21. Liam

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Erano tre le cose che Liam Miller detestava di più al mondo: le pubblicità, la liquerizia e Kimberly Pillay. Erano anni che i suoi affittavano una casetta poco distante dall'oceano ed era sempre riuscito a distrarsi dal pensiero di tornare a San Francisco e essere battuto da Kim Pillay ancora e ancora. Non importava quanto si allenasse, in tutte le annuali partite Sacramento - Los Angeles lei trionfava e lui doveva sorbirsi le lamentele dei suoi compagni di squadra. A volte essere il capitano era dura. E ora eccola lì davanti a lui, in pantaloncini dei Chicago Bulls, crup top bianco e sneakers immacolate. I capelli di treccine sciolti sulle spalle, tranne per le ciocche anteriori legate in un codino dietro la testa. La cosa più strana? Gli stava porgendo la mano. - Che significa Pillay? - domandò sospettoso, alzandosi in piedi. Era ancora più alto di lei di almeno dieci centimetri, il fatto che dovesse inclinare la testa per guardarlo in faccia era una piccola vittoria.   - Voglio godermi l'estate, quindi ti sto dando una tregua. Puoi rifiutare, non m'importa - disse Kim, scrollando le spalle - Anzi, sarà più bello farti il culo alla prossima partita - quel sorrisetto strafottente lo infastidiva e non poco, ma lei doveva saperlo visto che si divertiva nel prenderlo in giro ogni volta. Se non fosse stata così irritante, Liam le avrebbe chiesto di uscire fin dalla prima volta che si erano incontrati al primo anno, era una ragazza così carina con quelle fossette e il viso tondo. Ma ora era cresciuta e di conseguenza la sua attrazione per lei era aumentata: il viso si era assottigliato, era ancora più snella e le forme cominciavano a farsi notare. Nonostante la detestasse doveva ammettere che era la ragazza più bella che avesse mai incontrato.                    - Vaffanculo Kim - sbuffò Liam, ma le strinse comunque la mano accettando la tregua. Il sorrisetto sul suo viso si allargò - Wow, è la prima volta che ti sento dire il mio nome Miller - ridacchiò Kim, allontanandosi da lui e tornando verso le sue amiche. - Quando comincerai a usare il mio? - gridò Liam mentre una ragazza dai capelli rossi lanciava a Kim una palla da basket. - Non ti allargare - gridò lei di rimando, lanciandogli la palla. Inaspettatamente, la palla puntò alla Nintendo posata sullo zaino e Liam dovette allungare entrambe le braccia, riuscendo a prenderla per un pelo. Lanciò a Kim un'occhiataccia (una di quelle che normalmente riservava a suo fratello) ma lei si limitò a ridere, scrollandosela di dosso. Era la prima volta che giocavano da soli (la rossa era andata a disturbare l'altra ragazza dal suo studio) e doveva ammettere che era inarrestabile, anzi sembrava che la squadra la rallentasse. In meno di cinque minuti aveva già fatto tre tiri da tre punti e non dava segno di stanchezza, nonostante si muovesse per il campo con una velocità sorprendente e un'energia inesauribile. Le lunghe gambe saltavano con inaspettata grazia e i muscoli delle braccia venivano messi in evidenzia quando si aggrappava al canestro per schiacciare. Inoltre, le trecce sul viso non sembravano infastidirla. Quando Liam cercava di prendersi la palla veniva avvolto in una nuvola di profumo alla pesca e tintinnì di bracciali e perline. A fine partita Liam si lasciò cadere sull'erba all'estremità del campo, accaldato e con la certezza che sì, Kim si meritava tutte quelle vittorie e quei premi. Dio, aveva caffeina nelle vene al posto del sangue? Kim si gettò sgraziatamente accanto a lui - Dieci a quattro, sei stato bravo - ansimò, coprendosi il viso con il braccio per ripararsi gli occhi dal sole mentre riprendeva fiato. - Bravo? Ho fatto terribilmente schifo - si lamentò Liam, la voce intrisa di amarezza. Kim si mise seduta di scatto, incrociando le gambe e guardandolo storto - Non dirlo più perché non è vero, sei un ottimo giocatore - Liam alzò gli occhi al cielo, sedendosi anche lui   - Non bravo come te - borbottò, strappando un paio di fili d'erba fino a ridurli in pezzettini. Kim sbuffò esasperata - Voi maschi, siete tutti uguali! - alzò le braccia al cielo, come se pregasse a qualche divinità di farla sprofondare nel terreno. - Come? - Liam boccheggiò, sorpreso per il suo improvviso cambio d'umore. Kim puntò un dito contro di lui - Sì, voi maschi siete convinti che, siccome sono una ragazza, se io sono brava voi siete scarsi. Da quanto è che giochi, dal primo liceo? Io da tutta una vita -  sibilò, più offesa che arrabbiata. Si alzò di colpo, cominciando a incamminarsi velocemente verso le due ragazze ancora sugli spalti. Liam la seguì, improvvisamente terrorizzato al pensiero di vederla scomparire dalla sua vista e non tornare mai più, come un miraggio in mezzo al deserto. - Kim, aspetta - le afferrò il braccio, tirandola verso di lui. Kim si voltò, il viso contorto dalla rabbia, e Liam sussultò. Nei suoi limpidi occhi verdi, giocosi e ironici fino a un'istante fa, ardeva il fuoco più puro. Strinse i pugni e alzò le mani, pronta a colpirlo. Liam chiuse gli occhi, preparandosi al colpo. Colpo che non arrivò. Lentamente aprì gli occhi, chiedendosi se l'avesse piantato in asso o se voleva coglierlo di sorpresa. Il pugno di Kim era a pochi centimetri dal suo viso, tremante e pallido dove le unghie scavavano nei palmi. Ora nei suoi occhi la rabbia era stata sostituita dalla paura. Kim esalò un respiro profondo, calmandosi prima di abbassare il pugno. Liam le lasciò andare il braccio, iniziando a capire cosa aveva sbagliato. - Mi dispiace - sussurrò, posando delicatamente le mani sulle sue spalle.  - Non so cosa ti abbiano fatto e non ti obbligherò a dirmelo, ma qualunque cosa sia io so che tu sei più forte - L'espressione di Kim si addolcì e un tenero sorriso le illuminò il viso. - Non ti facevo così saggio, Miller - disse, fingendosi sorpresa. Liam ridacchiò, lasciandola andare - Alla fine i videogiochi non sono così stupidi, no? - Kim tirò su col naso, asciugando una lacrima solitaria con il dorso della mano - Immagino che tu abbia ragione - la sua voce era flebile, quasi sull'orlo delle lacrime. Liam non avrebbe mai immaginato che un giorno l'avrebbe vista in quello stato. Quell'improvvisa fragilità sembrava al tempo stesso fuori posto e naturale, un lato del suo carattere che teneva ben nascosto. Un'altra cosa che aveva imparato su di lei era che non si lasciava abbattere, quindi era sicuro che qualunque cosa la facesse soffrire, Kim, l'avrebbe superato. Tornarono agli spalti in un piacevole silenzio, scambiandosi qualche occhiata di sfuggita. - Allora, cosa vogliamo fare ora? - domandò la rossa, saltando giù dagli ultimi gradini degli spalti. Kim alternò lo sguardo da Liam al suo zaino, fermandosi infine su di lui - In quanti si può giocare ai tuoi strani giochetti? - gli chiese, un sorrisetto furbo stampato sul viso. Gli occhi di Liam si illuminarono - Se collego altri due controller possiamo usarla in quattro - rispose, fiondandosi al suo zaino e tirando fuori due controller rosso e blu da Nintendo Switch appesi a due cavi accuratamente arrotolati. - Mi piace l'idea - la rossa si girò verso l'amica che alzò le spalle indifferente - Ho studiato abbastanza formule, una pausa ci sta, e poi la programmazione sono sempre numeri - disse, lanciando uno sguardo innamorato al gigantesco libro di matematica che teneva tra le braccia. A Liam cominciò a girare la testa solo a ricordo di quella materia infernale. - Fatto! - esclamò, porgendo un controller a ognuna di loro. - Stavolta ti batto io, Kimberly - disse Liam, girando la testa di lato per incontrare il viso di Kim. Lei sorrise competitiva, l'allegria era ritornata nei suo occhi e adesso brillavano più di quanto avessero mai fatto - Non ho dubbi Liam - Prima ancora che lui potesse ribattere la partita su Mario Kart che aveva selezionato iniziò. Rimasero lì a giocare, avvolti dalla brezza fresca e dal suono delle loro risate, per tutto giorno finché il sole non cominciò a tramontare. Quando Liam ritornò nel silenzio della sua camera, con i suoi genitori che si godevano una cena romantica e suo fratello che ormai viveva in un bungalow sulla spiaggia, capì quanto realmente si sentisse solo.

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