima volta per poi innamorarsi, ha avuto inizio l'inferno per migliaia di persone. Non è giusto, non lo è. "Amore mio – dico alzandomi – guardami, posso abbracciarti?" Lui mi guarda sconvolto, come se non avesse capito la mia domanda. "Vuoi ancora abbracciarmi dopo quello che ti ho raccontato? Sono un mostro Clara, ho visto quella povera gente e non ho fatto niente, alla fine sono come loro." "Non è vero! Ti prego non dire così." Mi stringo il corpo con le braccia, sono invasa da brividi di freddo e sento le lacrime scendere sulle mie guance, ecco perché aveva paura ma io non voglio che lui pensi tutto questo. "E per rispondere alla tua domanda sì, voglio abbracciarti e voglio sposarti perché tu non sei un mostro, io ti amo Alexander. Ti prego non dire più quelle cose, tu non sei come loro." I singhiozzi si fanno più forti e insistenti, il mio intero corpo trema tanto che mi giro dandogli le spalle perché non riesco a sostenere il suo sguardo colpevole, colpevole di nulla. Ad un certo punto sento avvolgermi la schiena e le spalle, mi rigiro affondando il viso nel suo petto liberando un pianto colmo di tristezza, tristezza per quelle persone e per il mio soldato. "Non volevo che tutto questo ti sfiorasse, non volevo che l'immagine che avevi di me cambiasse, ma questa è la verità tesoro, non ho fatto nulla." "Cosa potevi fare? Dimmelo! Se avessi fatto qualcosa ti avrebbero arrestato e probabilmente fucilato, ascoltami amore mio ti prometto una cosa, va bene? Ti prometto che renderemo giustizia a quelle persone, arriverà il giorno in cui tutto il mondo si renderà conto del massacro che l'umanità sta compiendo contro l'umanità, e noi due nel nostro piccolo faremo qualcosa per imprimere il ricordo di quelle persone nel nostro cuore, va bene?" Il suo sguardo mi penetra dentro l'anima, è uno sguardo distrutto dalla guerra, dall'odio e da tutto quello che ha dovuto vivere. Ventitré anni e ha già visto l'inferno in terra. "Va bene Clara, te lo prometto anche io." Mi prende il viso baciandomi in modo così disperato che il mio pianto, invece di cessare, aumenta ancora di più, lo amo così tanto che quando lo vedo darsi la colpa per una guerra che altri hanno voluto mi fa così male da volermi togliere il cuore. "Prometti un'altra cosa, non darti più del mostro per favore, se non lo vuoi fare per te allora fallo per me, io mi sono innamorata di te e io non mi innamoro dei mostri." Una lacrima solitaria solca la guancia del mio Alexander che io asciugo con il dito, chiude gli occhi e lentamente annuisce. "Grazie di amarmi." "Grazie di essere il mio soldato buono."
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Ricordo che era Aprile
Ficción GeneralRovereto, 1940 La guerra è appena scoppiata in Italia, il mondo è in guerra, ma Clara, una ragazza di sedici anni, si augura che nel suo paese fra le montagne la sua quotidianità non cambi. In cuor suo spera che la vita, la vita che conosceva fino a...