41. Blindness

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Prendevo la sua mano mentre nell'altra stringeva il suo pupazzo che strusciava su ogni scalino.

La sua tutina blu aveva alcuni spiegazzi che facevano confondere i quadratini sul suo camice; Niall era fermo dietro di lei, con le mani protese in avanti a sperare, come la sottoscritta, che la bambina non cadesse. Inciampò in uno scalino e si lasciò sfuggire un'imprecazione, che non le rimproverai ricordandomi che probabilmente le aveva imparate da me, viste le mie continue parole poco educate nell'ultimo periodo. "Mancano due scalini, piccola."

Sorrisi guardando Niall, il quale ricambiò, tenendo comunque lo sguardo su Daisy. I suoi occhi chiari erano persi nel vuoto, non sapendo dove guardare: i dottori avevano detto che la sua cecità, oltre ad essere temporanea, era debole rispetto agli altri casi. Riassumendo, Daisy vedeva tutto come fosse appena nata, come una visione confusa ed un misto di colori indistinti messi in modo disordinato l'uno accanto all'atro. Come se fossero forme e colori dei suoi disegni poco precisi.

"Papà, non ce la faccio. Vedo solo grigio." Mormorò, guardando in basso verso gli scalini scuri. Ingoiai il groppo in gola, volendo piangere alle sue parole deboli.

"Piccola, mamma ti porta il pranzo dal Mac.- sussurrai e accarezzai i suoi capelli sporchi, vedendola sorridere. - Promesso?"

"Promesso." Il suo piede si alzò, mentre le sue labbra si curvavano in un piccolo sorriso. Non riuscivo a capacitarmi di quanto quella bimba fosse forte. E, Dio, ero così fiera del fato che quella bimba fosse mia figlia.

Superò gli ultimi due scalini con poche difficoltà, allungando poi le mani davanti a sè.

La sua vista era l'esatta rappresentazione dei miei sentimenti: una macchia scura e confusa di colori e forme. Da quando le mie borse divennero più scure e la mia stretta sulla sua mano più forte di giorno in giorno, venni costretta a fare alcune sedute dallo psicologo dell'istituto.

Distolsi lo sguardo quando Daisy tastò la mia gamba, stringendo poi la mano. Poggiai la mano sulla sua spalla e la strinsi a me, lasciando un bacio sulla sua fronte. Mi voltai improvvisamente, staccando le labbra dalla mia piccola.

Sorrisi all'uomo con il camice bianco che ci guardava con pena e, al tempo stesso, dolcezza. "Signora, è l'ora della sua visita." Annuii debolmente, abbassando lo sguardo e seguendolo mentre giocavo nervosamente con le dita, allontanando una mano dall'altra quando lo psicologo, il Dr. Miles, mi spintonò nella stanza. "Signorina Grace, le ho detto di staccarsi dalla sua famiglia." Borbottò, incrociando le braccia al petto muscoloso.

Annuii ancora, incapace di incontrare il suo sguardo duro e di vedere il suo essere professionale. Detestavo non potermi ribellare a lui: ero costretta dall'intero istituto a passare almeno un'ora con lui, in privato, nel suo stupido ufficio grigio e bianco che mi metteva costantemente in soggezione.

"Non è facile, Dr. Miles.- alzai lo sguardo, riuscendo finalmente a parlare.- Si tratta della mia famiglia-"

"Grace, ho fatto tutti i miei controlli.- aggrottai le sopracciglia, rimanendo a guardare i suoi piccoli occhi marroni mentre prendeva il mio viso tra le mani.- Sta entrando pian piano in una grande depressione e deve uscirne prima che sia troppo tardi."

"Daisy è mia figlia, non posso-"

"Daisy è cieca, temporaneamente.- disse duro, guardando i miei occhi ed llontanandosi, indicandomi il divanetto accanto a sè.- E lei non risolverà la sua situazione se le starà attaccata, guardandola e ricordandosi della sua situazione momentanea."

"Miles, lei non ha una figlia o un figlio, non può capire e-"

"Grace, so cosa sta provando emotivamente.- lo maledissi mentalmente quando m'interruppe un'ennesima volta ed alzai gli occhi al cielo, causando un suo sospiro.- E vedere sua figlia in certe condizioni, non aiuta."

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