Il mercoledì mattina i suoi genitori litigarono.
Arrivò in cucina e stavano già gridando da un bel po'. All'inizio non si accorsero nemmeno che era lì, e continuarono a gridare l'uno contro l'altro e basta.
Lo lasciò molto perplesso il modo in cui gridavano. Immobili come statue, nemmeno guardandosi in faccia, come se non volessero nemmeno parlarsi. Era come se l'uno non esistesse per l'altro, e viceversa.
Rimase fermo anche lui, sulla porta, a sentirli urlare, con gli occhi spalancati.
Poi Linda finalmente lo vide, fulminò Anthony con lo sguardo per farlo smettere, sbattè la tazza di caffè nero sul tavolo e si voltò per lavare i piatti della colazione.- Hai fame? - gli chiese suo padre, sospirando.
Frank scosse la testa, scuotendo lo zaino che già aveva sulle spalle.
Era vero, non aveva fame.
Voleva solo tornare in camera e dormire ancora, ricominciare la vita da capo, nascere prima per farsi amare dal signor Way, e non essere strano per non fare litigare più i suoi genitori.
Perché lo sapeva, litigavano soprattutto per lui.
O meglio: per cosa fare di lui.
A Frank quelle parole, cosa fare di, avevano sempre fatto tanta paura. Gli sembravano cattive. Forse lo erano davvero. Cosa fare di, Frank lo avrebbe detto riguardo a una lavatrice rotta o a un computer che non si accende. Non di una persona.- Mangia - sbottò sua madre, accendendo il getto d'acqua del lavandino, ancora voltata di spalle.
Lo stomaco di Frank emise un lieve brontolio.- Non ho fame - ripeté, questa volta mormorando le parole a mezza voce, impaurito.
Non voleva che urlassero anche con lui.
A volte lo facevano.
E dopo qualche minuto diventavano tutti rossi per tutta la rabbia e sembrava quasi che stessero per dargli una sberla. A quel punto però quasi sempre sentiva un dolore al petto troppo familiare, che gli annunciava che stava per piangere, così correva in camera e si chiudeva dentro fino a che tutto non passava. Passava ore intere ascoltando ogni minimo rumore fuori dalla stanza, le grida dei suoi genitori, per poi cercare di distrarsi immaginando Gerard che sarebbe venuto a salvarlo semplicemente entrando in casa, prendendolo tra le braccia e portandolo via con sé. Cominciava a fare liste delle cose che avrebbero fatto insieme.
In quel modo, gli passava un po', il male.
E smetteva anche di piangere, stringendo il cuscino e cullandosi nell'immaginario abbraccio del signor Way.- Non ho fame - sussurrò di nuovo, guardando il pavimento.
Come se ci fosse stato bisogno di ripeterlo.
Suo padre lo guardò e poi scosse la testa, alzando gli occhi al cielo. Frank sapeva che, nonostante fosse quello che, tra i due, lo difendeva sempre, avrebbe voluto avere un figlio diverso, più forte e più bello, più popolare. Le partite di football alla domenica, le ragazze sotto casa a fare la fila per vederlo affacciarsi dalla finestra.
Aveva smesso da tempo di chiedergli come andava con le sue compagne di classe.
Non glielo aveva mai detto che a lui piacevano i ragazzi, perché sapeva che si sarebbe infuriato.- Frank, prendi un piatto e... - cominciò la donna, sbattendo un piattino di ceramica sul lavello, ma il marito la interruppe immediatamente:
- Io e tua madre domani partiamo per un viaggio di lavoro - disse, in fretta, senza guardarlo negli occhi.
Il ragazzo sgranò gli occhi, le sue gambe cominciarono a tremare.
Perché non lo avevano avvertito prima?- E... e quando tornerete? - balbettò, torturandosi le dita delle mani.
- Staremo via solamente una settimana - spiegò sua madre, con un sospiro secco:
- Dobbiamo andare in Europa. Alcuni affari importanti. Per tutto il tempo che starai qui solo, Genevieve ti cucinerà i pasti e George si assicurerà che tu vada a scuola e torni a casa, ti verrà a prendere quando andrai da Gerard.
Ma Frank non sentì niente.
Frank sentì solo "una settimana".
L'unica cosa che Frank capì, in quel momento, era che i suoi genitori non ci sarebbero stati nemmeno per il suo diciottesimo compleanno.
Avrebbe passato quella sera, in cui i ragazzi della sua età normalmente si divertivano molto o avevano feste con gli amici e magari davano anche un bacio al ragazzo o alla ragazza che gli piaceva, in compagnia di una cameriera filippina di nome Genevieve e di George, il suo autista.
Strinse i pugni.
Uscì dalla porta senza salutarli, sentì che gli gridavano di tornare indietro ma non ascoltò nemmeno una parola.
Corse.
Arrivò a scuola con le lacrime secche sulle guance, e per di più la campanella era già suonata. Aveva arte, e disegnò una pera e la fece tutta storta. Il professore gli disse che era inconcepibile. Lui fece spallucce.
Dopo arte ebbe scienze.
Non parlarono delle gincobilobe, e fu brutto.
In italiano lessero un racconto ma rimase per tutto il tempo con la testa sul banco a fissare il vuoto, e a chiedersi come i suoi genitori potessero odiarlo così tanto. Perchè lo odiavano, altrimenti come mai gli facevano tutto questo?
Infine un'altra ora di francese.
Fu più terribile del solito.
La signorina Hitachi lo chiamò fuori interrogato e lui andò in panico e ogni istante che passava si ricordava sempre meno, fino ad arrivare al punto in cui non si ricordò assolutamente niente, e lei cominciò a fargli domande sempre più difficili che lo agitarono sempre di più e alla fine lo mandò al posto dicendogli che mancavano le basi.
Frank si sentiva rosso, aveva fatto una figuraccia davanti a tutti i suoi compagni di classe, e voleva piangere ancora.

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𝐜𝐨𝐥𝐨𝐮𝐫𝐬 ♡ 𝐟𝐫𝐞𝐫𝐚𝐫𝐝
أدب الهواة"Sei il blu Frank, la tentazione di ogni artista, splendidamente armonioso." • • #228 in fanfiction 10/03/17 #137 in fanfiction 5/12/17 © mravelous