Capitolo 11

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La finestra della mia camera è esposta a est, se questo particolare è gradito durante le buie ore delle mattine invernali, lo è meno in estate, quando la luce accecante penetra all'interno fino a colpirmi in viso. E sì che ho lasciato un pezzo di finestra aperta ieri sera!

Dal grado di intensità luminosa che mi arriva direi che è mattino inoltrato. Guardo l'orologio, lì sul comodino accanto: le undici! Sì, ne avevo proprio bisogno di una dormita così.

Allungo le braccia oltre la testa, mi stiro accompagnando il movimento con mugolii indecifrabili, poi, quando le riporto lungo i fianchi, una mano incontra un pezzo di carta: è il biglietto con il numero telefonico che mi ha lasciato Francesco. Ha dormito con me, penso e sorrido a quella sensazione di piacere.

Lo leggo ancora, oggi è giovedì, ha detto tra quattro giorni, quindi salperanno domenica?

Butto fuori l'aria e mi alzo pigramente dal letto. Raggiungo la finestra del balconcino e apro del tutto le persiane. Una luce accecante mi costringe a strizzare gli occhi; di sotto, l'asfalto della strada sembra liquefarsi a quel calore rovente e laggiù, lontano, tra le fessure ricavate tra un palazzo e l'altro, brilla di oro lucente un triangolino di mare che si può scorgere da quassù.

Ricordo la prima volta che abbiamo messo piede su questa terra. Era estate anche allora. Mio padre e mia madre avevano considerato che fosse più saggio trasferirsi dopo la chiusura delle scuole, per me e Massimo, ma anche per lei che vi lavorava. Papà invece si era stabilito qui già da inizio anno e, dopo essersi ambientato, aveva cercato l'abitazione giusta per tutta la famiglia. Anche quella volta mi colpì per prima cosa la luce accecante e il calore e le strade che sembravano friggere sotto di esso.

Entro in camera di mia madre, apro la finestra per cambiare l'aria e far entrare un po' di luce. C'è un disordine totale, il letto sfatto, abiti sparpagliati qua e là. Povera mamma, è stanca, non vede l'ora di riposare. Oggi sistemerò un po', così al suo ritorno troverà la casa in ordine.

Alla luce risaltano le foto appese sulla parete dietro il letto. È da un po' che non entro qui. Una foto è di loro due insieme; quanto sono belli! Mio padre sembra un vichingo, mamma qui, aveva ancora i capelli lunghi. Poi, ci sono foto di loro due con Massimo piccolino e altre con tutti e quattro insieme; un'altra con me in braccio a mio padre.

Ripenso alla famiglia di Francesco, ogni giorno stanno tutti insieme, può vedere la sorella ogni volta che lo desidera, sua madre e suo padre sono sempre presenti. Condividono insieme il loro progetto di lavoro. È una cosa bella.

Mi affascina la vita di Francesco, la sua autonomia e l'approccio che ha verso di essa. Non è come si dice in giro, forse è solo una maschera che indossa per apparire in pubblico.

Chissà chi altro navigherà con lui... Ha detto in cinque più l'equipaggio.

Scendo in cucina a mangiare qualcosa, mi lavo, mi vesto e mi metto al lavoro. Prima però, devo portare lo Scarabeo all'officina qui di fronte.

Quando all'una e mezza rientra mia madre la tavola è già apparecchiata, la casa profuma di pulito e ho messo su un disco di vinile di papà. La vedo varcare la soglia con l'espressione stanca e il viso emaciato dal calore; non fa subito caso al cambiamento, ma dopo un attimo, quando se ne rende conto, la sua espressione passa da stanca e rassegnata a vivace e meravigliata.

«Alba!»

Io sto appoggiata allo stipite della porta della cucina con un sorriso a trentadue denti. «Il pranzo è servito, Madame».

Mi raggiunge in cucina, guarda la tavola perfettamente apparecchiata. «Tesoro!» Mi abbraccia forte. A volte occorre davvero poco per fare felice una madre, considero, ma allo stesso tempo, mentre la guardo mangiare rilassata, comincio ad avvertire una strana inquietudine e desiderio di metterla al corrente su quanto mi passa per la testa.

«Non finisci?» Indica il mio piatto non del tutto pulito. Resto qualche secondo incantata, con lo sguardo sui chicchi di mais nell'insalata di riso. «Mamma...»

Blocca la mano che tiene la forchetta vicina alla bocca, mi fissa, perplessa e stupita. «Che succede?»

«Vorrei parlarti di una cosa...» Esito ancora. Lei poggia di nuovo la forchetta piena nel piatto. «Alba, che succede?» Adesso sembra preoccupata.

«Non è una cosa grave, si tratta di qualcosa che mi piacerebbe fare».

E a quel punto le racconto della visita al cantiere, l'imbarcazione fresca di costruzione e la proposta di Francesco.

Lei rimane in silenzio per un tempo che mi sembra infinito. È un silenzio che mi innervosisce. Stritolo con le dita il lembo di tovaglia che mi sfiora le gambe.

Guarda prima di sotto, nel piatto, poi, alza il viso verso di me. «Non ho capito, è una gita turistica o un'uscita di lavoro?»

«Te l'ho detto, si tratta di un collaudo e con l'occasione si può fare questo giro nel Mediterraneo. Il posto c'è, perché non dovrei approfittarne?»

«Per tanti motivi, Alba... Non conosci quelle persone, è un viaggio lungo e anche rischioso, essendo un collaudo...»

«Ma non è rischioso!»

«Tu che ne sai? E poi, non capisco, perché sei invitata, cosa c'entri tu?»

«È stato per caso, mamma, ieri, parlando con Francesco è venuta fuori la mia passione per la vita marina e mi ha parlato di questa uscita, tutto qua».

«Tutto qua?»

«È una cosa carina, non trovi?»

Si lascia cadere con le spalle allo schienale, butta fuori l'aria. «Non lo so...»

La guardo per cercare un significato in quelle tre parole, lei invece vaga alla ricerca di altri argomenti, la vedo spostare gli occhi sugli oggetti che ha di fronte.

«Invitalo qui, a pranzo, Sabato. Voglio parlargli».

«Che cosa? Ma come ti viene in mente, vuoi rendermi ridicola?»

«Perché? Perché dovresti essere ridicola, perché tua madre vuole assicurarsi che sua figlia non si metta in pericolo? Cosa c'è di ridicolo in questo, spiegamelo!»

«Ma mamma, è una cortesia che lui fa a me, non me lo deve. Se voglio andare vado senza farla troppo lunga, altrimenti amen. Non è obbligato a parlare con te».

Capisco di non averla convinta. «Voglio parlargli sabato a pranzo, qui. Altrimenti non se ne fa niente. Non ti mando in giro in alto mare con una barchetta piena di sconosciuti». Il tono è duro e determinato. Le ho rovinato il pranzo, anzi, ci siamo rovinate il pranzo.

«Non verrà mai» commento sommessamente.

«Peggio per lui» dice, quando è già in piedi pronta a sparecchiare.

«Per lui? Sono io che mi perdo l'occasione» lamento.

Quell'Estate sull'OceanoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora