Capitolo 42

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Lo Scarabeo fatica un po' in salita, rallenta tantissimo prima dell'ultima curva, ma ce l'abbiamo quasi fatta. A quest'ora della mattina qui è bellissimo e si sente forte il profumo di zagara. Poche contrade più sotto abita Emilia. Qualche volta con mamma siamo andate da lei.

Non sono ancora le otto quando arrivo davanti al cancello di casa sua. I maremmani abbaiano, mi tolgo il casco e li chiamo, riconoscono la voce e iniziano a scodinzolare. Premo il campanello dove è scritto Francesco. Apre quasi subito senza rispondere, beh, non aspettava di certo altre visite.

Porto dentro il motorino a motore spento. I maremmani mi vengono incontro festosi. «Ciao, Alba!» La voce proviene da dietro una parete di siepe su un'altura alla destra dell'entrata. È Rosaria che mi saluta con la mano. Sento anche la vocina di Riccardo.

Ricambio il gesto.

Blocco il motorino sul cavalletto e inizio a salire.

Lo immagino ancora assonnato, il letto tiepido, le lenzuola stropicciate. Ho un urgente bisogno di nascondermi tra le sue braccia, di assaporare per un po' la sua vita più serena della mia, qui in questa casa, dove a quest'ora si respira pace e quiete familiare.

La porta è chiusa. Busso con delicatezza, - anche se è sveglio mi sembra di disturbare.

Dopo qualche secondo la porta viene aperta e mi ritrovo davanti Antonella.

Il gelo che mi attraversa la spina dorsale è immediato, violento.

Le gambe iniziano a tremare. La lingua è paralizzata, non riesco a emettere alcun suono.

Lei rimane immobile, il corpo rilassato, appoggiato pigramente allo stipite della porta, e mi guarda con la sua solita espressione accigliata.

Allargo il campo visivo. Lui sta in piedi dietro il piano di lavoro in cucina. Maneggia qualcosa. Mi guarda. «Non entri?» mi chiede con candore.

La mia voce è un sibilo «Perché lei sta qui?»

Lui cambia espressione, muove alcuni passi e si avvicina. Lei si scosta di lato, muta. Francesco prova a prendermi una mano. «Dai, vieni». Scatto all'indietro, mi allontano di un metro circa.

«Perché mi hai detto che potevo venire? Perché l'hai portata qui?» Il mio tono è sempre più alterato, formulo le domande come se lei non fosse presente.

«Volevo che venissi».

«Ha dormito qui, l'hai fatta venire appena ci siamo salutati, perché?» Sono sempre più aggressiva e incalzante.

«Perché questa è casa mia» risponde infastidito.

Divento pietra, lastra di ghiaccio, perfino il sangue si condensa, sia nel corpo fisico che in quello dell'anima. Non posso credere che stia davvero parlando così. Avverto dentro di me un profondo senso di sconfitta. Ero preparata a questo, no?

Avevo sempre messo in conto l'arrivo di un momento così.

Sì, ma non così e non adesso. Qual è il momento giusto in cui precipitare all'Inferno?

Ci fissiamo per una frazione di secondi.

«Va bene». La mia voce è fredda, tagliente, ma impregnata di delusione, una delusione ancora maggiore se si aggiunge quella di stanotte. Mi giro e inizio a scendere le scale.

«Come vuoi» lo sento mormorare alle mie spalle.

I gradini sono dieci in tutto.

'Quello ne cambia una a settimana'

Quell'Estate sull'OceanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora