35. Kim

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Kim restò immobile davanti all'ingresso dell'hotel dove Cristina viveva a scrocco da Isabelle, osservandolo con soggezione. La struttura era completamente bianca con enormi finestre e pareti di vetro, circondata da palme che contrastavano con l'asfalto del parcheggio. Dato che quel pomeriggio Liam era stato costretto da sua madre ad aiutarla a sistemare il giardino dopo il temporale del giorno prima, Cristina aveva proposto un pomeriggio al femminile di shopping. Kim, allettata dalla promessa di andare al campo da basket, aveva accettato, ecco il motivo per cui si trovava lì. Mezz'ora prima dell'orario stabilito. Kim sbuffò, rassegnandosi all'idea di dover entrare dopo aver ricevuto l'ennesima occhiata sospetta da parte del portiere all'ingresso. Appena entrata il fresco dell'aria condizionata l'avvolse insieme al delicato profumo dei fiori freschi sparsi per tutto l'atrio. - Le serve aiuto signorina? - la voce gentile del receptionist la fece sussultare e quasi scivolare lo skateboard di mano. Si voltò verso il bancone dove un uomo sulla cinquantina con dei radi capelli bianchi la guardava con una certa preoccupazione celata da un sorriso cordiale. Kim si ricompose velocemente, gettando le trecce sulla schiena - Sto aspettando delle mie amiche, le chiamerei ma ho il telefono scarico - rispose goffamente, ridacchiando imbarazzata sventolando il telefono morto. - Come si chiamano le sue amiche, posso provare a chiamare la loro camera - propose il receptionist, sorridendole gentilmente. Kim si avvicinò di qualche passo, cercando di tenersi il più possibile alla larga dal tappeto bianco dall'aria costosa vicino alla reception per non rovinarlo con le sue scarpe infangate - Cristina Costa e Isabelle Moore - rispose titubante, tamburellando nervosamente le dita sul bancone mentre l'uomo digitava i nomi sul suo computer prima di alzare la cornetta del telefono fisso e comporre un numero. Il telefono squillò un paio di volte prima che qualcuno dall'altra parte rispondesse - Signorina Moore? Mi dispiace disturbarla ma volevo riferirle che c'è una sua amica che aspetta voi e la signorina Costa. Gli lo riferirò, grazie e buona giornata signorina- il receptionist riattaccò prima di rivolgersi a lei - Le sue amiche stanno arrivando, prego si sieda al bar mentre aspetta - disse cordialmente, indicando una saletta dall'altra parte della sala composta principalmente da tavoli e sgabelli. Kim lo ringraziò, addentrandosi per l'atrio luminoso superando turisti in fila per il check - in e facchini che trasportavano valige dall'aria pesante fino a raggiungere il bar, dalla luce più soffusa e intima rispetto al resto dell'hotel. Si sedette su uno dei divanetti blu vicini al bancone dei cocktail, in modo da avere piena visuale sugli ascensori. Kim stava osservando i pesci tropicali nell'aquario accanto a lei quando la voce di un uomo seduto al bancone attirò la sua attenzione. Furtivamente si sporse, nascondendosi parzialmente dietro la piccola palma che li separava per non farsi notare ma l'uomo, concentrato com'era sul proprio telefono, non si sarebbe mai accorto di lei. Era molto alto e ben piazzato, dalla carnagione olivastra, i capelli e la barba nera e, oggettivamente, era anche un bel tipo. Indossava una camicia bianca e pantaloni eleganti blu scuro e dal modo in cui picchiettava impazientemente le dita inanellate sul banco di legno doveva star aspettando qualcuno. L'uomo sbuffò irrequieto, digitando in fretta sul suo iPhone nuovo di zecca prima di indossare delle cuffiette Bluetooth simili a quelle di Kim. Una lucina blu si accese sulle cuffie, segnalando che la chiamata era stata accettata. Normalmente, Kim non era qualcuno che si impicciava degli affari degli altri, preferiva la politica del "fai quello che ti pare basta che non mi coinvolgi", ma quel tipo le era così stranamente familiare. Specialmente gli occhi, una rigida tonalità di marrone che sfociava nel nero, così seri e colmi di quello che Kim riconobbe come avidità e odio. - Non lo sapevi che non presentarsi a un appuntamento è molto scortese? - la voce dello sconosciuto era graffiante e cupa nonostante cercasse di alleggerirla con un tono quasi scherzoso. Dall'altra parte doveva aver ricevuto una risposta negativa visto che il suo viso si contorse in una smorfia di rabbia, venendo sostituito all'istante da un brusco sorriso -Perché, ora ti interessa dove sono?- ridacchiò l'uomo, bevendo un lungo sorso del suo Martini prima di guardare l'orologio che portava al polso - Ormai è tardi, sono abbastanza impegnato, ma non preoccuparti...ci vediamo presto - disse freddamente, interrompendo la chiamata. Lasciò una banconota sul bancone e si alzò dallo sgabello, uscendo frettolosamente dal bar e entrando in uno degli ascensori liberi. Nemmeno un secondo dopo Cristina e Isabelle uscirono dall'ascensore di fianco, chiacchierando tra loro. Appena Isabelle la notò alzò il braccio per salutarla, dirigendosi a passo svelto verso di lei. Era passata poco più di una settimana dall'incontro con Kevin al bowling e Isabelle era diventata improvvisamente protettiva nei suoi confronti: le scriveva tutti i giorni per chiederle come stava e non mancava mai di ricordarle che l'unico responsabile era, testuali parole, quel viscido stronzo. Considerata la rigidità con cui Isabelle l'aveva trattata durante le loro prime uscite a Kim c'era voluto un po' per abituarsi a questo piacevole cambiamento, ma adesso sentiva di non poter fare a meno di tutti i buongiorno e buonanotte che le mandava ogni giorno. Kim le raggiunse a metà strada tra il bar e l'atrio, ancora un pochino stordita dalla telefonata che aveva origliato e dal modo in cui quel "ci vediamo presto" suonasse come una minaccia. Con sua enorme sorpresa Isabelle l'abbracciò, un gesto che tendeva raramente a fare, mentre Cristina se la rideva sotto i baffi - La Regina dei ghiacci si è finalmente sciolta? - la canzonò, guadagnandosi un'occhiata storta da parte dell'amica. Cristina alzò le braccia in segno di resa senza, però, smettere di ridacchiare. - Dai andiamo - Isabelle alzò gli occhi al cielo, trascinandole fuori dall'hotel. Kim si prese un momento per osservarla bene: indossava un'ampia gonna di jeans lunga fino a metà coscia tenuta da una cintura nera (in perfetto stile 2000) e, per la prima volta, un top bianco a maniche lunghe scoperto sulle spalle e sulla schiena. Diversamente da Kim e Cristina (che non uscivano mai senza i loro inseparabili jeans strappati o l'enormi magliette dalle stampe più improbabili) lei era sempre elegante e ben vestita. La via dei negozi (come l'aveva sopranominata Kim) non distava molto dal centro residenziale e poteva benissimo essere raggiunta a piedi da lì, per questo motivo non si preoccuparono di chiamare un taxi. Nonostante il sole cocente l'aria era fresca, redendo la passeggiata piacevole e rilassante. Parlarono del più e del meno lungo tutta la strada, fermandosi in qualsiasi negozio attirasse la loro attenzione. La parte più divertente fu quando una turista cinese si avvicinò a Isabelle per chiederle informazioni e lei restò immobile, sbattendo le palpebre confusa. - Wow, l'unica cinese che non parla il cinese l'abbiamo trovata noi - scherzò Cristina quando la turista si fu allontanata. Isabelle le lanciò un'occhiataccia - Sono nata a New York, sono Americana come i miei genitori, perché dovrei conoscere una lingua che non mi appartiene? - disse irritata, accigliandosi. - Stavo scherzando Izze, scusa - si scusò Cristina, grattandosi la nuca imbarazzata. Isabelle annuì - Lo so- sospirò - Devi solo imparare a tenere a freno quella tua linguaccia - Cristina ridacchiò, posandosi una mano sul petto -Prometto che imparerò, promessa di scout! - esclamò allegramente, facendo voltare un paio di turisti curiosi. - Bè, direi che di shopping ne abbiamo fatto quindi...- cominciò Kim, lanciando uno sguardo furbo alle loro buste stracolme - Campo da basket, sii - finì Isabelle con finto entusiasmo lasciandosi, però, scappare un sorrisetto divertito. - Esatto, al campo! - esclamò Kim, facendo sussultare un povero venditore ambulante lì vicino che la guardò storta. - Opus - fece Kim, allontanandosi velocemente con Cristina e Isabelle alle calcagna che se la ridevano sguaiatamente. Anche nella confusione della strada Kim udì la risata di Isabelle, chiara e tonante come una cascata.

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