Rovereto, 17 Maggio 1941
Sto accompagnando Alexander alla stazione dove prenderà il treno che lo accompagnerà dai suoi compagni per poi partire per la Polonia. Questi giorni sono stati un inferno, ogni volta che ci vedevamo era come fare il conto alla rovescia per il fatidico giorno. Ma purtroppo, per quanto ci provi a essere preparata, non riuscirai mai a contenere lo strazio nel vedere l'uomo che ami partire nel bel mezzo della guerra, non sapendo se lo rivedrai o meno. Ci teniamo per mano e io mi sento come una bambina indifesa, però qui non c'è niente di infantile anzi, sto accompagnando il mio soldato sul treno che lo porterà dall'altra parte d'Europa. Guardo il soldato vicino a me che cammina tenendo lo sguardo puntato davanti a se, sembra privo di emozioni ma so che ha paura anche lui. Ma non per lui, ma per me. Mi ha fatto promettere solennemente che sarei stata attenta a tutto, ai soldati in primis, ricordandomi che non tutti sono come lui. Mi ha fatto promettere che in caso di bombardamento sarei andata al rifugio. Ovviamente l'ho rassicurato dicendogli che avrei fatto tutto questo ma che non sarei riuscita a mantenere la parola su un'ultima cosa: non preoccuparmi per lui. Questo non potevo prometterglielo, lo avrei pensato giorno e notte, senza se e senza ma. Apro la bocca per dire qualcosa ma la richiudo non sapendo che dire. Cosa posso dirgli in un momento del genere? Quindi quando le parole non possono fare tanto, forse i gesti comunicano meglio, lo fermo con la mano e lo abbraccio forte. "Shh, non piangere Clara, ti prego. Non ce la faccio sennò" sussurra mettendomi una mano dietro la testa per accarezzarmi. "Devi tornare da me, hai capito soldato?" dico appoggiando la fronte sulla sua divisa. Lui annuisce e mi dà un bacio. "Ti ho fatto una promessa, ricordi?" Io annuisco, sperando che la sua di promessa riesca a mantenerla. Mi cinge la vita mentre continuiamo a proseguire. Dopo pochi minuti arriviamo a destinazione, la stazione di Rovereto. "Vieni per di qua" gli dico indicando l'entrata per avvicinarci al binario. Ci posizioniamo uno davanti all'altra e Alexander si toglie il cappello. Ci abbracciamo e mi solleva come fa sempre, io inizio a piangere non riuscendo più a trattenere le lacrime. Ci ho provato perché non volevo che l'ultima immagine che avesse di me fosse in lacrime ma non ci riesco. "Ti amo Alexander" mormoro tra i singhiozzi. "Anche io meine Liebe. Andrà tutto bene, ci rivedremo. Tornerò qui a Rovereto quando potrò, farò il possibile per tornare qui - dice baciandomi la fronte - aspetta, ti devo dare questa." Dalla tasca estrae la foto che gli avevo chiesto, c'è lui in piedi sorridente con la divisa della Wehrmacht e il fucile nel braccio destro. L'accarezzo accennando a un sorriso triste. Quella foto... quella foto la porterò con me ovunque, la bacerò prima di dormire e appena sveglia. La imprimerò nel mio cuore, imprimerò il suo sorriso dolce. "Come sei bello..." mormoro. Lui mi guarda con gli occhi distrutti accarezzandomi la guancia. "Per qualsiasi cosa mandami una lettera, farò il possibile per risponderti." "Ti scriverò soldato. E fallo anche tu, ti prego." "Tutti i giorni, tutte le volte che mi sarà possibile." Mi prende le mani e le bacia per poi portarsele al volto. Ogni volta che gli scriverò sentirò questo bacio e saprò che in un modo o nell'altro le mie parole gli arriveranno perché le scriverò con l'anima. La mia e la sua sono collegate. Mi guardo intorno e vedo tante altre ragazze che stanno salutando i loro soldati che stanno per partire, perlopiù italiani. "In carrozza!" urla il capotreno. Quelle due parole bastano per farmi tremare dalla testa ai piedi, Alexander mi afferra per stringermi e baciarmi per l'ultima volta. "Non dimenticarti di me" mi dice sorridendo accarezzandomi il dito con la sua iniziale. "E come potrei mio soldato?" Sono a pezzi ho paura che le gambe non mi reggano più da quanto sto tremando, ho la gola secca e sento di non stare bene. Lui mi bacia la mano, come le prime volte che ci vedevamo, sale sul treno e io mi avvicino al finestrino, lui capendo il mio intento allunga le mani per stringere le mie. "Ritornerò, devo sposarti ricordalo" mormora con gli occhi speranzosi e con quel sorriso che lo caratterizza sempre. Quel sorriso che mi ha fatto innamorare di lui. "Sì. Ti amo amore mio." "Anche io piccola mia." Prima che il treno parta ci guardiamo ed esistiamo solo noi due. Ma all'improvviso, come accade in un sogno, Alexander scompare per lasciare posto a un'altra persona, una ragazza con uno zaino sulle spalle che guarda assorta la scritta 'Stazione di Rovereto'. Mi guardo attorno, le ragazze in lacrime così come i soldati sono scomparsi per lasciare posto a persone vestite in modo strano, la maggior parte di loro hanno in mano un aggeggio rettangolare. Ma dove sono finita? Ad un certo punto la ragazza mi si avvicina e appena la guardo meglio sento il respiro mancare. È identica a me, ha solo i capelli più lunghi e molto ricci e ha indosso dei vestiti molto strani che sicuramente non sono della mia epoca, composti da una maglietta gialla e dei pantaloni un po' troppo corti. Molto diversi dal mio vestito bianco con i fiori che mi arriva oltre il ginocchio! La sua espressione è di smarrimento ma nei suoi occhi vedo la tristezza e la malinconia, ma chi è questa ragazza? La vedo avvicinarsi a me ma sembra non vedermi e appena mi passa accanto un capogiro mi fa chiudere gli occhi e la voce del mio soldato mi riporta alla mia realtà. Ed eccolo di nuovo lì il mio Alexander, ho un forte mal di testa e vederlo sopra al treno mi fa catapultare nella realtà. Tutto quello che ho visto prima scompare per lasciare spazio alla sua voce rotta, al mio dolore e al fatto che non rivedrò l'uomo che amo per chissà quanto tempo. "A presto Fräulein." "A presto signor tenente." Così il treno parte portandosi con se il mio soldato, che non avrei più rivisto fino all'inverno del 1943. Ma io questo non potevo saperlo. Mi giro dall'altra parte non potendo guardare il convoglio allontanarsi sempre di più, lì sopra c'è rimasto il mio cuore. Le lacrime non si fermano e mi manca l'aria, cammino veloce verso il paese con il vento che mi scompiglia i capelli e che fa volare le mie lacrime. Arrivo in centro dopo pochi minuti con gli occhi gonfi e rossi, sto scalciando i sassi che trovo per strada perché non mi importa più di niente ormai. La mia testa ha persino scordato la pseudo visione di prima. "Se ne è andato il tedesco ragazzina?" Al suono di quelle parole ritorno alla realtà e vedo un signore sulla cinquantina seduto fuori dal bar con la sua combriccola. Avevo promesso ad Alexander che sarei stata attenta, che non mi sarei immischiata nei problemi delle altre persone, anche se quei problemi si riferiscono a me. Ma non posso stare zitta, non più. "Sì se ne è andato" dico sprezzante, di solito non rispondo alle offese ma oggi voglio solo che mi lascino in pace, che ci lascino in pace, ma purtroppo le mie preghiere non vengono ascoltate. "La puttana dei tedeschi" esclama provocando la risata di tutti. Io non mi giro ma inizio a tremare dalla rabbia, dalla tristezza e soprattutto dalla paura. Neanche adesso che se ne è andato finirà tutto questo, anzi, proprio perché lui non c'è lo faranno ancora più spesso, sono sicuri che lui non ci sarà a difendermi. Sono tutti dei codardi. "Ehi, non ti permettere di dare della puttana a mia figlia!" Mi giro al suono di quella voce e vedo mio papà prendere per il colletto l'uomo in questione. "Papà! Papà che ci fai qui? Lascia stare andiamo a casa" dico cercando di trascinarlo via, ci serviva solo quello. Riesco a farlo venire via e lui preso dalla rabbia mi prende per un braccio tirandomi con forza. "Forza andiamo via Clara" dice con un sguardo furente. "Papà mi fai male" esclamo sconvolta e così mi lascia il braccio scusandosi. "Scusa tesoro, è che sono arrabbiato." Ne ha tutte le ragioni effettivamente. Io lo guardo e lo abbraccio ricominciando a piangere. Non so cosa ci faceva lì ma per fortuna è intervenuto, non so cosa sarebbe successo altrimenti. "Se ne è andato papà." Subito mi stringe fra le sue braccia come faceva quando ero piccola, mi sentivo protetta come adesso. "Shh piccola mia, ritornerà il tuo soldato. Non piangere bambina mia, lo rivedrai." Aveva ragione, ma avrei dovuto attendere per molto tempo.
Nota autrice:
La foto che Alexander regala alla sua Clara l'ho sognata, identica a come l'ho descritta. Poco tempo fa ne ho trovata una uguale, purtroppo non è lui ma ci assomiglia molto. Se volete vederla la trovate nel mio profilo Instagram: clarastories_
-Clara
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Ricordo che era Aprile
Narrativa generaleRovereto, 1940 La guerra è appena scoppiata in Italia, il mondo è in guerra, ma Clara, una ragazza di sedici anni, si augura che nel suo paese fra le montagne la sua quotidianità non cambi. In cuor suo spera che la vita, la vita che conosceva fino a...