10.

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Partirono senza salutarlo.
Semplicemente, si alzò e se ne erano andati. Trovò solamente un biglietto scritto a mano molto in fretta, sul tavolo in salotto appena vicino alla porta d'uscita, che recitava in un modo che trovò davvero molto triste: "ci vediamo tra una settimana".

A Frank venì la nausea quando prese in mano il foglietto. Era anche stropicciato.
E tutte le lettere erano molto disordinate, probabilmente si erano ricordati un secondo prima di uscire di casa che lui esisteva e Linda aveva sbuffato e Anthony aveva preso la prima penna che gli era capitata tra le mani e aveva scritto la prima cosa che gli era venuta in mente.
Lo guardò a lungo, in silenzio.
Se lo rigirò tra le mani cercando qualcosa che gli trasmettesse affetto, interesse.
E non trovò niente.
Stortò la bocca e poi lo lasciò cadere per terra, come se scottasse, e tornò al piano di sopra per lavarsi. 
Avrebbe quasi preferito che fossero partiti senza lasciarglielo, il biglietto.
Almeno non sarebbe rimasto così deluso e triste.

Si vestì con movimenti lenti. Si sentiva pesante, il suo cuore era pesante.
Lo soffocava da dentro.
Disse a George che non sarebbe servito accompagnarlo a scuola perché non voleva dirgli ciao fuori dal cancello e stringergli la mano e non voleva sentirlo mentre gli diceva che gli dispiaceva e che se avesse potuto lo avrebbe preso con sé. 
Uscì di casa abbastanza presto, non fece nemmeno colazione perché non aveva ancora fame e perché mangiare i cereali gli sembrava abbastanza stupido quando stava per sparire. Faceva molto freddo, così si strofino il naso tra le dita delle mani, affondando il viso nella sciarpa. Tra tre giorni sarebbe stato il suo compleanno, ma se fosse sparito non lo avrebbe festeggiato, giusto? 
Comunque, pensò, se anche lo avesse festeggiato, lo avrebbe fatto solo con George e Genevieve, e quindi sarebbe stato come non festeggiarlo, anche se doveva ammettere che i biscotti che Genevieve gli passava di nascosto erano davvero molto buoni e che George si comportava davvero bene con lui, anche se diceva tante volte parolacce come "cazzo" e "merda" e "puttana".
Arrivò a scuola, aveva le dita freddissime e gli faceva tanto male la pancia. 
Forse aveva un po' di paura. 
Ma solo un po'. 
Cercò di convincersene, mentre entrava nell'atrio e guardava tutti andare nelle rispettive classi con passo tranquillo. Lo lasciò molto perplesso tutta quella tranquillità, perché lui dentro invece non si sentiva per niente tranquillo, anzi, era come un temporale, quando i tuoni cominciano a rombare e fanno tutto quel rumore e sembra proprio che tutto il mondo tremi.
Stando attendo a non farsi seguire da nessuno, imboccò le scale che salivano verso i piani più alti. Non aveva mai fatto niente del genere, aveva l'impressione che le sue gambe si muovessero da sole e che tutto il mondo girasse attorno a lui vorticosamente, come se le azioni degli altri fossero più veloci rispetto alle sue, che, al contrario, erano lentissime. Si sentì ancora più isolato, e, attanagliato dalla morsa del dolore, cominciò a correre.
Salì le scale a due a due, la sciarpa gli stringeva il collo e si sentiva soffocare, ma non gli importava.
Sembrava che volasse, tanto era leggero.
Questa sensazione si alternava al terrore in una sequenza confusa, il suo cuore batteva fortissimo e non riusciva a fermarlo. 

Si trovò in soffitta in poco tempo, guardò il cielo bianco e quasi quasi gli venne da sorridere, ma non lo fece. Gli bastò salire una scala a pioli strettissima e spalancare una porticina minuscola per sentire l'aria gelata toccargli il viso. La testa gli pulsava in modo fastidioso. Gli sembrava di non sentire niente e di sentire tutto allo stesso tempo.
Respirò il vento freddo, poi andò verso il cornicione, traballando, come se avesse bevuto tanto, come quelli con il viso tutto rosso che a volte vedeva in strada quando usciva. Con le mani, si diede la spinta per saltare sopra al piccolo muretto di cemento, riuscì a sedersi e poi guardò giù. 
Era alto.
Tanto alto. 
Sarebbe bastata solo una spinta... una spinta con le mani.
Guardò di nuovo giù, tutto sembrò allungarsi e sentì il suo stomaco stringersi tutto. 
Era alto.
Troppo alto?
No, non troppo alto.
Semplicemente era alto.
Non se lo sarebbe mai immaginato così alto.
Se lo sarebbe immaginato anche meno difficile.
Si era immaginato che gli sarebbero venute in mente solo le cose brutte, come i suoi genitori che litigavano e la scuola e i suoi compagni che lo picchiavano, e non anche tutte quelle belle, come Gerard e le sue carezze e quando gli sorrideva, prima di cadere. 
Ma Gerard non lo amava.
E quindi anche Gerard era una cosa brutta?
Come avrebbe mai potuto esserlo?
Il suo amore per lui era una cosa brutta?
Eppure non avrebbe potuto essere più vero di così.
Se lo sentiva proprio dentro.
Gli voleva tanto bene. 
Ma tanto tanto.
Anche se Gerard era molto molto grande e sua madre voleva che lui lo chiamasse signor Way.
Se pensava a tutto il bene che gli voleva si sentiva un po' bene e un po' male. 
Chiuse gli occhi e poi li riaprì.
No, Gerard non era una cosa brutta, era la cosa più bella che aveva. 

𝐜𝐨𝐥𝐨𝐮𝐫𝐬  ♡  𝐟𝐫𝐞𝐫𝐚𝐫𝐝 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora