capitolo 20

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Passò una settimana dall'ultima volta che vidi Harry.

E ogni tanto lo pensavo.

Non so in che modo,  ma il suo volto il suo sguardo le sue parole,  lasciarono un segno dentro di me. Non avrei mai accettato.
Mi piaceva Thomas, lo trovavo un sincero amico. Più volte volevo passare dal bar per salutarlo, ma avevo paura di imbattermi in Quell'orribile persona.

Più volte mi era passata la voglia di istigarlo e presentarmi a casa sua senza il suo permesso. Perché non sarei dovuta andare?
Aveva qualcosa da nascondere?
Eppure al ballo a parte Harry non mi era sembrato di vedere nessuno che accogliesse gli ospiti.
L autobus non ci arrivava da quelle parti. Sembrava un posto perfetto per rimanere nell'anonimato o per non essere infastidito da chiunque. Il posto lo trovai molto curato...qualcuno doveva pur occuparsene e conoscendolo non credo che sia lui.
Con quell'area da signore di affari scrupoloso e fiscale, non lo vedevo di certo a potare le piante. Mi venne in mente una cosa. Ne avrei parlato con i miei genitori. Dovevo farmi dare la macchina. E li avrei accompagnati io la mattina presto. Avevo la patente potevo guidare,  e mi piaceva anche molto farlo. Ma da quando ci eravamo trasferiti non avevo più guidato. In Italia mia nonna mi lasciava spesso la sua Fiat cinquecento. Non mi sentivo molto a mio agio, era come dire troppo antica nel guidarla,  e poi il colore rosso mi faceva troppo notare in giro. Lui invece mi faceva sempre guidare la sua macchina,  un Audi R8 bianca. Bellissima ed era veloce sui tratti di autostrada quando facevamo a volte viaggi lunghi. Anche se preferivo sempre che guidasse Lui. Anche quella si notava molto ma ero sempre con Lui quindi ero più sicura.

Era sera e i miei genitori erano pronti  per mangiare. Preparai un impasto simile alla pizza. Mi piaceva cucinare. .e mi piaceva molto la mia cucina bianca e nera moderna. I miei genitori quando dovettero comprare i mobili li fecero scegliere a mio gusto. Erano di gran cuore. Mia madre non ci teneva allo stile e al colore...diceva basta che i fornelli e il forno funzionassero  la sera al loro rientro. Mio padre diceva che se eravamo contente noi allora a lui andava bene.
Mi venne in mente di chiedergli quello che avevo pensato al mattino così dissi.
《Mamma va bene se domani vi accompagno io a lavoro?》mi guardarono con il boccone fermo in bocca.
《Come mai ti serve la macchina?》
《Vorrei andare in ospedale per farmi le analisi》
Per arrivare all'ospedale si doveva cambiare almeno tre autobus e i miei genitori non erano molto contenti.
《Sì va bene,  se vuoi vengo io con te. Mi prenderò qualche ora di permesso.》no no pensai.
《No. Non ho tre anni mamma! Vorrei anche allungarmi  in qualche altra frazione per cercare lavoro. Qui non riesco a trovare niente.》si guardarono. Segno che volevano essere d accordo entrambi  prima di rispondermi.
《La macchina andrebbe revisionata.. potrebbe lasciarti in qualsiasi momento.》disse mio padre pensandoci bene.
《Okay. Porterò con me soldi e cellulare carico, nel caso dovesse succedere. Tranquilli.》annuirono all'unisono. Segno che avevano accettato.

Tornai di sopra dovevo mettermi a dormire dato che li avrei accompagnati io e la loro sveglia suonava alle cinque.

Misi il pigiama ed ero a letto. Presi il cellulare e notai che era quasi scarico. Così lo misi a caricare.

《Ana...Ana svegliati tesoro.》rintronata più che mai non capivo chi durante la notte venisse a svegliarmi.
《Ana alzati o noi faremo tardi a lavoro.》e ora ricordavo. Dovevo accompagnare i miei per prendermi la macchina con la scusa delle analisi.
Ma pensandoci, stanca e infreddolita che ero stavo revisionando la mia scelta. Ma dovevo alzarmi. In fondo i miei genitori lo facevano sempre, cosa mi costava farlo per una volta.

In macchina durante il tragitto mi sentii ancora più in colpa. Mia madre poteva starsene a casa e godersi un po di serenità e fare la moglie come tante altre donne, invece per mantenere anche me si alzava a quest'ora con il gelo che fa fermare il sangue nelle vene, avere le mani rovinate senza l ombra di unghie curate.. ero una pessima figlia. Mi intristii, appoggiata con la testa al finestrino guardavo la luna..era ancora buio ed era impossibile immaginare di iniziare a lavorare, quando il tuo corpo richiedeva caldi coperte e una tazza di latte con biscotti alle sette del mattino almeno. Chissà Harry in quella grande casa chi gli preparava la colazione.! Chissà a che ora si alzava... e con chi dormiva e a questo pensiero stavo stringendo il mio giubbotto più forte che potevo. Lo lasciai non rendendomi conto di tenerlo così stretto. Perché mi dava fastidio? Il fatto che era così ambiguo  e sfuggente faceva crescere in me una voglia quasi soprannaturale di poterlo  leggere nel pensiero...di capire perché era così oscuro e complicato. Non avevo mai dovuto avere a che fare con una persona cosi. Ma faceva nascere in me sensazioni pericolose... che non sapevo se avrei saputo gestirle.

LA RAGAZZA DI DUNDEEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora