Capitolo 8

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Pov Alessandra

Erano due giorni che non vedevo Marco Ferraro.

Erano trascorsi due giorni, da quella fantomatica notte e da quel risveglio dolcissimo, sostituito subito da una fredda indifferenza.

Sembrerà strano ma...mi mancava.

Paradossale no? Avevo pregato affinché lui si dimenticasse di me e della mia uscita sgarbata; ogni volta che dovevo andare al ricevimento da lui, pregavo affinché avesse un contrattempo e che non si presentasse; avevo odiato ogni minuto passato in quell'ufficio in sua compagnia.

E adesso mi mancava.

Avevo trascorso due giorni in cui non avevo fatto altro che pensare ai suoi occhi, al suo bellissimo viso, al suo profumo. Avevo ripercorso con la mente tutti i momenti trascorsi insieme: quando mi aveva coperta con l'ombrello, quando mi aveva dato il suo cappotto per riscaldarmi, quando mi aveva sorretto per evitare che sbattessi a terra, quando avevamo dormito insieme.

Cavolo, avevamo dormito tutta la notte abbracciati.

Non era una cosa da poco, anzi, quando trascorrevo la notte con Claudio non succedeva sempre, eppure io e Marco, che non eravamo nulla, se non una studentessa ed un assistente, ci eravamo avvinghiati e beati del nostro calore.

Sorrisi teneramente a quel pensiero.

Avevo scelto con particolare cura i vestiti da indossare, avevo addirittura impiegato dieci minuti per truccarmi ed il tutto solo perché, finalmente, quel giorno lo avrei visto.

Ma alla mia mente piaceva pensare che stessi facendo questo non per lui, ma perché, avendo appena rotto con Claudio ed essendo l'università, il luogo adatto per incontri promettenti, era giusto farsi trovare pronta.

Ed io, da persona razionale quale ero, o meglio, quando facevo la razionale perché mi era più comodo, ascoltai la mia mente.

Per tutto il tratto che percorsi da casa mia all'università, mi sentivo una strano masso sullo stomaco; fui pervasa da uno stato di ansia mista ad eccitazione, che mi stava attorcigliando le budella.

Salii le scale della sede con sempre maggiore trepidazione, con il battito a mille e con il cuore in gola, fino a quando non arrivai alla porta del suo ufficio.

Ma lui non c'era.

I primi dieci minuti non me ne preoccupai; poteva aver avuto un contrattempo qualsiasi e stava facendo ritardo, oppure si era fermato a parlare con qualche collega o stava impiegando più tempo del solito nel prendere il caffè.

Mi sedetti su una sedia e lo aspettai.

Ma più i minuti scorrevano, più la paura che lui non si presentasse cresceva e per tutto il tempo torturai i miei capelli e le mie unghie, fino a quando non aspettai un'ora e constatai che lui non sarebbe arrivato.

E quel masso sullo stomaco che avevo prima a causa dell'ansia e dell'eccitazione nel rivederlo, fu sostituito da un altrettanto masso, che però, era frutto della delusione.

Mi alzai decisa ad andarmene, ma quindi vidi un impiegato del piano, mi avvicinai a lui per ottenere informazioni.

- Scusi, posso chiederle una cosa?- chiesi io timida.

Il suddetto impiegato alzò lo sguardo scocciato e dopo aver sbuffato sonoramente, annuì con il capo.

Ah già, dimenticavo sempre la cordialità degli impiegati della pubblica amministrazione.

- Il dottor Ferraro non verrà oggi?- chiesi io con una certa agitazione.

- No, ha la febbre.- rispose secco quello e senza neanche prendersi la briga di salutare, mi voltò le spalle e se ne andò, lasciandomi lì, immobile come uno stoccafisso, intenta a metabolizzare la notizia.

Deontologicamente scorretto [#Wattys 2017]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora