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Sulle spalle, un amore che crolla.

Pov Marco

Strinsi impercettibilmente il maglione di filo che copriva a stento le mie braccia dalla fresca brezza serale che aleggiava in costiera amalfitana. La pelle si fece ruvida a causa dei brividi di pelle d'oca e le gambe scoperte dai pantaloncini corti della tuta furono scosse da un tremolio convulso, scontrandosi con la tela del lettino sul quale ero appollaiato da ore. O forse si trattava di giorni, per me non aveva importanza.

Il tempo era solo una convenzione e la mente acquistò la convinzione che non vi fosse tempo sufficiente per poter risanare quel vuoto che divampava nella mia anima; esso, come un ladro, l'annientava a poco a poco, rubandosi ad ogni respiro pezzo per pezzo. E a tale convinzione, si aggiunse l'amara consapevolezza di aver sprecato la seconda chance che mi aveva offerto la vita di essere felice.

Eppure essa non prese solo atto della mia insana condotta di sperperatore: un dio maligno aveva deciso di punirmi per aver disprezzato il suo dono, sconfinandomi in un oblio di disperazione, mentre al contempo mi torturava con le immagini delle iridi di Alessandra, la ragazzina tutta pepe che mi aveva rubato il cuore, mentre pronunciava, con gli occhi umidi di lacrime, le parole che mi avrebbero scaraventato sul fondo del baratro.

Una folata di vento più leggera mi costrinse a strizzare gli occhi per proteggermi, mentre lo sguardo, umido e vuoto, si perdeva nella vista quieta del panorama della costa. Esso si perdeva nel moto ipnotizzante delle onde del mare e l'odore acre e forte del sale marino pizzicava le narici.

Non potevo però credere che fosse così forte da poterlo percepire sulla bocca. Passai la lingua sulle labbra e quando deglutii saliva, compresi che quello non era l'odore del mare. Era il sapore amaro di una mia lacrima.

Spalancai le palpebre, spiazzato dalla reazione del mio corpo e quasi me ne vergognai. Poggiai il palmo sulla guancia e strofinai con forza per cancellarne le tracce dal mio viso, mentre una rabbia della stessa natura di quella che mi aveva logorato la settimana precedente, segregata nei meandri della mia anima, mi assaliva ancora, producendo effetti devastanti.

Quel giorno, le nocche delle mie mani sporcarono di sangue le mura del mio appartamento, vittime prescelte della mia ira funesta, ma non mi liberai della mia furia. In quel modo ottenni solo silenzio e le mani spaccate.

Strinsi i pugni, tremante, e mentre continuavo a colpevolizzarmi per aver buttato tutto all'aria, dei passi alle mie spalle attirarono la mia attenzione. Non me ne curai più di tanto; sapevo a chi appartenessero e dopo aver rilasciato uno sbuffo scocciato, continuai a rimanere impassibile e a tenere lo sguardo vacuo puntato verso il mare.

- Non ce la faccio più a vederlo così! Sembra un automa! – bisbigliò Ottavia esasperata.

Sentii vari mormorii dietro di me e quando compresi che mia sorella aveva provveduto a chiamare i rinforzi, abbozzai un lieve sorriso stanco.

- Da quanto fa così? – chiese Roberto cauto.

- Una settimana! – squittì la giovane donna con tono grave - Se non si scrolla da quella sdraio, giuro che lo butto giù a calci! – ringhiò ella sottovoce, stizzita.

- Sii paziente. – l'ammonì bonariamente Luca – Dobbiamo elaborare un piano. – propose lui con fare cospiratorio.

- E cosa?! Le ho provate tutte! – sbottò Ottavia con frustrazione – Io propongo le maniere forti! –

Sollevai le sopracciglia, incuriosito, e mentre i ragazzi confabulavano alle mie spalle, elaborando i più svariati piani di azione, io mi strofinavo il viso stanco e sospiravo sommessamente.

Deontologicamente scorretto [#Wattys 2017]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora