Capitolo 32

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Pov Alessandra

Il momento era arrivato; per quanto avessi cercato di tardarlo il più possibile, adesso non potevo più tirarmi indietro.

Certo, sarebbe stato come al solito tutto più semplice se non avessi intrapreso una relazione con un assistente di diritto penale, nominato per giunta mio relatore, sarebbe stato tutto più facile se non me ne fossi innamorata e se non fossi stata drasticamente mollata, ma non avevo più di che stupirmi: se c'era un qualsiasi modo, anche improbabile, di complicarmi l'esistenza, io l'avrei sfruttato eccome.

Sarà stato il mio masochismo o un fato troppo accanito, o probabilmente una cooperazione colposa, stava di fatto che ero stufa di annaspare e soffocare in quel velo di vigliaccheria ed autocommiserazione che ad ogni respiro e ad ogni battito finiva per stringermi sempre di più, fungendo da seconda pelle e deformando la realtà circostante.

Avevo tergiversato parecchio su quella decisione, ritardando il più possibile il giorno in cui avrei dovuto affrontare faccia a faccia l'assistente che mi aveva cambiato la vita e che per quanto avessi voluto estromettere dalla stessa, per una serie di sfortunate circostanze ero costretta a vedere ancora.

Varcai la soglia dell'università con una certa ansia, mentre con poca decisione e con il corpo tremante, infrangevo i miei passi in direzione dell'ascensore.

Pigiai il tasto con frettolosità e con snervante inquietudine attesi il mezzo che mi avrebbe condotto al sesto piano.

Non ero pronta. Non ero affatto pronta, ma mi convinsi dell'urgenza dell'incontro e della necessità di assumere un atteggiamento serio e professionale, sconfinando in angoli remoti i trascorsi personali precedenti.

Feci uno sforzo enorme nel cercare di mostrarmi tranquilla, specie se delle dita invisibili mi arpionavano lo stomaco e con le loro unghie affilate lo strattonavano, rischiando di lacerarmi la carne.

Le mie gambe scalpitavano e cercavano di scaricare il disagio attraverso accennati movimenti sul posto e quando il suono delle porte che si aprivano mi avvertì del suo arrivo, il cuore balzò in gola.

Ma quando constatai che il mezzo non fosse vuoto e che un'inconfondibile figura vi occupasse lo spazio, esso cessò di battere, freddando le mie capacità motorie ed intellettive.

I miei bulbi oculari si spalancarono nell'osservare la regale presenza di Marco Ferraro che, con lo sguardo fisso sul cellulare, se ne stava appoggiato alla parete.

Il respiro mi venne nuovamente a mancare e con i tratti del viso deformati da una smorfia di puro terrore, mi resi conto non solo di non essere pronta ad affrontarlo, ma che ancora non ero pronta a scontrarmi con il lacerante dolore che la sua sola vicinanza mi causava.

L'assistente, attirato dal singolare silenzio, alzò lo sguardo e lo posò sulla mia figura minuta.

I suoi occhi si sbarrarono per lo sconcerto e le meravigliose iridi azzurre si dilatarono completamente, mostrandosi nella loro totale lucentezza.

Ferraro, con movimenti affrettati, raddrizzò le spalle ed accennò un lieve passo in avanti, ma quell' impercettibile avanzamento, suscitò in me un irrazionale ed insormontabile paura e come un animale indifeso paralizzato alla vista del suo carnefice, sobbalzai sul posto, indietreggiando di poco.

L'asfissiante angoscia causata dal pensiero di dover condividere con lui uno spazio così ristretto per pochi secondi, la sola idea di respirare la sua stessa aria e di poter percepire sulla pelle il suo inconfondibile profumo, mi faceva tremare.

Ma nonostante l'impulso principale fosse quello di scappare, quando lessi commiserazione nelle iridi dell'uomo che mi aveva distrutto, quella voglia di combattere e conquistare la mia rivalsa prese nuovamente il sopravvento.

Deontologicamente scorretto [#Wattys 2017]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora