Capitolo 3

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Sbattei le palpebre più volte nell'intento di focalizzare la scena.

Ero a pochi centimetri dal suo volto, con il viso all'insù a causa della differenza di altezza. A causa di quei dannati occhi azzurri divertiti me ne stavo imbambolata come uno stoccafisso,  senza contare che ero abbastanza vicina da poter sentire il suo profumo pizzicarmi le narici.

Mi sentii affluire il sangue alle guance a causa della vergogna ed ero sicura di aver assunto lo stesso colore di un peperone. Non ero in grado di formulare una frase di senso compiuto, anche se non sapevo se per via della sua vicinanza, o per via della botta che doveva aver messo ko le mie capacità cognitive.

- Sta bene?- si accertò lui, senza togliersi quel sorrisetto dalla faccia.

- Sì...- risposi flebile io -...più o meno.- precisai, massaggiandomi il naso.

- Sa...- riprese a parlare con aria pensierosa-...sto iniziando a temere per la mia incolumità.Non è che per caso il suo fosse uno scadente tentativo di aggressione alla mia persona?- chiese, palesemente ironico.

Gli lanciai un'occhiataccia, a cui lui rispose con un sorrisetto sghembo.

- Se avessi voluto aggredirla, avrei optato per un oggetto contundente, non avrei di certo utilizzato il mio naso delicato!-
Avevo fatto la voce grossa e avevo creduto che in qualche modo sarei riuscita a farmi valere dinanzi a quel bell'imbusto presuntuoso, ma così non fu. L'assistente addentò l'interno della guancia, poi scoppiò a ridere fragorosamente.
- Signorina, lei è esilarante! Ci vediamo tra dieci minuti nel mio studio, vado a prendere un caffé  e la raggiungo.-
Si congedò con un sorriso e il suo cambiamento di atteggiamento nei miei confronti mi stupì non poco.

Aveva scherzato con me; certo, sempre con fare provocatorio, ma per come mi aveva trattato all'esame, avrebbe potuto farmi una ramanzina lunga un'ora sulla mia sbadataggine e sulla mia insolenza ed invece, aveva riso.

Signori e signore, Marco Ferraro aveva riso per un qualcosa che avevo detto.

Annuii meccanicamente, ancora sconvolta dal suo cambiamento nei miei confronti e dopo avermi fatto un ultimo cenno di saluto, se ne andò.

Lo seguii con lo sguardo fino a quando rientrava nella mia visuale, facendogli una radiografia partendo dalle spalle, fino ad arrivare al suo fondoschiena e cavolo, che fondoschiena!

Mi sentii pervadere da un' ondata di calore, nonostante le temperature rigide di fuori, nel ripensare al suo profumo, al suo sorriso, al suo modo di scherzare.

Che avessi dato un giudizio troppo affrettato? Forse non era poi così stronzo.

Era stato...simpatico.

Sorrisi sollevata nel pensare che magari tutte le congetture che mi ero fatta su di lui e che tutte le preoccupazioni relative all'avvenire, fossero solo frutto della mia immaginazione o un mio errore di giudizio e mi andai a sedere nella sala di attesa con una nuova carica di positività.

Chissà, magari era vero il detto: non si giudica un libro dalla copertina.

Pensai che forse era giunto il momento per mettere da parte gli screzi.

Quanto ero ingenua.

                                                                             ***

Tre quarti d'ora.

Tre quarti d'ora ad aspettare che Ferraro prendesse quel dannato caffè e la speranza che ci si fosse affogato, iniziò a balenare nella mia mente, dando un minimo di sollievo a quella rabbia che mano mano mi stava logorando dentro.

Deontologicamente scorretto [#Wattys 2017]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora