Chapter 16

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Non scrissi più nulla a Paulo, perché mi faceva stare ancora più male, mi faceva sentire ancora di più la sua mancanza, e, ogni volta che leggevo le sue lettere, piangevo.
Era passato un mese e non lo avevo più sentito, se non attraverso mio padre qualche volta.
Mi mancava tantissimo e non di quella mancanza tipo "ci vediamo domani" no, di quella mancanza assurda. Quella mancanza che ti porta un vuoto in riempibile dentro lo stomaco, e non basta un'uscita con le amiche, la musica a tutto volume, il tuo libro preferito, un film, un abbraccio...non basta un cavolo di niente per colmare quel vuoto. Mi manca e basta, e nessun può farci nulla, nessuno tranne lui.
Ora lavoravo in quel maledetto bar, in cui continuavano a trattarmi malissimo e mi avevano addirittura diminuito la paga, il perché non si sa. Altro che autografo di Paulo! Non si meritano nemmeno un suo sputo!
Il figlio della proprietaria, un certo Maktub, mi chiedeva ripetutamente di uscire con lui e sua madre mi aveva obbligata a uscirci.
Mi avevano promesso di darmi 100€ in più, ma non era niente vero.
Una sera, mentre stavo tornando a casa, mi sentii tappare la bocca: provai ad urlare, a mordere quella mano che mi serrava le labbra e non mi dava possibilità di parola, ma non ci riuscii.

«Ora tu vieni con me.» Mi disse una voce oscura nel mio orecchio sinistro.

Mi trascinò per qualche metro, poi riuscii a liberarmi, non so ancora come.
Mi girai e vidi una figura incappucciata...si vedevano solo gli occhi, ma lo riconobbi immediatamente:Maktub.

«Che stai facendo?» Chiesi incazzata.

«Ti porto a casa mia e ti violento.» Rispose con voce da maniaco, ma non come Paul Pogba, no, da VERO maniaco.

«Tu non mi porti da nessuna parte!» Urlai. «AIUTOOOO!»

Booom! Qualcosa mi colpì la testa, poi il buio più assoluto.

[...]

Mi risvegliai in una camera legata ad un letto. Maktub continuava a parlare con qualcuno, non so chi: ero bendata nella bocca.
Provai a sbraitare, ma nulla.
Lui si avvicinò a me e mi sussurrò qualcosa nell'orecchio, ma io, da tanto che ero incazzata, spaventata e delusa, non capii nulla.
Mi slegò e mi obbligò a fargli I preliminari e tutte altre cose schifose.
Io, purtroppo, mi arresi. Non avevo più la forza di combattere, di scappare, di contrabbattere...tanto sapevo che ormai aveva vinto lui.
Quando tutto finì tornai a casa almeno con 100€ in più;stavolta aveva mantenuto la promessa.
Mi sentivo in colpa per tutto questo, sapevo che in realtà era colpa mia, lo sapevo, ma che potevo farci? Lui era un uomo enorme, alto, muscoloso, mentre io una piccola ragazzina di 19 anni come avrei potuto farcela da sola?
Mi sentivo ferita e umiliata...non avevo mai provato una cosa simile sulla mia pelle, ma ora ero cambiata, avevo capito; quando mi tagliavo ero solo una stupida bambina che cercava soddisfazione nel dolore, ma è sbagliato, soprattutto nei confronti delle persone che il dolore lo provano veramente e non lo vorrebbero.
Quella cosa mia aveva cambiata, ma non aveva cambiato i sentimenti che provavo per Paulo.

Aprii la porta di casa; mia madre non c'era. Frugai in vari cassetti della casa per cercare dei soldi, quando, finalmente, li trovai.
Andai a prendere i miei, quelli che avevo guadagnato nel mese di lavoro al bar, poi quelli di stanotte e infine quei pochi che avevo trovato nel cassetto.
Riuscii a mettere insieme 350€: mi bastavano.
Feci squillare il mio cellulare, con il telefono di casa: fortunatamente lo trovai.
Lo presi e iniziai a piangere dalla gioia.
Chiamai subito Paulo.

Paulo's POV
Ero tranquillamente seduto sul divano a vedere la televisione, tranquillamente forse no.
Pensavo a Leah che mi mancava terribilmente, mi chiedevo dove fosse, cosa stesse facendo e se anche lei mi stesse pensando.
Forse si sarà dimenticata di me? Non mi scrive più quelle meravigliose lettere che, anche se non riuscivo a rispondere a tutte, leggevo e mi faceva sentire più vicino a lei...leggevo quelle lettere con il tono della sua voce impressa nella mia mente.
Mi squillò il cellulare.
Era lontano da dove ero seduto e avrei voluto ignorarlo, ma poi mi chiesi "E se fosse Leah?"
Anche se sapevo che era impossibile, mi alzai e risposi senza guardare chi fosse per non rimanere deluso nel caso non fosse stata lei.

«Pronto?» Dissi.

«Paulo! Paulo sono io!»

«Leah!! Oddio Leah stai bene?»

«Si, sto bene! Sto tornando, ok?»

«Ma come farai con tua madre?»

«Non preoccuparti! Ti dico che sto tornando. Ci vediamo domani.»

«Okay, fai attenzione. Ti amo.»

«Anche io, ciao amore.»

«Ciao amore mio.»

Riattaccai.

[...]

Leah's POV
Camminai a piedi fino all'aeroporto, saranno stati tipo 30km, ma non mi interessava.
Non lasciai nessun biglietto per mia madre, né niente per il bar: semplicemente scappai da tutti per tornare da lui.
Camminavo a bordo strada e mille macchine mi passavano affianco facendomi un freddo incredibile. Dopo quasi 30 minuti che camminavo sentivo il bisogno di fermarmi; così mi venne l'idea di fare l'autostop.
Una macchina si fermò: la portiera si aprì.

«Ciao!» Una ragazza sulla trentina d'anni era al volante.

Ripartì subito.

«Ciao, scusa, ma ho bisogno di un passaggio. Ho i soldi, posso pagarti.»

«Non fa niente, tranquilla.» Mi sorrise, sembrava una brava persona.

«Grazie mille.» Risposi.

«Dove devi andare?» Mi chiese.

«All'aereoporto.»

«Stavi andando fino là a piedi? Dove abiti?»

«Laguna Larga.»

«Sei pazza! Spero almeno che lo facevi per qualcosa di davvero importante.»

«Si è così.»

«Chi è costui?»

Mi girai, la guardai con occhi interrogativi.

«Intendo dire chi è questo ragazzo per cui stavi facendo 30 km a piedi in autostrada.» Continuò.

«Si chiama Paulo.»

«Capisco. Bene, allora diciamo che tra 10 minuti siamo arrivati e potrai tornare ad abbracciarlo. Perché non hai chiesto ai tuoi genitori? Di accompagnarti magari o di aiutarti...»

«Sono proprio loro il problema. Non vogliono che lo veda. Mia madre tutto d'un tratto è impazzita e non voleva più farmelo vedere. Ho chiesto aiuto a mio padre, perché parlasse con lei, ma non è uscito fuori nulla. Non ho chiamato nessuno di loro per il semplice fatto che non me lo avrebbero permesso, così sono scappata...ed eccomi qua.»

«Brutta storia, mi dispiace.»

Si parcheggiò davanti a quello che sembrava l'aeroporto.

«Eccoci qui. Buona fortuna.» Mi disse.

«Grazie mille, davvero.»

«Figurati.»

Chiusi la portiera e lei se ne andò.
Non la ringrazierò mai abbastanza.
Entrai in aeroporto e rimasi ad aspettare lì per un sacco di tempo, che mi sembrarono anni.

21 grammi di felicità (#Wattys2017) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora