Capitolo 31

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Pov Flaminia

-Il cliente da lei chiamato, non è al momento raggiungibile! –

Alzai gli occhi al cielo e sbuffai sonoramente.

-Dannazione Ale, rispondi! – imprecai io nervosa.

Erano quasi le otto di sera e non c’era ancora traccia della mia coinquilina.

Cercai di pensare positivo e di non lasciare che la preoccupazione prendesse il sopravvento e spazzasse via ogni accenno di calma che tentavo invano di preservare, ma l’ansia dell’incontro tra Alessandra e Marco era opprimente.

Ero conscia di aver fatto la cosa giusta e che spronarla a confessare i suoi sentimenti fosse l’azione più adeguata per porre fine quella tortura a cui era sottoposta da un mese, ma il timore che qualcosa potesse essere andato storto non mi abbandonava, anzi, esso si acuiva sempre di più ad ogni secondo trascorso.

E ciò che più mi terrorizzava era la consapevolezza della portata delle conseguenze che si sarebbero verificate, qualora ciò che il mio cuore si rifiutava di pensare si fosse concretizzato.

Alessandra non l’avrebbe retto.

Era forte, dannatamente forte, ma avevo sempre creduto che tale forza provenisse dal bisogno disperato di trovare la felicità ed il benessere che essa comportava. Avevo sempre creduto che più che una combattente nata, Alessandra fosse una combattente per necessità, una persona che fin dalla tenera età si era ritrovata a conoscere il dolore e la sofferenza.

Ma la ricerca ossessiva della felicità come motore della sua anima e fonte della sua forza, non era essa stessa prova di forza?

Certamente sì.

La mia paura era la sua eventuale resa.

Temevo che potesse arrendersi alla vita e che smettesse di combattere, incapace di riunire, ancora una volta, i cocci del suo cuore martoriato.

Temevo che non sarebbe più riuscita a trovare una ragione valida per farlo.

Temevo di vederla uscire soccombente da questa ulteriore prova, temevo che dichiarasse la sua resa e lasciasse che la crudeltà di cui talvolta si armava la vita, la divorasse come un animale affamato che si saziava, con ferocia, del suo corpo inerme.

Una morsa soffocante attanagliò il mio stomaco e mi mozzò il respiro.

E proprio quando il panico riprese ad assalirmi e fui in procinto di tentare nuovamente la telefonata, che il campanello di casa suonò.

Balzai sul posto impreparata e dopo aver impiegato qualche attimo per collegare cervello ed arti, mi slanciai in avanti ed in poche falcate raggiunsi la porta blindata. Aprii con fretta, convinta di ritrovarmi davanti la mia coinquilina, ma l’altezza ed il fisico della persona che avevo davanti, erano ben lontani dalle misure minute del corpo della mia amica.

Luca, in jeans e maglioncino, con il fiatone e le guance arrossate a causa di una probabile corsa, era di fronte a me e mi guardava intensamente.

Sgranai gli occhi sorpresa e la sfumatura insolitamente seria delle sue iridi, ben lontana dalla solita aria beffarda di cui si armava, mi portò ad aggrottare le sopracciglia, confusa.

-Luca! – esclamai io stupita – Che-…-

-Mi sono stufato! – mi seccò lui con freddezza.

Un battito mi venne a mancare e le dita ancora avvolte attorno alla maniglia l’abbandonarono di colpo, scivolando a peso morto con le braccia lungo i fianchi.

I miei occhi furono attraversati da un lampo di terrore e mentre il cuore minacciava di uscire dalla gabbia toracica, il mio corpo s’irrigidiva di colpo, ghiacciato da un soffocante senso di ansia.

Deontologicamente scorretto [#Wattys 2017]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora