E se fosse stato destino?

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Pov Marco
Fu quello il momento in cui realizzai di essermi avvicinato al traguardo, quando le dita iniziarono a pigiare sulla tastiera e la frase di esordio della mia tesi di laurea si palesò dinanzi a me. Fu proprio quello il momento, quando vidi quelle quattro parole messe in riga dopo svariati minuti di silenzio trascorsi a fissare la pagina bianca di Word, che sentii di poter tastare la consistenza di un sogno non più così irraggiungibile.
Avevo da poco compiuto ventitré anni e tra qualche mese avrei finalmente conseguito la laurea in giurisprudenza.
Mi tremavano le gambe al pensiero di entrare nel mondo forense e non per la paura, o meglio, non solo. Io fremevo dalla voglia di mettermi in gioco.
Avevo sempre voluto fare l'avvocato, d'altronde con un padre avvocato amministrativista e una madre magistrato, io nel mondo del diritto ci ero nato.
Avevo sempre creduto di seguire le orme di mio padre: del contenzioso con le pubbliche amministrazioni e degli appalti pubblici credevo di farne la mia vita, poi mi ero imbattuto nel diritto penale e me ne innamorai totalmente.
C'era un non so che in quella disciplina, un quid pluris la rendeva così accattivante, da impedirmi di immaginare un futuro senza che ne facesse parte anch'essa.
Fu proprio quando presi posto in aula e ascoltai la prima lezione di diritto penale del professor Contieri, che ebbi chiaro quale fosse la strada da scegliere. Sarà stato per il suo impatto sociale, per la sottile linea che separava il diritto dalla morale, il giustizialismo che si contrapponeva al garantismo, lo stato di diritto che arrancava nel prevalere sugli irrazionali impulsi primitivi, sarà stato per l'insormontabile conflitto interno che creava in chi decideva di diventare un giorno difensore, ma io credevo di potercela fare. Non era facile per un giovane giurista dall'idealismo fresco e radicato scendere a patti con la propria coscienza e difendere non solo innocenti, ma anche colpevoli, ma se l'idea levava il sonno, allora forse sarebbe stato opportuno cambiare mestiere.
Un avvocato difende persone, non innocenti. E la consapevolezza di stare in ogni caso svolgendo la propria funzione, la certezza di garantire un diritto della persona, colpevole o innocente che fosse, bastarono a convincermi che, al di là del verdetto, si era comunque dalla parte giusta.
Osservai inebetito la miriade di fotocopie cosparse sulla mia scrivania e dopo aver fatto un respiro profondo, mi immersi nello studio delle fonti.
Avevo appena deciso il sommario del primo capitolo e proprio quando ebbi chiara in mente la stesura del paragrafo, il suono del mio cellulare attirò la mia attenzione.
Lo afferrai d'impeto e nel leggere il nome di Laura, la mia ragazza, sorrisi calorosamente.
- Non dirmi che già ti manco? Ci siamo visti appena due ore fa!-
Uno sbuffo sopraggiunse alle mie orecchie e con esso, anche il tono vibrante della sua risata.
- Mi annoio! Ho scritto tre righe e Maione vuole il primo capitolo della tesi tra due settimane!- frignò affranta - A te come va?-
- Ero in procinto di iniziare, poi una guastafeste di mia conoscenza mi ha chiamato! - la provocai suadente.
Laura scoppiò a ridere e anche se non potevo vederla, ero certo che il suo viso si fosse increspato in un ghigno provocante.
- Potremmo vederci e scriverla insieme. Sarebbe meno noioso in compagnia! - ammiccò maliziosa.
Sorrisi divertito e mentre osservavo il computer che spiccava imponente tra le varie fotocopie, intimandomi silenziosamente di riprendere a studiare, sospirai esasperato.
- No, Laura. Sai perfettamente che finiremmo per fare sesso! -
- E sarebbe così sbagliato?- mugolò lei, quasi frignando.
Pensandoci meglio, non riuscii a trovare nessuna ragione valida per poterla contraddire, a parte qualche dettaglio di natura tecnica in grado di poter rovinare le danze.
- C'è mamma di là. - le dissi, mordendomi il labbro inferiore.
Per un attimo nessuno dei due parlò e fui certo che Laura, con la sua proverbiale tenacia, non avrebbe desistito con così poco.
- E se ti dicessi che ho casa libera?-
Non servì neanche pensarci: balzai in piedi e racimolando alla bell'è meglio il mio materiale, afferrai le chiavi del motorino.
- Perché non lo hai detto subito?! Sto arrivando! -
La risata di Laura fu l'ultima cosa che sentii, prima di uscire dalla mia stanza. Era bastato davvero poco per vincere le resistenze del mio senso del dovere, ma come potevo rifiutare una proposta allettante come quella?
Infilai il giubbotto e prima di uscire dalla porta di casa, mi affacciai con metà busto nello studio di mia madre.
- Mamma io esc-...- ma non riuscii a terminare la frase.
Mia madre, con i gomiti puntellati sulla scrivania sobbarcata di fascicoli, teneva la testa tra le mani e scuoteva il capo in preda a un moto di sconforto.
- Mamma?-
Aggrottai la fronte e quando sollevò il capo e incrociai i suoi occhi lucidi a causa di un principio di pianto, trattenni il respiro.
C'era qualcosa di incredibilmente intollerabile nel pianto di una madre, faceva male al punto tale da prendere lo stomaco. Forse perché un figlio tende sempre a scorgere un'aura di invincibilità intorno a un genitore, forse perché un genitore cerca sempre di nascondere ai propri figli i suoi momenti di debolezza, eppure, quando accadeva di coglierlo in quel raro momento, le sue guance bagnate dalle lacrime ti bruciavano gli occhi come se l'aria fosse improvvisamente diventata veleno.
Mi si seccò la gola e con passi timidi e incerti, mi parai dinanzi a lei.
- Stai bene? Perché piangi?- chiesi e la voce uscì così debole, da manifestarsi come un flebile sussurro.
- Tranquillo tesoro, non è nulla!- mi rassicurò lei imbarazzata, asciugando frettolosamente le lacrime, quasi a volerle nascondere - Sto lavorando a un caso che-...- e s'interruppe a causa della voce che uscì strozzata. Raramente avevo visto mia madre piangere, ma quello che mi sconvolse fu che lei stesse piangendo per lavoro.
Francesca Varelli era un magistrato e da anni lavorava al Tribunale dei Minorenni, un ufficio specializzato in questioni riguardanti i minori, sia sotto il profilo civilistico che penalistico.
Non era facile trovarsi nella situazione di dover decidere il destino di un bambino o di un adolescente, eppure mia madre, che di esperienza ormai ne aveva tanta, era sempre stata in grado di mantenere un certo distacco, evitando così qualunque coinvolgimento emotivo. Non era disinteresse, ma un cinismo necessario; la terzietà e l'imparzialità stavano ai giudici, come il giuramento di Ippocrate stava ai medici.
E proprio a causa di quella professionalità a cui sempre lei ci aveva abituati e che aveva sempre mantenuto in ogni circostanza, che faceva strano vederla così, senza quella sua solita aria seria e composta.
Superai la scrivania e incurante del fatto che Laura mi stesse aspettando, mi accomodai accanto a lei.
Le accarezzai il braccio e quando incrociai i suoi occhi, così uguali ai miei, lei abbozzò un timido sorriso. Non ero uno che si lasciava spesso andare a manifestazioni di affetto, ma sembrò essere l'unico gesto davvero opportuno in quel momento.
- Ne vuoi parlare?-
Mia madre mi guardò titubante per un secondo di troppo, poi espirò sonoramente.
- Non potrei...- disse incerta.
- A meno che tu ti astenga dal fare nomi! - la incalzai, con un sorriso da furfante.
Mamma scoppiò a ridere e scosse il capo rassegnata.
- Sei degno figlio di tuo padre.- commentò, a metà tra il divertito e l'esasperato, poi socchiuse gli occhi minacciosa - Se ti fai scappare qualcosa, ti uccido!-
Mimai con le dita il gesto di cucirmi le bocca e mi misi in attesa, mentre mamma recuperava gli occhiali e li sistemava con cura sul naso.
- Una ragazzina di quindici anni ha perso da poco entrambi i genitori in un incidente d'auto e noi dobbiamo decidere a chi affidarla.-
Annuii con il capo e mia madre, con aria professionale, sfogliò gli atti contenuti nel fascicolo.
- Non ha nonni e gli zii stanno facendo una guerra perché nessuno vuole assumersene la tutela, fatta eccezione per una zia di poco più di trent'anni. - proseguì, e un filo di angoscia le oscurò lo sguardo.
- E qualcosa mi dice che questa donna non ti convince.- dedussi, scrutandola con attenzione.
La vidi portarsi una mano nei capelli e sospirare affranta.
- Non è lei che non mi convince. Credimi, stimo tanto questa donna. Ha poco più di trent'anni, non ha figli e si sta adesso costruendo una carriera, ma è l'unica che si sta battendo per lei; l'ho vista sbraitare contro i suoi parenti con una determinazione che solo chi ama davvero riesce a sfoderare, ma...- tentennò, mordendosi il labbro inferiore.
- Ma?-
- Suo marito non è della stessa opinione.- rispose, scura in volto - Non è una cattiva persona e in un certo senso lo capisco. Sono giovani, non hanno ancora avuto figli per questioni lavorative e occuparsi di un'adolescente traumatizzata richiede cure inimmaginabili. Per di più lui ha appena ottenuto un trasferimento a Firenze.-
Sentii il cuore fermarsi nel petto e inevitabilmente pensai a quella ragazzina. Come poteva la vita essere così crudele da accanirsi nei confronti di un essere così indifeso? Come poteva una ragazzina affrontare tutto questo, proprio nel momento in cui aveva più bisogno di qualcuno che le desse delle certezze?
- Dio, è una storia orrenda.- mormorai con rammarico.
Mia madre tremò impercettibilmente e nei suoi occhi scorsi nuovamente lo sconforto di prima.
- In quindici anni che sono ai minori, ne ho visti tanti di casi, anche di peggiori. Ho visto situazioni di degrado e totale abbandono, genitori usare figli per farsi la guerra, ma bene o male una spiegazione la riuscivo sempre a trovare. Ma in casi come questo, c'è una gratuità che non riesco proprio ad accettare.- affermò con sicurezza, poi strinse i denti con rabbia - Questa ragazzina è troppo piccola per affrontare già tutta questa cattiveria!-
Era proprio nel sentire queste storie che ci si rendeva conto di quanto, in fondo, bastasse poco per sentirsi fortunati e di come a volte bastasse un attimo, una semplice fatalità, per essere scaraventati sul fondo del baratro insieme alle macerie delle proprie certezze. Pensai inevitabilmente a quella ragazzina costretta a fare l'adulta prima ancora di esserlo e mi tremò il cuore. Non l'avevo mai vista, ma la immaginai bella, nonostante gli occhi velati di tristezza; chissà perché, poi,quando si provava compassione per qualcuno che non si conosceva, lo si immaginava sempre bello, di quella bellezza candida che faceva da specchio alla purezza dell'anima. Forse, pensai tra me e me, perchè nella mente umana rappresentava l'immagine di quell'innocenza che consentiva di cogliere appieno la portata dell'ingiustizia che aveva subito.
- E lei com'è? - chiesi d'impulso, dando voce ai miei pensieri.
Mia mamma mi guardò sorpresa.
- Ha gli occhi verdi. - rispose, sorridendo appena - Ma nei nostri incontri non ha mai detto una parola. Si mette seduta, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo indifferente fisso da tutt'altra parte, come se il fatto non fosse il suo. Non l'ho mai vista piangere. -
- Beh, ha tanta rabbia in corpo. -
- Non parla nemmeno con gli psicologi. Ha fatto anche una visita psichiatrica con la quale le hanno diagnosticato la depressione.- e un singulto le scappò dalla gola.
Le mani affusolate le si piazzarono sul volto e la fede nuziale fissa sull'anulare sinistro raccolse una lacrima che sfuggì al suo controllo.
- Non so cosa devo fare! - confessò in un sussurro affranto - È così vulnerabile e qualunque cosa, anche minima, potrebbe aggravare la sua condizione! -
Sussultai sul posto e in quel momento non seppi cosa dire. C'era qualcosa che torturava mia madre e che l'angosciava al punto da coinvolgerla appieno in questa triste vicenda, qualcosa che le impedisse svolgere il suo lavoro con la tranquillità necessaria per poter prendere decisioni di quel calibro.
- Non ti seguo.- ammisi confuso.
Mia madre mi lanciò un'occhiata grave, una di quelle che nascondevano dietro la durezza un velo di vergogna.
- Quando prendo una decisione, lo faccio con la consapevolezza di offrire al bambino una prospettiva di vita migliore.- chiarì risoluta, poi sorrise amara - Invece stavolta mi sento una persona orribile perché sto facendo guerra a una donna che è arrivata persino a minacciare il marito di lasciarlo, pur di prendersi cura di questa bambina!-
Sgranai gli occhi e finalmente capii cosa stesse flagellando la mente di mia madre.
- Non vuoi concederle l'affidamento?- domandai stupito.
- Non lo so, Marco. Non posso ignorare il fatto che il marito si sia opposto, né tantomeno il trasferimento a Firenze. Credi che la ragazzina, nello stato in cui si trova, possa prendere bene un nuovo ambiente, una città diversa dove non conosce nessuno? E se questo la rovinasse ancora di più? Oltretutto lei non parla, non manifesta alcun pensiero! - sbottò frustrata, poi mi lanciò una lunga occhiata pregante - Mai come stavolta, non ho la più pallida di cosa fare! -
Mi sporsi con il busto in avanti e d'impeto l'abbracciai, cogliendola di sorpresa. La strinsi forte e con il mento poggiato sulla sua spalla, annusai il suo profumo dolce.
- Sono certo che prenderai la decisione giusta. -

Deontologicamente scorretto [#Wattys 2017]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora