Ho sempre amato l'autunno, le foglie sparse per terra che ricoprono tutto con i loro colori bellissimi, il profumo delle castagne e del camino, la pioggia che picchietta sulla finestra mentre sono rannicchiata sul divano a leggere. Nonostante sia la primavera la mia stagione preferita ho sempre visto l'autunno come la stagione del cambiamento, che molti vedono come negativo ma che io ho sempre visto come un nuovo inizio. Quest'anno purtroppo non riesco a godermelo appieno, ho spedito la lettera all'ospedale e dopo averlo fatto mi sono resa conto che sarò catapultata nella realtà, nonostante non sia un ospedale da campo ci saranno sicuramente soldati feriti, gente con problemi fisici dovuti alla malnutrizione, bambini ammalati per colpa del freddo perché non hanno potuto scaldarsi. Vedrò la guerra in ognuno di loro, ma dall'altra parte sono felice di aiutare perché sono convinta che ognuno di noi debba dare il proprio contributo, che sia piccolo o grande. Osservo il lento scorrere del fiume seduta sulla mia panchina, anzi la nostra panchina, quella mia e di Alexander. Purtroppo non ha molto tempo da dedicarmi, è sempre molto indaffarato, ma appena può viene da me e stiamo insieme, infatti adesso sto aspettando proprio lui. "Ma guarda chi c'è, la piccola Clara." Sento una voce maschile provenire dietro di me e appena noto che si tratta di Giovanni il mio umore cambia. Giovanni è un ragazzo che ha tre anni in più di me, è amico di un conoscente di Maria e quindi di conseguenza l'ho conosciuto anche io. Non mi è mai andato particolarmente a genio, né a me e neanche alla mia amica, non è cattivo ma ha qualcosa nel suo modo di fare che mi irrita e mi rende nervosa. "Posso sedermi?" mi chiede indicando il posto vuoto vicino a me. Sono restia a concedergli il permesso, quello è il posto di Alexander, ma siccome non voglio essere maleducata annuisco. "Allora, come stai?" gli chiedo cercando di dirottare la conversazione in modo che finisca il prima possibile, non voglio che arrivi il mio soldato e che lo veda qui. "Bene direi, la guerra procede bene e sono sicuro che entro la fine dell'anno vinceremo noi." Alzo gli occhi al cielo, i suoi soliti discorsi sulla guerra, continua a elogiarla e mi chiedo il perché non si sia arruolato se la osanna così tanto. Vorrei vederlo in mezzo al campo di battaglia, sotto le bombe e con i proiettili che gli sfiorano la testa, dopo sono sicura che non ne parlerebbe con così tanta leggerezza. Ci sono soldati che muoiono, che vengono feriti, e lui ne parla come se fosse la cosa più eccitante del mondo. "Già, scusa ma perché non ti sei arruolato? Avresti potuto servire la patria, no?" gli chiedo guardandolo di sbieco. Lui ride sommessamente e mentre lo fa mi appoggia una mano sulla spalla. "Sai, piccola Clara, devo aiutare mio padre con i campi lo sai." Codardo. "Sì hai ragione, non ci avevo pensato." Dico sorridendogli, cercando di scostarmi dal suo tentativo di approccio. Mi allontano leggermente da lui e lo sguardo che mi lancia mi fa accapponare la pelle. "Cosa c'è, ti fai toccare solo dai crucchi giusto?" Le sue parole mi arrivano come uno schiaffo in faccia, giro la testa e lo guardo cercando di capire quello che sta dicendo. "C-cosa stai dicendo?" "Ma come, credi che non lo sappia che vai a letto con quel tedesco?" La sua voce è dura e carica di disprezzo, mi guarda come se fossi una poco di buono e infatti non tarda a dirmelo. "Lo sai come le chiamiamo quelle come te? Le puttane dei tedeschi." Sto tremando come una foglia e non per il freddo, ho paura che possa farmi del male e non c'è nessuno intorno a noi. E anche se ci fosse ho il presentimento che darebbero ragione a lui. Mi alzo di scatto e cerco di allontanarmi da lui il più velocemente possibile ma mi sento afferrare per il braccio. "Ti stai cacciando nei guai, lo sai vero? Sei così bella che non sei fatta per loro, ma forse noi siamo troppo poco per te. Ti piace farti sbattere da quel nazista?" Mi viene da piangere, il braccio mi duole nel punto in cui lui me lo sta stringendo, ma appena sento quella parola associata a lui riesco a liberarmi e a spingerlo indietro. "Ascoltami, tu non mi conosci non sai niente di me, hai capito? Non conosci lui e se ti azzardi di nuovo a chiamarlo nazista io ti..." "Che cosa fai piccola Clara? Lo vai dire a qualcuno? E chi ti darebbe ascolto sei solo una ragazzina. Ti stai cacciando nei guai, tra poco tutto il paese verrà a sapere che vai a letto con i crucchi e te la faranno pagare, tutti quanti." Resto in silenzio, vorrei urlare, picchiarlo, cacciarlo via ma tutto quello che riesco a fare è starmene zitta. Non è giusto, non è giusto che Alexander venga trattato così. "Perché è uno sporco nazista, e perché sei rimasta contaminata da lui, sei sporca anche tu ormai." "Bene! Per fortuna, meglio essere sporca di lui piuttosto di uno come te. Sei solo un codardo Giovanni, lo sei sempre stato..." Faccio per girarmi e andarmene ma di nuovo le sue mani sono su di me. Mi guardo attorno nella speranza che arrivi qualcuno a fermare tutto questo. Ma non c'è anima viva, sono le due del pomeriggio e inoltre sta per piovere, sono tutti dentro casa. "Però forse - dice mentre la mano comincia a salire dal mio fianco al mio petto - posso usarti anche io, come sta facendo lui. Solo per una volta, perché lo sai che lui ti lascerà vero? È un soldato, chissà con quante è stato e con quante sta dopo che ti ha usata, ti lascerà prima o poi, e nessuno ti vorrà più. Perché ormai sei già... corrotta." Cerco di dimenarmi ma inutilmente, ormai ho perso le speranze di veder arrivare qualcuno, ma quando penso che stia per succedere l'irreparabile, Giovanni si blocca e impallidisce. I suoi occhi sono puntati dietro di me, mi giro e vedo Alexander con una pistola in mano puntata verso di lui. "Lasciala andare o ti sparo, a te la scelta." La sua voce è ferma e decisa, non stacco gli occhi da lui perché ho paura che scompaia. Lui è la mia ancora di salvezza. Il suo sguardo si posa su di me e con questo semplice contatto riesco a capire che mi sta rassicurando, che andrà tutto bene. "Guarda, è arrivato il tuo cagnolino." Gli occhi di Alexander si celano di una rabbia che non ho mai visto, abbassa la pistola e in tre falcate me lo scrolla di dosso spingendolo a terra. Io mi metto dietro di lui toccandogli la schiena, ma all'improvviso lo vedo raggiungere Giovanni per poi sollevarlo dal bavero della camicia. "Ascoltami bene bastardo, se ti vedo ancora avvicinarti a lei ti giuro che ti ammazzo, hai capito? E se ti azzardi anche solo raccontare di tutto questo e mettere in giro voci su Clara ti rinchiudo in prigione e ti lascio marcire lì. Poi voglio vedere che fine farai per aver chiamato un ufficiale tedesco sporco nazista. Verstanden?" Gli urla in faccia, il suo tono mi spaventa ma so che lo sta facendo per me, solo per me. "Vattene, schnell!" Giovanni scappa come il codardo che è, e finalmente il silenzio cala attorno a noi, sento solo il respiro affannato di Alexander. Il mio Alexander si gira verso di me, ma io sono ancora scossa e spaventata tanto da non muovermi. Lui allarga le braccia lentamente e mi invita a stringerlo. "Komm her" sussurra e senza pensarci due volte mi fiondo fra le sue braccia aperte pronte ad accogliermi, e finalmente lascio scorrere le lacrime che avevo cercato di tenere. "O mio Dio Alexander, i-io..." cerco di dire in mezzo ai singhiozzi, mi sto aggrappando al suo cappotto perché ho paura, ho avuto tanta paura. "Shh, ich bin hier, sono qui tesoro." Mi sta stringendo forte, troppo forte, ma in questo momento non desidero altro. Solo sentire il suo cuore battere e il suo profumo perché mi sento ancora le mani di quel farabutto sul corpo. Il braccio destro di Alexander mi cinge la vita mentre il sinistro avvolge la mia testa, e stretta così sento finalmente di essere al sicuro. "Ha detto delle cose orribili, non è giusto, non te le meriti, Alexander..." "Lo so, ho sentito che mi chiamava sporco nazista, non sono intervenuto subito perché stavo sondando il terreno, ma quando ho visto che ti stava toccando ho tirato fuori la pistola, avrei dovuto sparargli a quel bastardo." "Ma non l'hai fatto perché non sei come ti ha descritto." Mi lascia andare leggermente prendendomi il viso fra le mani, mi fissa intensamente. "Cosa ti ha detto, dimmelo." Non voglio, so che se gli dico tutto lo farò solo star male. "Niente di che, non preoccuparti" cerco di svignarmela così, ma lui mi conosce troppo bene. "Clara, non è una richiesta." Mi mordo le labbra e allora annuisco, tanto è inutile. "Sediamoci." Ci stacchiamo dall'abbraccio, io ancora con le lacrime agli occhi e lui ancora arrabbiato. Ci sediamo e finalmente il posto vuoto vicino a me viene occupato da lui, e solo da lui. Comincio a raccontargli tutto, dall'inizio alla fine, di quello che mi ha detto, di come mi ha definita, tutto. Alla fine del mio racconto lui si alza in piedi, non riesco a vederlo in faccia ma capisco la sua frustrazione. All'improvviso si toglie il berretto e lo lancia per terra, imprecando con le mani fra i capelli. "Cazzo!" Mi alzo di scatto tentando di avvicinarmi a lui, vorrei solo rassicurarlo perché so che si sta dando la colpa di tutto, infatti non tarda a comunicarmi tutte le sue paure. La paura di ferirmi, la paura di perdermi, la paura che qualcuno possa farmi del male perché sto insieme a lui. "Non è giusto Clara, non è giusto quello che ti è appena successo, e sai perché? Perché ti è capitato solo perché mi ami, solo perché hai deciso quel giorno di Giugno di uscire con me, perché ti ho fatto innamorare di me, Clara." "È stata la cosa più bella che mi sia mai capitata, tu sei la cosa più bella che mi sia mai capitata. Non m'importa se..." "Sì che te ne deve importare, invece. Perché se ti succede qualcosa per colpa mia io impazzisco, lo capisci, vero? Ti ho promesso che ti avrei protetta e invece guarda cosa è successo." Il magone che ho in gola mi impedisce di respirare, lo guardo appoggiarsi alla ringhiera e con la testa abbassata gli vedo il peso che porta sulle spalle. "Amore mio - gli dico abbracciandolo da dietro - tu mi hai salvata, mi hai protetta, perché non riesci a vederlo? L'unica cosa che m'importa è che tu mi ami, è il nostro amore, il resto non conta. Non mi interessa se indossi una divisa diversa, se su questa giacca porti la svastica perché io so cosa c'è nel tuo cuore, e se gli altri non riescono a vederlo peggio per loro." Ha il cuore che va a mille, le mie lacrime mi bagnano le guance e finalmente lui si gira verso di me per asciugarmele con le dita. Mi attira a sé appoggiando la sua fronte sulla mia, ad occhi chiusi mi sfiora il naso con il suo e finalmente mi bacia. Un bacio semplice, puro che va oltre l'odio che ci tirano addosso da quando ci siamo conosciuti. "Io non ti uso meine Liebe, non ti ho mai usata, mai. Credimi, ti prego, sei il mio angelo e ti amo, così tanto che non so neanche come sia possibile. Credimi." Mi sussurra queste parole a fior di labbra, rimango sconcertata da questa paura che lo sta assalendo. Veramente crede che abbia creduto alle parole di quel folle? "Mio soldato, lo so che non mi stai usando, come fai a pensare che creda a questa sciocchezza? Lo so che mi ami, lo hai dimostrato fin dal primo giorno, con quel tuo sorriso che non se ne andava mai." Non faccio in tempo a finire il discorso che le sue labbra sono di nuovo su di me, morbide e calde, pronte ad accarezzarmi anche l'anima. "Ti amo Alexander, anche tu devi ricordarti di questo. Tu non sei un nazista, la divisa che indossi non fa l'uomo che sei, chiaro? Io so com'è il tuo cuore, quindi non ti devi preoccupare, va bene?" Mi guarda commosso e finalmente il sorriso che lo caratterizza ricompare sul suo bel volto. Ci stiamo guardando così intensamente da non accorgerci che sta piovendo, solo quando la pioggia diventa insistente decidiamo di ripararci dentro a un bar. Il proprietario, nostro amico di famiglia, mi sorride amorevolmente e quando nota Alexander mi fa un occhiolino. Io lo fulmino con lo sguardo ma dentro di me sono felice che almeno qualcuno approvi il mio sentimento verso di lui. Alexander vede il mio sguardo rivolto al proprietario del bar e quando vede che entrambi scoppiamo a ridere mi guarda confuso. "Tranquillo soldato, lui è dalla nostra parte." "Che cosa vi porto?" ci chiede Luigi, così si chiama. "Un succo alla pera e una birra, grazie" gli risponde Alexander, sono felice perché si è ricordato di quel giorno d'estate in cui mi aveva invitata a bere qualcosa, e io avevo proprio ordinato il succo alla pera. "Sedetevi che ve li porto." Così prendiamo posto vicino a una finestra semi aperta per poter godere della pioggia scrosciante. Alexander si toglie il cappotto e il cappello e senza preavviso gli afferro la mano accarezzandola lentamente. "Come stai piccola mia?" mi chiede ancora preoccupato. "Meglio, grazie a te. Ti sei ricordato soldato." "Di cosa?" "Che amo il succo alla pera." Lui mi sorride malizioso, avvicina la mano alle labbra e la bacia. "Io ricordo tutto." Gli sorrido accarezzandogli la guancia delicatamente e lui chiude gli occhi lasciandosi andare al mio tocco. Non c'è nessuno intorno a noi, a parte Luigi, e quindi possiamo essere noi stessi. "Ich bin der glücklichste Mann der Welt, ich habe mein ganzes Leben lang nach dir gesucht." Io lo guardo leggermente confusa, sto ancora imparando la sua lingua e spesso faccio ancora confusione. "Alexander, ho capito solo la prima frase e concordo con te, ma del resto non ho capito assolutamente nulla. Cosa hai detto?" Lui ride sotto i baffi e nel mentre vedo Luigi arrivare con le nostre ordinazioni. "Mi dispiace Clara, intanto impara bene il tedesco e poi te lo dirò. Dico bene?" dice rivolgendosi al barista. "Certo, così sei spronata a imparare" risponde dandogli corda e io li squadro entrambi. "Va bene, non ho la forza di controbattere." Prendo il mio bicchiere e comincio a bere, e sentendo il sapore del mio succo mi si risolleva l'umore. Vedo Alexander guardarmi tristemente ma io gli sorrido per rassicurarlo. "Ehi ragazzi, è successo qualcosa? Lo sai che puoi dirmelo Claretta." Sorrido al sentire quel nomignolo, Luigi è sempre stato come un secondo padre. "Be, Giovanni mi ha, mi ha raggiunto mentre ero seduta ad aspettare lui, e ha cominciato a insultarmi, a darmi della poco di buono perché ha scoperto che io e Alexander stiamo insieme. Anche se lui non la vede così..." "Nein, racconta meglio Clara. L'ha chiamata puttana, le ha messo le mani addosso perché per lui è corrotta, è stata corrotta da me, uno sporco nazista." Le mani cominciano a tremare ma non voglio piangere di nuovo, non voglio. "Clara guardami - mi dice Luigi - se quel tizio ti si avvicina dimmelo che ci penso io, hai capito? Io e Alexander. Non permettere che le parole che ti ha detto possano farti male, perché non sono vere. Lo stesso vale per te, Alexander, ti conosco e so che non sei come gli altri ti descrivono, altrimenti lei non si sarebbe mai innamorata di te. E so che la proteggerai perché la ami, è chiaro come il sole." Lo guardiamo incapaci di dire niente ma il mio soldato riesce a dire qualcosa. "Danke." Luigi annuisce e si allontana lasciandoci soli. Nonostante ci sia solo un misero tavolino a separarmi da Alexander ho bisogno di sentirlo vicino a me, quindi afferro la sedia e la posiziono vicino a lui. Alexander mi mette un braccio attorno a me e mi stringe a sé, mentre entrambi guardiamo la pioggia scorrere sul vetro della finestra, sognando una vita normale, senza guerra, senza uniformi, senza dover giustificare il nostro amore. Ma è il 1940 e questo è solo l'inizio.
Nota autrice:
Non è stato facile scrivere questo capitolo, non è stato facile scrivere queste cose su Alexander. Purtroppo però sono cose che, anche se in maniera diversa, c'erano e succedevano. Questo è un mondo al contrario, le persone si scandalizzano per l'amore e rimangono impassibili davanti alle ingiustizie e in questo caso alla guerra.-Clara
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Ricordo che era Aprile
Ficção GeralRovereto, 1940 La guerra è appena scoppiata in Italia, il mondo è in guerra, ma Clara, una ragazza di sedici anni, si augura che nel suo paese fra le montagne la sua quotidianità non cambi. In cuor suo spera che la vita, la vita che conosceva fino a...