Capitolo 33

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Pov Alessandra

Respiravo l'aria del capoluogo toscano e per quanto io avessi sempre apprezzato l'odore forte di Firenze, non ero mai riuscita a percepirlo con familiarità ed arrivare addirittura a definirlo come odore di casa.

Avevo sempre pensato che Firenze fosse una delle città più d'Italia, una città in cui bastava addentrarsi e calpestare un briciolo di terra, per essere travolti dal suo carattere e dalla sua grandezza. Bastava fare un respiro e guardare anche distrattamente le bellezze di cui era costituita, che l'arte, la cultura e l'immortalità dei grandi ti si insinuavano dentro, finendo per mischiarsi al tuo sangue originariamente diverso, lasciando così tracce del loro passaggio nel tuo patrimonio personale.

Ma nonostante la sua magnificenza, io non ero mai riuscita a qualificarla come casa, opponendomi con forza alla stessa e guardandola sempre con un certo distacco.

Saranno state le circostanze infelici che mi avevano condotto lì, oppure la consapevolezza della temporaneità della mia permanenza, o forse il mio morboso attaccamento verso Napoli, ma io mi ero sempre sentita un'estranea in terra fiorentina.

Ma in fondo, come poteva una napoletana come me pensare di poter chiamare "casa" una città senza mare? Come potevo anche solo sostituire la signorilità della città dell'arte, alla genuinità del popolo napoletano?

Sì, perché a Firenze sembravano tutti signori, mentre a Napoli era la gente comune a colorare la città.

Ma Firenze era facile da amare, mentre Napoli difficile da vivere, ma con essa il rapporto di amore e odio era carnale.

Era trascorsa una settimana da quando avevo deciso di prendermi una pausa dalla città del sole e a poco a poco iniziavo ad accusarne la mancanza, stufa di sentirmi un'estranea in una città che non avevo mai percepito come mia.

Eppure mi aveva fatto bene.

Rivedere la mia famiglia, aveva avuto un effetto benefico sulla mia persona; per un breve periodo avevo smesso di essere l'Alessandra costretta a fare l'adulta, obbligata a contare solo sulle proprie forze e mi ero concessa il lusso di tornare bambina, coccolata dall'affetto dei cari.

E nonostante avessi cercato di celare il mio stato d'animo tormentato e distrutto, non poteva sfuggire agli occhi attenti di mia zia il mio tumulto interno. Bastò un solo sguardo, una sola occhiata ed il terzo grado fu inevitabile.

Scesi dal treno, trascinando stanca la valigia alle mie spalle, mentre con lo sguardo cercavo la figura di mia zia tra quella calca di persone che affollava la stazione.

Impiegai parecchi minuti ad individuare la presenza di zia Bianca, ma fu difficile contenere un sorriso, quando scorsi le sue braccia che si dimenavano tra la folla per farsi notare.

- Alessandra! - gridò mia zia con entusiasmo, saltellando come un canguro per paura di non essere vista.

Scossi la testa imbarazzata ed accelerai il passo per raggiungerla; il calore familiare che al solo incrociare il sorriso raggiante di zia Bianca, che con i suoi occhi verdi brillanti mi guardava con felicità, mi sciolse il cuore e non appena mi ci parai davanti, la racchiusi in un lungo abbraccio.

- Ciao zia...- mormorai con commozione.

- Ciao, tesoro mio! - rispose, stringendomi forte - Fatti guardare! - si allontanò con il busto e posò lo sguardo sul mio corpo, squadrando con accuratezza ogni dettaglio.

I suoi occhi attenti non si lasciarono sfuggire nulla e la smorfia preoccupata della donna dimostrò che avesse colto il mio disagio e la mia attuale situazione emotiva.

Deontologicamente scorretto [#Wattys 2017]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora