Steve si lasciò cadere sul proprio letto e fissò il soffitto. Quella stanza gli stava stretta, come un vecchio maglione che dopo un lavaggio di troppo si restringe. Erano giorni che dormiva su una panchina del parco, come se fosse un comunissimo senzatetto. Nessuno si preoccupava di un ragazzo che dormiva su una panchina, sì, in fondo, chi non l'avrebbe fatto? Tutti quegli sguardi compassionevoli gli davano il voltastomaco. Chi si credevano di essere? Cosa ne sapevano di lui, del posto da cui veniva, della sua storia?
Non aveva vissuto sempre per strada, però. Si era risvegliato in un campo, sotto uno strato di terra e erbacce. Quando Steve aveva aperto gli occhi, per la prima volta, si era fatto prendere dal panico e aveva annaspato in una disperata ricerca d'aria.
Quando si era alzato, quando era riuscito a respirare e a muoversi liberamente, dopo aver scavato con le mai per riuscire a liberarsi, la sua vita era cominciata di nuovo. Ovviamente non ricordava niente, ma avere dei documenti a portata di mano aveva aiutato parecchio.
Steve O' Bryan, diciotto anni da compiere, un versione pulita e felice che gli sorrideva da una fotografia. Sapere così poco di se fu come uno schiaffo. Nei mesi che seguirono Steve girovagò in lungo e in largo, senza riuscire a spiegarsi il suo strano risveglio. Come era finito in quel campo, sottoterra? Chi era la sua famiglia? Sapevano che era vivo? Tutte domande che non avrebbero mai avuto una risposta.
Una mattina si era svegliato di soprassalto, sentendo una sensazione opprimente al petto, come se non riuscisse a respirare e invece si era accorto di riuscire a fare tutto più velocemente, si era accorto di riuscire a fermare il tempo, quel tanto che bastava per scappare dai guai.
E probabilmente fu in quel momento che vide la strada sbagliata stagliarsi di fronte a lui, in discesa. La osservò, dapprima da lontano, poi incuriosito le si avvicinò, infine la percorse, dicendosi che era l'unica possibilità che aveva. Si unì a un gruppo di orfani e sbandati, che vivevano in una vecchia fabbrica abbandonata. Il capo della banda era un ragazzo, sui venticinque anni, cresciuto troppo in fretta. A Steve non piaceva, ma da quando era con quei ragazzi, che pensavano di avere il mondo intero nelle loro mani, si sentiva quasi più al sicuro. Aveva sempre cercato di tenersi lontano dai furti che vedevano coinvolti i giovani di strada, ma era una di quelle cose che eri costretto a fare, prima o poi, se volevi rimanere.
Avevano tutti constatato che la velocità incredibile di Steve era perfetta per i loro piccoli furti. Alfred, il capo della banda, aveva sorriso a Steve con una malizia inquietante e lo aveva immediatamente preso per la sua ristretta cerchia di amicizie all'interno del gruppo.
Credeva di essere felice, in mezzo a persone che non avevano paura di lui, nonostante le voci che circolavano sul suo conto, finché, dopo qualche anno non era arrivato Robin.
Sembrava capitato lì per sbaglio, come se avesse trovato una fabbrica abbandonata piena di ragazzini violenti per pura fortuna.
<< Me l'aspettavo diverso >> aveva mormorato, appena aveva messo piede nell'edificio.
Steve si era avvicinato con quella baldanza e quella strafottenza che aveva sviluppato solo passando il tempo per strada con quei ragazzi e lo aveva guardato con celato interesse. << Ti aspettavi diverso cosa? >> aveva chiesto Steve, le mani in tasca e una spalla appoggiata a una colonna. Si era mosso così velocemente che era sicuro di spaventare l'altro ragazzo, apparendo dove prima non c'era niente.
Robin aveva sussultato e lo aveva guardato a occhi sgranati. Non doveva essere sembrato troppo simpatico, al tempo, appoggiato a una colonna con un sorriso perfido sulle labbra. Il ragazzo aveva cominciato a balbettare. << Mi... mi immaginavo diverso questo posto >>
Steve si era staccato dalla colonna con lentezza e gli si era avvicinato. << Perché, come te lo eri immaginato? >>
Robin gli aveva rivolto un sorriso imbarazzato. << be' ... Un po' più ... >>
<< Sporco? Dismesso? >>
<< Si, cioè ... No >>
Steve lo aveva guardato negli occhi, blu elettrico, di un colore che solo un Derwin poteva avere e aveva sorriso, meno famelico. << Sei qui per restare? >>
Robin lo aveva guardato con diffidenza e aveva annuito << Credo di sì >>
<< Dovrai essere un po' più convinto di così per poter restare >> Steve aveva sorriso come non faceva da tanto e aveva allungato una mano verso l'altro ragazzo << Sono Steve >>
Robin gliela aveva presa titubante. << Robin. Sei tu il capo qui? >>
Steve aveva allargato le braccia con gli occhi che brillavano, divertiti. << Certo, che domande... >>
Poi era arrivato Alfred, facendo subito capire chi era veramente il capo.
Steve sorrise al soffitto, ricordando.
Nei mesi successivi all'arrivo di Robin, Steve era stato il suo angelo custode, inizialmente perché Alfred lo aveva incaricato di tenerlo d'occhio, ma dopo poco non era più riuscito a non tirarlo fuori da tutti i guai in cui si cacciava. Erano passati così tanti anni, trascorsi a vivere alla giornata, tra corse folli e piccoli furti, che Steve ne aveva perso il conto.
Poi una mattina erano usciti ed erano stati intercettati da due poliziotti che avevano identificato Robin come uno dei ladri che una settimana prima avevano quasi ucciso un altro ragazzo. E come spiegare che non erano stati loro? Come dire che quel furto non l'avevano commesso loro, se tanto molti altri erano frutto delle loro giornate? Steve e Robin si erano guardati e avevano afferrato al volo il concetto: scappare.
Ma Robin lo aveva lasciato solo e forse era per quello che Steve lo aveva picchiato, quando si erano rivisti. Aveva pensato a lungo a qualcosa di sprezzante da dire, ma alla fine aveva fatto capire il concetto anche senza parole. Dopo tutte le notti passate sul tetto della Fabbrica, a parlare di come la loro vita sarebbe cambiata, se solo fossero stati lontano da lì, in una casa abbastanza grande da battere la claustrofobia di Steve, dopo tutti quei discorsi carichi della speranza di ragazzi che non invecchieranno mai, Robin lo aveva abbandonato. Un po'ce l'aveva con lui, forse anche adesso, che era al sicuro, quando erano giorni che scappava e non dai poliziotti. Si, Steve era sicuro che prima o poi il rancore, la paura, tutto sarebbe passato definitivamente.

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IL QUINTO INGRANAGGIO
FantasyIl mondo è popolato da milioni di razze diverse, una di queste è quella dei Derwin, creature pressoché immortali, dotate di poteri incredibili. Esistono centinaia di Derwin, ma la nostra lente d'ingrandimento va a un piccolo gruppo, cinque persone c...