Anche qui in Marocco, prima di scendere, veniamo ispezionati da due agenti della polizia portuale. È ancora Franca a intrattenere conversazione con loro. La vedo parlare calorosamente, poi voltarsi nella mia direzione e indicarmi col braccio. Capisco soltanto Mademoiselle Stènberger, il mio nome, a cui segue un cenno riverente del capo delle due guardie. Forse è perché sono l'unica ad essere nata in una città diversa da quella dove sono nati tutti loro?
Quando scendiamo finalmente a terra mi sento come se per la prima volta avessi messo piede su un suolo stabile. Le gambe vacillano alla ricerca di un equilibrio sconosciuto, qui, sulla terraferma. Intorno è tutto un gran caos di persone, biciclette, motociclette, gente che cammina a piedi. Suoni e rumori di fermento umano.
Ho letto che la popolazione, qui a Casablanca, è triplicata dagli anni '50 a oggi. La maggior parte degli immigrati è gente poverissima, che viene a cercare lavoro in città, essendo qui il porto, secondo solo a Tangeri. Inoltre, c'è fermento nel settore edilizio. Un progetto, da anni tenta di modernizzare la città dividendola in settori in base al tipo di popolazione ed eliminare definitivamente l'enorme baraccopoli sorta fino ad oggi. Qui le chiamano karian, sono come le favelas brasiliane, ma non è che in Italia ne siamo privi del tutto.
Appena mi riprendo da quella sensazione di stordimento cerco gli altri con lo sguardo. Cerco lui soprattutto, con una luce diversa negli occhi cerco nei suoi l'esistenza di un segreto condiviso.
Lo individuo a circa tre metri più in là, che parlotta con Iano e Antonella. Giusi e Angela stanno leggermente appartate a guardare il movimento incessante di persone. Invece, Franca e Mimmo si sono allontanati dalla parte opposta.
Mi avvicino.
Lui e Iano mi fissano per qualche secondo di troppo.
Che gliel'abbia detto?
Formulo la domanda in generale, ma è a lui che mi rivolgo. «Che facciamo? Io vorrei andare a visitare la Moschea», nel formulare la richiesta indico col braccio dietro di me, là dove la magnifica opera si impone col suo egocentrico minareto.
Antonella mi guarda come se avessi fatto una richiesta assurda.
«Vuoi andare a visitare la Moschea? Va bene», mi dice Francesco con la sua voce morbida. Lo sguardo che ci scambiamo per una frazione di secondo è soltanto nostro. Antonella si volta verso lui, con la stessa espressione assunta prima con me. Nel frattempo si avvicinano Giusi e Angela. «Allora, si va?» chiede Angela.
Capisco che avevano programmato un'altra cosa.
«Alba sta dicendo di andare alla Moschea» gli riferisce Antonella, con un tono che mi pare di scherno.
«Non siete obbligati, posso andare da sola» intervengo risentita.
«Dai, possiamo andare più tardi a La Medina», dice Francesco bonariamente.
«È una costruzione nuova, appena terminata» commento con enfasi.
Lei vorrebbe replicare qualcosa, ma non trova argomenti. «E andiamo a 'sta Moschea», sbuffa ancora Antonella.
«Dove vai conciata così?» Il mio tono è volutamente perfido. Lei si gira senza capire.
«Ha ragione», interviene Francesco, «ti devi coprire, non ti fanno entrare così». La mia faccia si distende in una smorfia carica di soddisfazione.
«E con che mi copro?»
«Non hai un pareo, uno scialle, una camicia?» le chiede ancora lui. Lei muove la testa a destra e a sinistra, a indicargli che no, non ce l'ha.
«Hai portato solo pantaloncini?» La schernisco ancora io, con quel moto malsano di volerla mettere in difficoltà. Lui mi guarda, fa un mezzo sorriso. Lei mantiene l'espressione accigliata. Non la vorrei proprio tra i piedi, ma dico: «dai, ti presto uno dei miei pareo» e lo faccio per lui, non per lei.
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Quell'Estate sull'Oceano
General FictionC'è Alba. Giovane, solare, con un approccio positivo alla vita, ma anche critico. C'è il suo amore per Bruno e la volontà di vedere realizzati i loro progetti insieme. Il clima sereno che le offre la sua famiglia la incoraggia a perseguire i suoi ob...