22. Henry

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Come fosse nata la sua passione per il giornalismo era un mistero. Era apparsa dal nulla mentre leggeva un post di un blog di formula uno e non se ne era più andata. Quando aveva annunciato che College avrebbe frequentato sua madre aveva spalancato gli occhi e lo aveva guardato con un mix di confusione e sorpresa - Non pensavo che fosse il tuo genere, tutto qui - si era giustificata quando Henry le aveva chiesto cosa ne pensasse. La cosa davvero strana era la feroce determinazione che aveva dimostrato quando le aveva detto che sarebbe andato in Francia a studiare. Era come se dovesse proteggerlo da un qualche pericolo che sul momento non era riuscita a spiegare. Ora la capiva. Ogni volta che lui gli scriveva Henry si pentiva di non aver ascoltato sua madre. In questo ultimo anno era diventato un campione nel nascondersi: Kim aveva il profilo Instagram privato quindi non era un problema se pubblicava le sue foto, ma convincere Claire a non farlo era stata un'impresa. Madison aveva scattato molte foto di loro durante le uscite insieme e in tutti gli scatti lui era di spalle o con il volto coperto. Non voleva che lui lo trovasse, non di nuovo. Temeva che stavolta sarebbe crollato. - Henry - Kim piombò nella sua stanza, gettandosi sul letto accanto a lui. Henry riuscì a togliere il PC e a posarlo sul comodino un secondo prima che Kim lo distruggesse. - Andiamo al bowling stasera, ti prego - implorò, esibendosi nella sua migliore faccia da cucciolo bastonato. Nonostante Kim stesse crescendo a vista d'occhio, Henry vedeva sempre la sua dolce sorellina che lo seguiva ovunque. Perché doveva crescere, voleva che restasse la sua piccola Kimy per sempre. Voleva proteggerla e il fatto che si fosse fatta male più volte di quanto potesse contare lo distruggeva dentro. - Va bene, lo scrivo anche a Meli e Madison e andiamo insieme, che ne pensi Kimy? - Henry spazzolò le trecce di Kim all'indietro, togliendole da davanti al suo viso. - Sì, mi piace e poi non vedo Mads da tanto. Era troppo occupata con il lavoro - sbuffò Kim, imbronciandosi teneramente. I suoi occhi si illuminarono improvvisamente, seguiti da un sorriso luminoso - Posso invitare anche i miei amici? - chiese di getto, avvicinandosi a Henry e pregandolo con gli occhi. Un sorriso si formò sul suo viso - Certo che sì, sono felice che tu abbia degli amici - rispose prima che Kim gli si gettasse addosso, abbracciandolo strettamente. - Grazie, ti adoro! - esclamò, correndo via dalla stanza. Henry riusciva quasi a sentirla correre nella sua camera per chiamarli. Il suo telefono, sepolto sotto la valanga di appunti che stava ricopiando al PC, vibrò annunciando una chiamata, dalla suoneria (Cruel Summer) capì che si trattava di Meli. - Ehi - Henry rispose all'ultimo squillo, ritrovando il telefono nascosto sotto un mucchio di appunti sulla storia del giornale. - Ciao - come sempre la voce di Meli era allegra anche se, stavolta, conteneva una nota di fastidio. - Va tutto bene? - Henry mise da parte i fogli che stava riordinando, concentrandosi sulla sua ragazza. - Sì, solo che dobbiamo rimandare la nostra uscita questo pomeriggio...di nuovo - Meli sbuffò e Henry poteva quasi vederla strofinarsi gli occhi, un gesto che tendeva a fare quando era irritata - Mia madre mi sta facendo impazzire! Prima mi tiene a casa per organizzare il Luau ma poi si mette a lavorare, e quando sto per uscire lo vuole iniziare - Henry ridacchiò, sistemandosi più comodamente sul letto. - Che hai da ridere tu? - poteva percepire l'occhiataccia di Meli da qui.- Ah, le madri incinte sanno essere una sfida. Quando mia madre aspettava Kim era sempre agitata e cambiava idea su tutto - disse Henry - Si paziente con lei - Meli sospirò rassegnata - Ti detesto, come fai a essere sempre così...te! - esclamò esasperata. - Dopo che avrai cresciuto due sorelle ne riparleremo, amore mio - ridacchiò Henry. Dopo pochi secondi anche Meli rise - Hai vinto - la tensione nella sua voce era sparita, lasciandosi alle spalle il suo solito umore allegro. Una settimana senza poterla vedere dal vivo era una tortura, gli mancavano troppo i suoi bellissimi occhi dorati, i suoi capelli, il suo viso...gli mancava tutto di lei. E questo lo spaventava, l'ultima volta che si era legato così tanto a una ragazza era finita piuttosto male. - Ah, prima che me lo scordi: Kim vuole andare al bowling stasera, dici che riesci a liberarti? - domandò speranzoso, voleva davvero rivederla al più presto, anche solo per mezz'ora. - Direi di sì, poi scrivi sul gruppo orario, luogo di incontro e ti faccio sapere. Ora devo andare, ciao - Meli lo salutò frettolosamente, prima che riattaccasse Henry sentì una voce femminile (probabilmente sua madre) in lontananza che la chiamava. Henry restò immobile a fissare il soffitto per un paio di minuti, riproducendo nella sua mente la voce di Meli finché non divenne sfocata. Sbloccò il telefono, entrando sul gruppo Hawaii five scoprendo che Kim lo aveva preceduto: Io e il mio fratellone abbiamo pensato di organizzare una divertentissima serata bowling! Ci vediamo alle otto direttamente lì, puntuali che come ritardatari bastiamo io e Claire haha

Seguivano Madison e Meli rispondendo che ci sarebbero state, Claire si limitò a inviare un selfie di lei con un pollice alzato. Henry spense il telefono, tornando ai suoi appunti. Aveva quasi finito di ricopiare il primo raccoglitore quando, invece di vibrare, il telefono tintinnò. Una notifica da Instagram. Distrattamente sbloccò il telefono, cliccando sull'icona del messaggio. Quando notò il nome dell'utente era troppo tardi, ormai era già entrato nella chat con la persona che stava ignorando da mesi: Anthony Martin. L'intera chat era una sfilza di "Dove sei?" e "Perché continui a ignorarmi?" senza risposta. La loro prima conversazione era avvenuta nella caffetteria di fronte al commissariato di polizia, dopo che Anthony Martin, un ricco giornalista sulla quarantina, aveva pagato la cauzione per tirarlo fuori di prigione. Sul momento Henry era si era sentito sollevato ma, col senno di poi, avrebbe preferito passare la notte dietro alle sbarre. Improvvisamente il telefono squillò e il nome di Martin apparve su tutto lo schermo. In uno scatto di coraggio, o semplicemente di esasperazione, Henry accettò la chiamata. - Devi lasciarmi in pace -sibilò, alzandosi dal letto per chiudere la porta in modo che Kim no potesse sentirlo. - Mi fa piacere che finalmente mi degni di una risposta, anche se particolarmente aggressiva - Anthony parlò lentamente, scandendo ogni parola. In sottofondo poteva sentire il gorgoglio di un liquido che veniva versato, sicuramente quel Whisky pregiato che gli piaceva tanto. Henry rise amaramente - Preferivo marcire in cella piuttosto che avere a che fare con te - Anthony sospirò - Perché ti ostini a lasciarmi fuori dalla tua vita? - dalla sua voce sembrava davvero abbattuto ma Henry lo conosceva bene. Quella era una delle tattiche che aveva usato per manipolarlo: fargli credere che ci tenesse a lui e allontanandosi di colpo, senza dare spiegazioni, e riapparire quando Henry lo aveva superato. Era un circolo vizioso che era riuscito a spezzare a fatica, tra lacrime e liti. - Tu per primo lo hai fatto - disse Henry, lottando contro il nodo che gli si era formato in gola - Forse all'inizio ero felice di averti incontrato...ma ora voglio che tu te ne vada - Silenzio. Henry si appoggiò contro la porta, stringendo il telefono talmente forte da far sbiancare le nocche. Avrebbe voluto piangere ma gli occhi rimanevano asciutti e il dolore al petto minacciava di piegarlo in due. Un dolore intenso cominciò a diffondersi dalle tempie alla fronte, annunciando l'arrivo eminente di un'emicrania. Quando cominciò a pensare che Anthony avesse riattaccato la sua voce fredda e calcolatrice lo colse di sorpresa, facendolo sussultare - Potevamo essere una famiglia - Henry si trattene dal gridare, sedendosi sul pavimento - No, visto che hai deciso di rovinare tutto - Attraverso la porta poteva sentire la debole risata di Kim, come un raggio di luce attraverso l'oscurità. Aggrapparsi al pensiero di Kim e Claire gli impediva di sprofondare, e solo Dio sapeva quanto fosse vicino a farlo. - Possiamo ancora esserlo Henry, dimmi solo dove sei così possiamo sistemare tutto. Posso aiutarti a realizzare il tuo sogno - Anthony parlò dolcemente, usando quel tono apprensivo che aveva utilizzato fin da quella sera in caffetteria prima di rivelare il suo vero volto: il ricco uomo d'affari che non aveva tempo per nessuno e che manipolava gli altri per ottenere ciò che gli serviva. Stavolta fu il suo turno di rimanere in silenzio, reprimendo il mal di testa e la nausea. - Henry, ti prego...- ora nella sua voce Henry percepiva l'urgenza di concludere per dedicarsi a questioni più importanti, come se lui fosse un cliente capriccioso di cui non vedeva l'ora di sbarazzarsi. Henry portò le ginocchia al petto, seppellendo il viso nelle braccia. Tremava e il dolore gli offuscava la vista già annebbiata per la troppa luce. - Esci dalla mia vita - pregò, la voce incrinata sull'orlo del pianto - Ti prego vattene papà - Quelle quattro parole alleggiarono tra loro per quelle che parvero delle ore, circondandoli in un'asfissiante silenzio. Fu suo padre a romperlo per primo, confermando quanto realmente fosse stronzo - Non posso - disse duramente, un ordine non detto. - Non puoi o non vuoi? - ribatté Henry, la voce intrisa di rabbia, prima di riattaccare. Rimase raggomitolato sul pavimento finché non trovò la forza per stendersi sul letto, appallottolandosi su se stesso fino a soffocare il dolore e il mal di testa. Sapeva che non doveva reprimere le sue emozioni in quel modo però, in quel momento, gli sembrava la cosa migliore da fare. Lentamente, inibito dall'emicrania e dal dolore emotivo, si addormentò cadendo in un sonno senza sogni.

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