Capitolo 42

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Pov Alessandra

Quando afferrai il biglietto che mi fu posto dal personale dell'aeroporto di Capodichino, dopo aver imbarcato i bagagli, sentii una morsa stringermi lo stomaco.

Mi presi un attimo per chiudere gli occhi e fare un respiro profondo, perché tutto ad un tratto non fui più sicura di stare facendo la cosa giusta. Le mani tremavano, percependo incandescente quel pezzo di carta che stringevano, ed il cuore, che da sempre aveva affondato le radici nella terra di Napoli, scalpitava spaesato all'idea di dover pompare sangue ed ossigeno in una città diversa dalla sua natale.

Esso, reduce del trauma vissuto anni prima, era terrorizzato dalla capitale francese, ma soprattutto era conscio di dover partire lasciando una parte di sé stesso, quella porzione che aveva affidato alla cura dell'uomo che con certezza avrei potuto definire come l'uomo della mia vita.

- Signorina? –

Alzai il capo e guardai stralunata gli occhi marroni dell'impiegato che mi era seduto davanti.

- Mh? – mugugnai confusa.

- Sta bloccando la fila. – mi fece notare, con la fronte corrucciata.

Trasalii e quando mi voltai e vidi le smorfie adirate dei viaggiatori che erano alle mie spalle, mi feci immediatamente da parte con gesti frettolosi, mentre un lieve rossore invadeva le mie guance.

Sbuffai sonoramente e con il passo debole di chi combatteva con l'impulso di darsela a gambe, tornai dalle persone che erano lì a salutarmi. C'erano tutti: i miei zii, i miei amici, Luca e Flaminia, Giovanni e Roberto e c'era persino Matteo. Tutti tranne lui.

Abbozzai un sorriso poco convinto e mi fiondai tra le braccia delle persone che amavo, cercando di frenare l'impulso di piangere. Mi lasciai coccolare dall'affetto dei miei cari, mentre in quel momento ripercorrevo con la mente tutti i motivi che mi avevano spinto a perseguire quella scelta, proprio perché avevo bisogno di ricordarmelo. Eppure non ci riuscivo; con gli occhi gonfi di lacrime affondavo nella pelle delle persone che mi volevano bene, cercando così di sopperire alla mancanza dell'unico uomo che avrei voluto vedere in quel momento: il detentore del mio cuore.

Tirai su con il naso e con voce strozzata salutai tutti i miei amici, mentre Matteo, con un sorriso intenerito, si avvicinava alla sottoscritta per stringermi forte.

- Ciao piccoletta. – mormorò il ricciolino, posandomi un casto bacio sulla testa.

- Ciao. – biascicai, cercando di reprimere un singhiozzo.

Io e il ragazzo eravamo rimasti in ottimi rapporti; dopo avergli comunicato della mia imminente partenza, abbiamo ragionevolmente deciso di porre fine alla relazione che ci legava, proprio perché sprovvista delle solide basi che sarebbero risultate necessarie per un rapporto a distanza, ma soprattutto sprovvisto di basi che io non avevo voluto porre.

- Ti verrò a trovare. – promise, asciugando con i pollici le lacrime solitarie che solcavano il mio viso.

Annuii con il capo, facendo una smorfia che avrebbe dovuto somigliare ad un sorriso e quando mi voltai verso Luca e Flaminia, i miei occhi speranzosi s'incastrarono in quelli marroni del commercialista, interrogandoli silenziosamente.

Luca recepì le mie domande e rabbuiandosi per la mortificazione, scosse lievemente la testa. E quella muta risposta fu come una coltellata in pieno petto, così brutale da farmi piegare in avanti per il dolore e l'assenza di aria.

Deontologicamente scorretto [#Wattys 2017]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora