Capitolo 32

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30 luglio 1994

' Il Mediterraneo, il mare azzurro per eccellenza, "il grande mare" degli ebrei, il "mare" dei greci, il "mare nostrum" dei romani! Contornato di aranci, di aloe, di cactus, di pini marittimi, imbalsamato dal profumo dei mirti, incorniciato da massicce montagne, saturo d'aria pura e trasparente, ma senza riposo, travagliato dai fuochi della terra, è un vero campo di battaglia in cui Nettuno e Plutone si contendono ancora l'impero del mondo. Là, sulle sue rive e sulle sue acque, dice Michelet, l'uomo si ritempra in uno dei più forti climi del globo.

Ma per quanto sia bello non potei dare che un rapido sguardo a quel bacino, la cui superficie occupa due milioni di chilometri quadrati.

Pure le lezioni del capitano Nemo mi mancavano, poiché l'enigmatico personaggio non si mostrò mai durante quella traversata a gran velocità.

Credo che il Nautilus percorresse circa seicento leghe e compì questo viaggio nel giro di quarantotto ore.'

Tra poche ore attraccheremo a Palermo. Da qui, la striscia di terra lontana si intravede già. Abbiamo sostato solo una volta a Pantelleria, a fare rifornimenti vari e altro. Da lì ho avvertito mia madre del presunto arrivo.

Sono giorni che navighiamo senza soste. A volte Mimmo ha utilizzato anche il motore. Sembra abbiano fretta di ritornare.

Quella notte, dopo aver incontrato Francesco su in piattaforma, il catamarano ha ripreso il viaggio di ritorno. Quando mi sono svegliata, che erano appena le cinque, ho capito che stavamo navigando.

Sono uscita dalla cabina per entrare in bagno e lì, davanti allo specchio, sono rimasta agghiacciata: due grossi lividi sul collo mostravano sfacciati il loro colore violaceo. Ho tolto la maglietta e ne ho scoperti altri, uno su un seno e un altro sulle costole di sinistra.

Mi sono agitata. Ho provato profonda vergogna.

Così, sono tornata in cabina per indossare qualcosa di accollato e con il pareo ho fasciato tutta la zona del collo.

Più tardi, ho raccolto il coraggio necessario e sono salita.

Mimmo stava al timone e Franca armeggiava intorno al piano cottura. Aveva scaldato del pane acquistato in Marocco, preparato del caffè e sistemato alcuni datteri in un recipiente.

Ho salutato con cortesia e mi sono avvicinata per versarmi del caffè.

A un tratto, ho avvertito la pericolosa presenza di Antonella dietro le spalle. «E così, abbiamo una tigre a bordo» ha sibilato, viscida, mentre mi stava accanto e versava a sua volta il caffè nel suo bicchiere. Non ho risposto nulla, ma il diaframma si è bloccato per l'imbarazzo e mi sono sentita mancare quando, con la coda dell'occhio ho visto Francesco salire dalla scaletta con addosso solo una canottiera e vari lividi sparsi sulla sua pelle.

Quell' idiota non ha avuto neanche un po' di pudore, anzi, ho pensato che volesse esibirli come trofei.

Ho trascorso quasi tutto il viaggio di ritorno chiusa in cabina, per il timore di diventare la zimbella di tutti. Qualche volta sono uscita di notte su in piattaforma e mi sono sdraiata su un sedile o a terra.

Dormivo, leggevo... Piangevo. Qualche volta ho accarezzato quegli aloni, come timbri a marchiare la mia pelle, che col passare dei giorniviravano al verde, poi al grigio fino a diventare ombre appena accennate.

Francesco ha fatto di tutto per evitarmi e io altrettanto.

Mi sono rimproverata più volte, mi sono data della stupida e ho pensato, con bassa stima di me stessa, che adesso, anche io sarei entrata a far parte della schiera di sciocchine che si sono fatte abbindolare da lui, da loro.

Quell'Estate sull'OceanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora