Aurora

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Non sono mai stata una tipa troppo fortunata nella vita, ma quello che mi sta succedendo da quando ho avuto la grande idea di alzarmi dal letto stamattina è incredibile.

No, non è stata la sveglia a non suonare a farmi urlare qui, in mezzo alla strada, con le macchine che sfrecciando oltre agli insulti spostano il vento freddo di Dicembre che mi sferza il viso.

Nemmeno la multa per eccesso di velocità perché indubbiamente ero in ritardo per i rifornimenti del locale.

Neppure il licenziamento di Sandro mi ha sconvolta più di tanto, erano settimane che sbuffava e insultava tutti, non era una cosa poi così grave perdere il capo chef il giorno della riapertura, no?

Le calze. Sono state le calze.

Si sono strappate strusciando contro la cassetta dell'acqua frizzante.

Mancano dieci minuti alla riapertura e non ho il tempo materiale per andare a comprare un nuovo paio di calze, anche perché alle venti i negozi sono già belli che chiusi.

Così eccomi qui, una giovane adulta di venticinque anni, in piena crisi isterica per un paio di calze strappate, o per meglio dire, per tutte le sfighe che mi succedevano di recente, a urlare al centro della carreggiata, subendo -giustamente- le maledizioni dei guidatori più esauriti di me.

"Aurora, che cazzo!" Domenico viene a prendermi mentre il trucco mi cola sulla faccia per le lacrime, scusandosi con tutti quelli che mi stanno augurando di finire sotto un camion. È un ragazzetto simpatico di diciannove anni, che in questo momento dimostra molta più maturità di me.

Si occupa delle ordinazioni dei clienti del mio ristorante, è estremamente paziente e calmo, perfetto per il lavoro a contatto con il pubblico.

"Che pensavi di fare? Volevi suicidarti il giorno dell'apertura? Chi me lo paga lo stipendio poi?"

Ah già, è anche molto simpatico.

"Beh avremmo avuto una grande affluenza di clienti, una riapertura con il botto!"

Monica, la caposala. È una donna sulla quarantina che fa paura a tutti, ma è molto professionale nel suo lavoro e a quanto sembra sta anche diventando una comica.

"Si sono strappate le calze" Spiego semplicemente, come se avessero potuto capire il carico emotivo che mi porto dietro.

Scoppiano tutti a ridere e chiamano Sara, la ragazza di Domenico. Li avevo assunti entrambi perché erano giovani e volenterosi e poi si completavano, anche se la ragazzina è una grande pettegola, ma l'adoro per questo, mi aggiorna sempre su tutti i gossip.

Mi porta sul retro dandomi una veloce ripulita, sono stanca e ancora dobbiamo cominciare, sento di non avere le forze di affrontare una serata intera in questo stato.

"Ehy, andrà tutto bene, lo sai che tua madre sarebbe fiera di te!"

Mamma, quanto vorrei che fosse vero. Da quando ti ho persa non passa giorno che non cerchi di renderti orgogliosa, quello stronzo pezzo di merda di papà non vuole saperne di andarsene, dice che sono sua figlia e ho il dovere morale di mantenerlo, visto che mi ha cresciuta.

Mamma, ti confesso che è una zavorra, giudica tutte le mie scelte, da quello che indosso a come scelgo di vivere, il volerlo soddisfare mi sta uccidendo pian piano, perché non esiste un solo essere umano su questa terra che possa soddisfare le sue aspettative.

Ma non ti dico niente di nuovo, giusto?

"Perfetta, ecco, prendi queste" Torno alla realtà quando Sara mi mette davanti agli occhi un pacchetto di calze velate; Mi si inumidiscono gli occhi per l'emozione.

"E no eh! Ti ho appena sistemato il trucco, non osare piangere!"

Prendo un respiro profondo e mi chiudo in bagno per cambiarmi, da fuori sento il rumore di andirivieni, sono tutti indaffarati e pronti, non posso deluderli.

Le porte del ristorante si aprono cinque minuti dopo, così vado ad accogliere i clienti e taglio il nastro per la riapertura.

Sono passati due mesi dall'ultima volta che ho aperto queste porte, la ristrutturazione è stata essenziale dopo il crollo di una parte del tetto nelle cucine, sono ancora sotto indagine con la procura, ma confido nei miei due avvocati che mi spellano come avvoltoi. Se fossero stati bravi la metà di come lo erano per spillarmi soldi avrei vinto a mani basse.

Sono stata costretta ad aprire un mutuo sulla casa per mettermi in regola con il ristorante, ma anche se piena di debiti, ho bisogno di questo posto. È la mia casa, quelle mura mi accolgono e mi rimettono al mondo ogni volta che penso di mollare.

Inutile dire che la reazione di mio padre alla decisione di accendere un mutuo fu davvero eccessiva, mi prese addirittura a schiaffi con quelle sue mani ruvide da muratore. Mi disse che la casa l'aveva pagata lui con il suo sudore, che io ero solo una troia che spendeva soldi non suoi. Ma alla fine non poté fare nulla, perché la casa era intestata a me.

Io non feci altro che prendermi tutti gli schiaffi e l'odio che mi gettò addosso, con il capo chino e la rassegnazione negli occhi; Quanto mi sarebbe piaciuto ricevere un incoraggiamento da lui invece che buche nelle quali sotterrarmi.

Nel frattempo fuori dal locale si è fatta la fila, in circa mezz'ora.

Molti sono solo curiosi, tuttavia intravedo vari visi conosciuti, vecchi clienti abituali che sono rimasti fedeli anche dopo due mesi di serranda abbassata.

Saluto tutti con grande piacere, la serata sembra andare bene, le calze non si sono strappate ancora e in cucina, malgrado l'assenza del capo chef, sembrò filare tutto liscio.

Comincio ad aiutare Domenico e Sara con i tavoli verso le ventidue, nessuno sembra avere intenzione di andarsene a casa e uno degli aiutanti chef a un certo punto piazza una cassa all'entrata. Diventa una specie di club per scambisti in meno di dieci minuti.

Io mi sento felice, amo il mio lavoro e voglio solo che le cose vadano per il verso giusto. Al liceo i miei prof mi chiamavano bimba prodigio. Tuttavia nemmeno questo era sufficiente per mio padre. Mia madre invece non perdeva occasione per dirmi quanto fosse fiera di me, io le credevo perché vedevo i suoi occhi illuminarsi ogni volta che posava lo sguardo su di me.

La malattia l'aveva portata via troppo presto, mi sarebbe piaciuto averla con me oggi, si sarebbe sicuramente divertita.

I miei pensieri vengono interrotti da un uomo seduto da solo a uno dei tavoli, sembra stanco o triste, forse entrambe le cose. I suoi occhi verdi mi catturano immediatamente, talmente espressivi da lasciarmi imbambolata, costretta a farmi ripetere l'ordinazione perché non ho capito niente.

Porto l'ordine in cucina e mi metto da lontano a osservarlo, sembra assorto. I capelli castano chiarissimo, corti, sono un po' in disordine, un ciuffo gli ricade sugli occhi. È un uomo elegante, forse un impiegato? Indossa una camicia bianca arrotolata sugli avambracci e un pantalone classico di colore blu.

"Gli stai facendo la radiografia" Mi sussurra Sara qualche minuto dopo, facendomi sussultare.

Davvero lo sto facendo?

*Note
Sono tornataaaaaa!
*musica del circo*
Ebbene, stiamo per entrare in una nuova avventura, parecchio movimentata.
Siete pronti per questo nuovo viaggio?

Se sì, lasciami un commento sul primo capitolo o una stellina di incoraggiamento 🫰🏻

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