2 In salita verso l'Inferno

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Il 27 ottobre i sottufficiali erano tutti riuniti in un piccolo spogliatoio, sorvegliati da alcuni agenti in modo che indossassero in modo corretto le tute da esterno... e anche che non potessero scappare o trovare un modo per sfuggire alla missione. Negli anni passati molti sodati avevano addirittura cercato di lesionarsi per non uscire in Superficie e compiere le loro missioni. Il duro addestramento da soldati non era riuscito a soffocare la paura che si provava nel dover uscire in Superficie. C'erano storie spaventose e raccapriccianti di soldati che, una volta saliti nel mondo esterno, tornavano alla base privi di arti, feriti a morte oppure colpiti dalle radiazioni. E questo a chi andava bene: molti soldati non tornavano affatto. La storia però che fra tutte fece più scalpore fu quella sul superiore Catos Jahr; le versioni su come avesse perso la mano destra erano tutte diverse e una più ridicola dell'altra. C'era chi diceva che l'avesse persa difendendosi da una tigre-smeraldo, chi invece che un Radiato gliel'avesse prima tagliata e poi ne avesse fatto la sua cena, e c'era anche chi, addirittura, credeva che se la fosse tagliata per offrirla al capo di una tribù radiata in cambio della sua libertà. Tutto aveva poco senso. Ma molti ci credevano.

Nonostante le dicerie, gli otto sottufficiali cercavano di restare calmi e di concentrarsi nell'indossare perfettamente le loro tute. Non sapevano cosa aspettarsi dal mondo esterno, nessuno di loro era mai uscito dal caveau. Sapevano solo quali potessero essere gli esiti della loro escursione: la morte oppure tornare alla base feriti o mutilati. Parliamone, avere una mutilazione sarebbe stato grandioso. Avere una mano, una gamba, un occhio in meno, per i soldati non era una mancanza, ma un punto di forza e un onore. Significava che loro ce l'avevano fatta, erano saliti in Superficie ed erano tornati... con qualche pezzo in meno, ma vivi. I pericoli che si aggiravano 50 metri sopra le loro teste erano numerosi: tigri-smeraldo o orsi neri erano sempre pronti ad attaccare, famelici, impazienti di cibarsi; le radiazioni erano silenziose, invisibili, attaccavano piano e con calma, si prendevano il loro tempo, e una a una, distruggevano le cellule del corpo di quei poveri malcapitati che venivano scelti dal fato per morire disintegrati da un tumore; poi c'erano i Radiati: quei bastardi selvaggi serbavano rancore e vendetta da 200 anni e appena un uomo passava sotto i loro occhi, questo veniva ucciso con un veloce colpo di proiettile. Non che i soldati che uscissero dai caveau non fossero armati e protetti: portavano tutti delle tute nere e sottili, della tecnologia più avanzata, che fasciava il loro corpo e li proteggeva dalle radiazioni; in più disponevano di alcune protezioni supplementari che coprivano le zone più sensibili: il torace, le braccia e le gambe. Inoltre disponevano di una gran quantità di armi, dai coltelli ai mitra, che gli avrebbero permesso di difendersi... sempre se ne fossero stati capaci. Gli anni di addestramento erano mere formalità: in Superficie niente seguiva uno schema, niente poteva essere previsto, tutto era relativo.

Una volta indossate correttamente le corazze e prese le armi, i soldati si disposero in fila e, scortati dalle guardie, si avviarono al piano superiore, dove il generale Donald li stava aspettando.

I corridoi che attraversarono erano tutti uguali, le porte che vi si affacciavano erano tutte uguali, tutto era uguale a tutto. I muri grigi erano terribilmente noiosi, le luci a neon sfarfallavano a intermittenza, la puzza di muffa aleggiava in ogni angolo di quella tomba sotterranea. I costruttori l'avevano progettata per la sopravvivenza del genere umano, ma quella poteva considerarsi realmente vita? Ogni singolo giorno lo passavano sottoterra a eseguire ordini considerati indispensabili per il corretto funzionamento del caveau. Mangiavano liofilizzati, bevevano acqua creata nei laboratori, respiravano aria riciclata, si alzavano e si coricavano quando le luci a neon si accendevano e si spegnevano. Perché quella era l'unica luce che conoscevano. Quella bianca, fredda e artificiale. Non avevano mai visto il sole: alcuni soldati che erano stati in Superficie raccontavano di una gigantesca palla rovente color arancione che attraversava il cielo. Quello, a loro dire, era il sole. Però, giravano storie che raccontavano di un sole diverso, appartenente ad un tempo in cui gli umani vivevano in Superficie: non bruciava, ma riscaldava; il suo tocco era benevolo, non distruttivo; non era arancione, bensì giallo. Ma non c'erano né foto né documenti attendibili ad attestare tutto questo. Ogni documento sopravvissuto alla Quarta Guerra era stato confiscato, nascosto e rinchiuso in modo che nessuno avrebbe potuto mai accedervi. Non si conosceva altro al di fuori di quello che il Sito permetteva di conoscere. Ma a Tander questo non interessava. Lui non voleva conoscere. Lui voleva solo vivere. Ma come poteva riuscirci?

I sottufficiali giunsero in un'anticamera grigia e spoglia dove il Generale li stava aspettando: era vestito esattamente come loro, tranne per le spalline che distinguevano il suo rango militare. Inoltre la corazza nera lo faceva sembrare terribilmente imponente, più aggressivo, più cattivo di quanto già non fosse. Alla sua destra c'era il giovane ufficiale Nev, il suo attendente... o meglio dire il suo cagnolino. Lo seguiva dappertutto, eseguiva ogni suo ordine ed era totalmente dipendente dalla presenza del Generale. Teneva stretto tra le mani il casco arancione che avrebbe protetto il Generale e i sottufficiali dai gas e dalle radiazioni. Inoltre, aveva anche un ghigno stampato sul viso, come se fosse, in qualche modo, felice che non avrebbe rivisto le facce di quei poveri soldati, o che almeno una parte avrebbe sofferto abbastanza. Tander desiderava tanto toglierli quel ghigno odioso dalla faccia con un cazzotto. Gli occhi verdi, i capelli biondi e i tratti del viso dell'ufficiale erano terribilmente nauseanti: avevano qualcosa di cattivo e aberrante, nonostante la loro bellezza.

Il Generale si schiarì la voce: << Soldati, tra pochi minuti saliremo in Superficie e sarà meglio per voi obbedire ad ogni mio ordine: se vi dico di uccidere, voi lo fate; se vi dico di sacrificarvi, voi lo fate; se vi dico di uccidere un vostro compagno, voi lo fate; se vi dico una qualunque cosa, voi la fate. E questo è un ordine. Se non lo rispetterete vi fucilerò immediatamente sul posto. Mi sono spiegato?>>

I sottufficiali risposero in coro con un "Sì, signore", anche se si avvertiva un certo nervosismo nelle loro voci. Come dar loro torto.

<< Molto bene, ora che abbiamo chiarito la situazione possiamo partire. Là fuori sono molti i pericoli, quindi vedete di non trasformarvi in scocciature. Avanti, in marcia!>>. Il Generale indossò il casco arancio metallizzato e i soldati fecero lo stesso. Si avviarono così verso un ascensore immenso, controllato da una decina di guardie e monitorato da sistemi di sicurezza. La salita verso il cielo sembrò interminabile. Il caos che dominava la mente di Tander era in aperta contraddizione al silenzio tombale che regnava tra le quattro pareti di ferro della capsula che, in quel momento, li portava sempre di più vicini al pericolo e alla morte. Il giovane provava paura, molta. Ma sentiva altro scorrergli attraverso le vene: era eccitazione, adrenalina. E non la sentiva da tempo.

Le porte dell'ascensore si aprirono con un sonoro sbuffo. I soldati, guidati dal Generale, s'incamminarono nel tunnel buio che conduceva all'esterno.

Passo dopo passo una luce forte, abbagliante e arancione li raggiunse travolgendoli.

Erano lì.

Erano in Superficie. Ed erano sconvolti dal paesaggio che si parò davanti i loro occhi.

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