Capitolo 26

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Le mani tremano; i palmi stanno appoggiati con incertezza sulla porta richiusa dietro di me. Il respiro è corto e accelerato. Tremano anche le labbra e la testa gira e non riesco a mettere a fuoco i pensieri, sono troppo sconvolta. Le gambe vacillano, sì, anche per il movimento appena sostenuto, ma il tremore è diffuso anche lì sotto.

Ho impiegato troppo tempo a scappare via.

Provo vergogna per quello che è appena accaduto e vergogna verso me stessa, per aver lasciato che accadesse.

Che razza di farabutto!

Mi ha raggirata facendo leva sulle mie passioni, mi ha persuasa a partire per tendermi la trappola e io ci sono cascata come una stupida.

Non ci sto ai loro giochetti!

Non gli permetto di confondermi in questo modo.

Piango. Sono lacrime di rabbia, di confusione e disorientamento. Sono turbata, perché ho esitato qualche attimo di troppo con la bocca nella sua.

Perché non sono più sicura di niente.

Mi accascio sul letto, accartoccio il corpo in cerca di una protezione uterina.

Tutto stava procedendo bene, mi piaceva quella danza improvvisata con lei, ma quel suo modo possessivo di imporsi... È stato irritante e sconcertante.

Non ho mai baciato una donna, mai in quel modo.

E lo sguardo di lui? Cosa avrà pensato del mio indugiare sulla bocca di lei?

Sì, ha sicuramente organizzato tutto per accontentare la sua amichetta.

Mi asciugo il viso con una mano e a poco a poco, sento salire la rabbia. Come si permettono di trattarmi così, come si permettono di raggirarmi in questo modo.

Senza riflettere più di tanto, in preda a un moto di rivalsa, furibonda, esco dalla cabina, salgo di sopra, veloce come un ciclone e scendo altrettanto veloce nell'altro scafo. Non faccio neanche caso a chi c'è sopra. Punto dritta verso la sua cabina.

Apro la porta senza bussare. Lui non c'è, ma ci sono le due amichette. Non le do neanche il tempo di rendersi conto che mi avvento su Antonella.

«Io non ti permetto!» grido e intanto la prendo per le spalle e la scuoto.

Lei ride come una sciocca, pensa che stia scherzando, ma quando le mollo uno schiaffone in pieno viso, allora inizia a reagire come una belva. Gridiamo nella colluttazione. Giusi pure, grida e piange. Arriva qualcuno, mi sembra Iano, che prova a dividerci e poi sento una gran confusione, Iano e Francesco che trascinano fuori Antonella, lei che scalcia come una puledra imbizzarrita, io che non intendo mollarla, Francesco che cerca di bloccarmi e si prende un calcio anche lui. Mimmo da sopra che urla e impreca e che a un tratto sento gridare: «Che cazzo ce l'hai portata a fare quella, qui!»

Quella, sarei io.

Ferita, offesa e umiliata, raccolgo quel briciolo di dignità rimasta e sgomitando, esco da lì.

«Sei una cretina» sento dire da Francesco, ma non è rivolto a me.

Me ne vado nella mia cabina, evito gli sguardi di tutti, specialmente quelli di Franca e Mimmo.

Una volta entrata, pian piano, l'energia cala e al suo posto, mi pervade un senso di spossatezza.

A questo punto, trovo davvero assurdo continuare questo viaggio. Che ci faccio qui? Cosa racconterò a mia madre? Come guarderò di nuovo Bruno negli occhi? Se sapesse in che situazione sono andata a cacciarmi perderebbe ogni considerazione di me.

Ma sarà impossibile interrompere il viaggio, ormai navighiamo in pieno Mediterraneo verso la Tunisia.

Allo stesso tempo, la prospettiva di proseguire chiusa qui dentro mi provoca un senso di soffocamento.

Non dovevo venire.

Mi sono lasciata abbindolare.

Ho ceduto al suo fascino; devo smetterla di far finta del contrario.

Guardo l'orologio: è quasi mezzogiorno.


Il bussare violento alla porta mi riscuote dai pensieri.

«Alba!» È lui. 

Non rispondo, ma mi assale un certo panico. Sono sola contro tutti, chiusa in questa cabina, in mezzo alla vastità del mare. Che posso fare?

«Apri questa cazzo di porta!» Colpisce il pannello ancora più forte. Non l'ho mai sentito così. Mi tornano in mente le parole di mia madre, Non ti mando in giro in alto mare con una barchetta piena di sconosciuti.

Non mi resta che affrontare.

Quando apro, con mani tremanti, diversamente da come mi ero immaginata, non irrompe all'interno, ma rimane lì, all'entrata. Io faccio un passo indietro e finisco seduta sul bordo del letto.

Per qualche attimo ci fissiamo. Devo avere un'espressione spaventata.

La sua invece, non riesco a decifrarla, ma non leggo collera. La mia rabbia si è sgonfiata come un palloncino e in questo momento mi sento fragile e smarrita.

Fa un passo avanti e chiude la porta dietro di sé. Io arretro di qualche altro centimetro sul letto.

«Hai paura di me?» chiede a un tratto.

Cerco di mantenere un falso atteggiamento di sicurezza. «Dovrei?»

I suoi lineamenti si distendono. «Come ti è venuto in mente di aggredire Antonella?» Il tono della voce è calmo, misurato, come è solito parlare. Perché mi ero aspettata conforto? Invece, eccolo lì, a difendere la sua protetta.

Questa cosa mi indispettisce davvero tanto. «Non ti vergogni neanche un po'?» chiedo, indignata. «Mi hai raggirata ben, bene. Hai preparato la trappola per portarmi quassù e coinvolgermi nei vostri giochetti. Sei un farabutto!»

Le parole escono ferme, anche se dentro mi sento andare in frantumi.

«Stai scherzando?» Ha un'espressione quasi scandalizzata. «Io ti avrei teso una trappola?»

«Non è così? Hai perfino organizzato lo spettacolino del ballo per preparare il terreno a lei!»

Sul suo viso passano espressioni diverse: sorpresa, delusione, risentimento.

«Tu sei pazza. È un bacio, Alba, un tranquillo e innocuo bacio. Sei piena di pregiudizi che non ti fanno vedere le cose con chiarezza».

Sono spiazzata. Dischiudo le labbra stupita. Dove vuole arrivare?

Si avvicina fino a toccare le ginocchia sul bordo del piccolo letto. Io indietreggio strusciando sul materasso fin quando ne sento la fine con la schiena. Si sporge in avanti e appoggia le mani sulla base. I nostri volti sono così vicini che posso sentire l'alitare delle sue parole.

«Ho organizzato lo spettacolino, come lo chiami tu, perché adoro vederti ballare» mormora quasi, guardandomi con sfida. Il mio respiro si fa corto. Non stacco gli occhi dai suoi in preda a un miscuglio di emozioni contrastanti: desiderio e paura.

«Ti voglio da quella sera, ma non sono mai stato sicuro di volerti dividere con lei». L'attimo che segue sembra un'eternità. Ho il diaframma bloccato. C'è un silenzio assordante all'interno della cabina. Soltanto il lieve mormorio dell'acqua che si infrange all'esterno. Le sue pupille sono più scure e dilatate.

Mi sento come una preda dentro la tana del lupo.

Poi, si allontana con lentezza per tornare in piedi. Si avvicina alla porta, la apre. «Noi stiamo per mangiare, se vuoi unirti, principessa». Volta appena il viso verso di me, ne posso vedere solo una metà «e per tua informazione, non ne cambio una a settimana». Richiude e se ne va.

Quell'Estate sull'OceanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora