Stanza 831

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Per trovare quella stanza non ci mise molto la prima volta, sicuramente non tanto come credeva. In compenso, quella volta, aveva praticamente disteso uno sconosciuto mentre se ne girava con il naso per aria.

'Per fortuna eravamo già in ospedale, in ogni caso eravamo a posto'

Pensò continuando la sua camminata, stavolta attento alla presenza delle persone nel corridoio.
In cuor suo sperava di incontrare di nuovo quel ragazzino, sentiva di doversi scusare di nuovo. O comunque assicurarsi che stesse bene, visto che non si era smosso di un millimetro.

La porta della camera era aperta, le tende del letto più vicino erano tirate e si poteva sentire la voce di una ragazza.
La stanza era come il corridoio, bianca, con qualche macchia azzurrina qua e là, nelle tende, nei macchinari, sul muro e nelle cornici delle finestre.

"Oh Giò" esordì Alessio entrando nella camera, dirigendosi verso il letto del suo amico.

"Eh wualliò" rispose l'altro, sempre allegro, nonostante tutto. Si perché il suo amico era finito sul letto dell'ospedale dopo un semplice incidente.
Lui lo considerava semplice, ma probabilmente non lo era poi tanto.
Fatto sta che Giovanni non camminava più e i dottori non sapevano spiegargli il perché.
Probabilmente era solo questione di tempo, per alcuni, per altri un trauma psicologico.

Era risolvibile, dicevano, ma non dopo pochi giorni.

Gli aveva portato altro cibo, consegnato da altri amici, nonne, madri, e chiunque lo avesse scambiato per un fattorino. Giò era sempre contento di ricevere qualcosa da mangiare.
Soprattutto quel mangiare.

Era solo la seconda volta che andava a trovarlo, la prima proprio due giorni fa. Gli mancava la compagnia del suo amico, la sua allegria contagiosa e la ruzza costante.

Passò un'oretta in quella sala, chiacchieravano, si raccontavano cosa accadeva nelle loro vite.
Come una classica uscita.

Solo che al posto del divano, c'era il letto di un ospedale e al posto dell'odore di pizza e birra, quello dei medicinali.

Stessa cosa insomma.

Poi il suono che annunciava la fine delle visite li distrasse, Ale aveva il parcheggio della macchina che scadeva e doveva farsi un bel pezzo a piedi. Poi un'infermiera era scorbutica a morte, non aveva nessuna voglia di sentire i suoi lamenti.

Per questo salutò Giovanni lasciandolo alla sua degustazione personale e passando davanti al letto del compagno di stanza, salutò anche l'altro "malato".
Ricevette due bei sorrisi, che confermarono il fatto che Giò, in ospedale, tutto sommato si divertiva.
Aveva una buona compagnia.

E uscendo da quella porta, fece qualcosa che ormai si prospettava diventare un must delle sue visite.

Si ritrovò di nuovo quel profumo di fumo e medicinali, proprio sotto il naso.

"Ma che cazzo fai!" Sbottò il biondo, dimenandosi dalla presa istintiva dell'altro

' Ma, hey piano con le parole, qui si passa dalle stelle alle stalle eh' pensò Alex, che tutto si aspettava tranne una reazione simile.

"Oh piano, scusami, non l'ho mica fatto apposta!" Gli rispose risentito.

In quel momento il ragazzo alzò finalmente lo sguardo, su di lui.
Aveva dei bellissimi occhi chiari, la luce dell'ospedale sembrava accentuare ancor di più le fosse scure sotto gli occhi. Così tanto in contrasto con le iridi cristalline.

Ma erano spenti, opachi. Erano occhi scuri, rossi per il fumo o per l'insonnia, poco ne sapeva.
Sapeva soltanto che per un attimo gli era sembrato di vedere il mare d'inverno, in quell'azzurro magnetico.

Il contatto visivo durò pochissimo, attimi che rimasero impressi nella mente di Ale.

Il biondino lo superò, senza aggiungere altro, comportandosi come se non gli interessasse poi così tanto della persona che aveva davanti.

E Alessio era fermo, osservava il ragazzo camminare verso il letto del suo amico e in quel momento realizzò.

Che diamine ci faceva quel biondo in quella stanza e soprattutto, da quando Giovanni conosceva quel ragazzo?
Perché doveva comportarsi da stronzo spocchioso?
Chi diamine era?

Rimase fermo, sulla porta, ad osservare cosa accadeva. Giò sorrise al biondo, come se già lo conoscesse e gli sembrò di vedere anche una sorta di sorriso, sul volto dell'altro.

La voce del biondo era roca, bassa, sia di tono che di volume. Rimbombava e rendeva impossibile capire di cosa stesse parlando, ma vide i suoi movimenti. Dalla tasca dell'enorme felpa scura, estrasse un libriccino nero.

Il quaderno in cui Giò scriveva la sua musica.

Quaderno che non faceva leggere praticamente a nessuno, figurati a uno sconosciuto a caso.

Che diamine stava accadendo.
Chi era quello?

"Fuori di qui, le visite sono terminate, cos'è hai il cotone nelle orecchie?" Ed eccola, quella cosa scorbutica "Forza" continuò l'infermiera, spintonando Alessio lungo il corridoio.

"Conosco da solo l'uscita, grazie!" ribatté il giovane divincolandosi, con aria risentita.

Quella donna ce l'aveva a cane.
Ogni volta.

Rientrò nell'ascensore e osservando e porte chiudersi ripensò al biondino. Era un caso che lo avesse incontrato due volte nel giro di due giorni?

Non gli sembrava di averlo mai visto, e non si ricordava di aver sentito Giò parlare di qualcuno che non conoscesse già.
Quindi chi era e come faceva ad avere una confidenza tale da poter leggere il quadernetto del suo amico?

Questi e altri pensieri frullavano nella sua testa, continuava a riflettere in compagnia di quella musichetta fastidiosa.

Odiava davvero gli ascensori.
E gli ospedali.
Per non parlare dei biondi scorbutici che ci bazzicavano...

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Yee buonsalve :3
Niente volevo solo ringraziarvi per aver votato la storia, l'ho continuata proprio per quello.
A presto <3

Blindness is not HopelessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora