Vattene

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Gli faceva un gran male il collo. E il fondoschiena. Per non parlare della gola secca. E sentiva la guancia formicolare, come se stesse per perderci la sensibilità.

Si sollevò, massaggiandosi il volto con fare pigro.

Poi la luce chiara che lo aveva investito appena sveglio, si attenuò e poté riconoscere dove si trovava.

Era in una stanza dell'ospedale, diversa da quelle che aveva visto. Era singola, più piccola e con piccole tracce di "vissuto". Qualche libro sparso in giro, fogli e maglioni scuri macchiavano la chiarezza della

Macchiavano la chiarezza della stanza. La rendevano di qualcuno.

E quel qualcuno era Gennaro, o Genn, visto che odiava essere chiamato con il suo nome intero. E la sua mano era ancora in quella del ragazzo, ancora con gli occhi chiusi.

Alessio si perse nell'osservare il volto disteso dal sonno, i lineamenti spigolosi adesso ammorbiditi dal sonno, le labbra piene e rosate, socchiuse, I capelli erano disordinati, qualche ciuffo gli ricadeva sulle guance, altri invece si arricciavano appena, lasciando intravedere le ciglia chiare del ragazzo.

In quel momento sembrava una delle persone più tranquille che avesse mai conosciuto, e probabilmente lo era.

Sembrava che quello di cui avevano parlato poco fa non esistesse, che fosse tutto un brutto sogno.

Fu quel pensiero che svegliò completamente il moro, quanto valeva quel "poco fa"?

Sfilò la propria mano da quella del biondo, sentendola improvvisamente fredda e vuota, per prendere il telefono dalla tasca. Aveva dormito per trenta minuti, secondo in più secondo in meno.

E più o meno trenta minuti fa aveva baciato un ragazzo.

Quel ragazzo.

O si era lasciato baciare?

Ma infondo importava realmente? Insomma, i pensieri del moro erano concentrati su cosa stese passando quel ragazzo tra le braccia di Morfeo. Certo, quel gesto tornava a mente, picchiava alla porta dei suoi pensieri con insistenza, ma non abbastanza forte da spingerlo a lasciar perdere il resto. Si perchè non poteva sorvolare semplicemente una cosa così complicata.

Se voleva aiutarlo avrebbe dovuto sapere di più.

Intanto lasciava scorrere lo sguardo sulle fasciature e sul tubicino della flebo, il contenitore di vetro che sembrava non svuotarsi mai. Voleva scoprire se ne aveva altre di ferite simili, sul corpo.

Voleva sapere quanto fosse grave, come avrebbe dovuto reagire.

Se c'era qualcosa che poteva o doveva fare per convincerlo a continuare a combattere.

Questa volta probabilmente era andato tutto bene, aveva combattuto, ma cosa sarebbe successo se avesse deciso di mollare del tutto? Non voleva neanche pensarci.

"Perchè?"

Disse bisbigliando, senza aspettarsi realmente una risposta. Anzi, era consapevole che non ne avrebbe ricevute.

"Perchè lo hai fatto? Che succede, a cosa pensi che ti fa stare così... così...."

Poi sentì il bisogno di andarsene da quella stanzina, tutto era diventato claustrofobico, troppe cose affollavano la mente, il biondo, il bacio, il sangue, la flebo, i sorrisi falsi e quelli veri, il problema alle dita, le lacrime, la pelle pallida e lo sguardo vitreo.

Doveva respirare.

Si chiuse la porta alle spalle per poi guardarsi intorno, alla ricerca di una sala d'attesa o qualcosa simile su cui sedersi. Poi notò che in fondo al corridoio c'era una fila di tre sedie blu e un tavolino basso, con un fiorellino di plastica come una tristissima decorazione.

Blindness is not HopelessDove le storie prendono vita. Scoprilo ora