Capitolo 18

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Pov Marco

Ero seduto sul mio divano, con il cellulare tra le mani, mentre lo giravo e rigiravo con nervosismo.

Non sapevo cosa fare; non avevo fatto altro che pensare a lei tutta la giornata e la voglia di sentirla e sapere come stava, mi stava torturando la mente e adesso me ne stavo lì, con la schiena attaccata alla pelle nera del divano, mentre cercavo una scusa plausibile per chiamarla.

Sbuffai sonoramente.

Dio, mi sentivo un coglione.

Dove era finita la mia sicurezza? Dove era finita la mia spavalderia?

Porca miseria, non avevo timore di affrontare giudici e pubblici ministeri e adesso me la stavo facendo sotto all'idea di parlare con una ragazzina.

- No, non posso! – imprecai fra me e me, lanciando malamente il cellulare sul tavolino.

Non lo avrei fatto; non era da me cercare una donna, non era da me reclamare attenzioni e figuriamoci se Marco Ferraro si faceva pippe mentali a causa di una studentessa.

Mi alzai dal divano ed iniziai a camminare avanti indietro per la stanza, indeciso sul da farsi, perché mentre il mio cervello mi intimava di smetterla ed andarmene a dormire, il mio sguardo ed ogni fibra del mio corpo erano proiettati verso quell'aggeggio malefico, che giaceva lì a pochi passi e come una calamita con il ferro, mi attraeva verso di sé.

- Oh, al diavolo! –

Raggiunsi il telefonino con poche falcate e lo afferrai deciso e senza pensarci troppo, composi il numero di Alessandra.

Squillò a vuoto per un minuto buono, mentre la mia mente si alternava tra la speranza che non rispondesse e l'impazienza di sentirla e quando fui in procinto di attaccare, finalmente lei rispose.

- Pronto? –

Oh cazzo.

E adesso che cazzo le dicevo?

- Alessandra? – la chiamai incerto, aggrottando le sopracciglia in una smorfia imbarazzata, mentre mi passavo una mano tra i capelli nervosamente.

- Marco?! – si accertò lei, con una evidente nota di stupore nella voce.

- Ehm...- temporeggiai io, mordendomi il labbro in difficoltà - ...volevo dirti che ho sollecitato il p.m., affinché chiedesse una misura cautelare per quel ragazzo. Sai, dopo quello che è successo ieri...- lasciai la frasi in sospeso e mi grattai la nuca.

- Ah...ok! – rispose semplicemente lei.

Ci fu un minuto di imbarazzante silenzio, minuto in cui nessuno ebbe il coraggio di proferire parola, forse perché c'erano troppe questioni in sospeso, forse perché dopo le sensazioni provate ieri ed il modo in cui ci eravamo aperti, entrambi ci sentivamo come appesi sul filo del rasoio, in un precario equilibrio tra cose dette, non dette, fatte o non fatte, cosicché entrambi avessimo timore di spezzarlo.

Ma fu lei a farlo.

- Mi hai chiamata solo per dirmi questo? – chiese Alessandra e potei scorgere una nota di delusione nella voce.

- No! – precisai io d'impeto – cioè...sì...però volevo sapere anche... -

Non riuscii a terminare la frase, poiché fui interrotto dal suono della sua risata cristallina.

- Marco, a parole tue! – scherzò lei divertita.

Oddio, era un incubo.

Una donna, o meglio, una ragazzina stava ridendo di me e della mia singolare, quanto inusuale, insicurezza.

Deontologicamente scorretto [#Wattys 2017]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora