25 Minacce

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Ogni secondo, ogni momento che passava si apprestava a morire, affogando nell'infinità del passato. 

Di secondi ne erano passati tanti. 

Di momenti fin troppi. 

Forse erano passati interi giorni nei quali Tander era stato risucchiato da quel vortice di incoscienza che lo aveva totalmente inibito facendogli perdere ogni cognizione. Un solo pensiero però continuava a spingere nella sua mente e pretendeva di essere ascoltato: che fine avevano fatto i suoi amici?

Quel giorno, quel momento, quel secondo però si distinsero da tutti gli altri poiché la foschia fastidiosa che gli ricopriva la mente si stava diradando. L'umano diventò cosciente dei polmoni che si alzavano e abbassavano, in maniera sempre più irregolare, seguiti dal battito frenetico del cuore. Le dita si muovevano sulle lenzuola ruvide e il busto pretendeva di essere alzato. Gli occhi invece si rifiutavano di schiudersi e di accogliere l'irritante luce a neon, che sfarfallava frenetica sopra la sua testa.

Tander voltò la testa, sentendo i muscoli e i tendini duri e rigidi come cavi d'acciaio, e con uno sforzo di volontà si costrinse ad aprire le palpebre. La prima cosa che vide fu il tubicino che collegava la flebo al suo braccio essere vuoto. Nessun liquido estraneo si stava instillando nelle sue vene. Per un momento fu una consolazione. Era finalmente libero di pensare, libero dall'incoscienza.

Ma come gli altri, quel momento finì. Se era cosciente, voleva dire che qualcuno lo voleva sveglio. E se lo volevano sveglio, significava che avevano bisogno delle informazioni che lui custodiva ormai gelosamente.

Si puntellò sulle mani per alzare il busto e subito avvertì un picco di nausea. Nonostante lo stomaco si attorcigliò in modo sgradevole, niente accennò ad uscire fuori. Dopotutto era passato diverso tempo dall'ultima volta in cui aveva mangiato.

Respirò a fondo, espirando in modo violento ed arricciando le labbra. Quando si sentì meglio si guardò attorno.
La stanza era la stessa in cui era stato messo quando era arrivato: i muri di un grigio chiaro riflettevano la luce artificiale; il lettino su cui si trovava era addossato alla parete di fronte alla quale c'era l'enorme porta di vetro con la scritta Quarantena; un monitor e alcune attrezzature mediche invece, ronzavano accanto alla sua branda, mentre una telecamera lo fissava da un angolo della stanza. La spia rossa lampeggiante gli stava mandando un messaggio: ti stiamo osservando.

Si strappò l'ago dal braccio, ormai inutile, e non si concesse tempo per osservare il livido nero che aveva sulla piega del gomito. I piedi nudi poggiarono sul pavimento freddo, percorrendolo interamente finché Tander non si trovò con il volto a pochi millimetri dal vetro. E allora si accorse di qualcosa che non aveva mai notato. Davanti a lui, dall'altra parte del corridoio c'era una stanza identica alla sua, e la persona che poggiava le mani sul vetro gli era conosciuta. Occhi ambrati, dei capelli un tempo rasati che in quel momento stavano ricrescendo, delle labbra che si articolavano a formare parole, ma nessun suono che giungeva.

Bete era nella sua cella, mentre cercava di comunicare con Tander, il quale, si ritrovò sbalordito, sorpreso, e al contempo sollevato che qualcuno della sua compagnia fosse vivo.

Tander si concentrò sulle labbra del suo amico, cercando di capire cosa gli stesse dicendo, ma in pochi secondi delle guardie complete di caschi e armature entrarono nel corridoio: alcune si fermarono e si divisero tra la cella sua e di Bete, mentre le altre continuarono ad avanzare nel corridoio. Dove stavano andando?

Non appena varcarono la porta Tander si voltò verso di loro, aggrottando la fronte, cercando di concentrarsi quanto gli era permesso dagli inibitori che ancora scorrevano nel suo sangue. Approfittando del fatto che non fossero armati, il ragazzo prese l'asta di metallo a cui era agganciata la flebo e la usò per colpire il soldato più vicino dietro alle ginocchia, facendolo cadere per terra. Non appena il secondo si fece avanti, Tander lo colpì sui polsi dove non vi era alcuna protezione, e sentì un sonoro crack quando il metallo si schiantò contro il polso del soldato, il quale lanciò un urlo. Il ragazzo si buttò su di lui sbattendolo forte a terra, mentre l'aria contenuta nei polmoni usciva violentemente a causa dei colpi sul pavimento. Purtroppo però Tander non si accorse dell'ultimo soldato alle sue spalle che lo colpì con un taser.

Il ragazzo sentì i nervi essere percorsi da spasmi involontari e il cuore strizzare agonizzante mentre le ginocchia cedevano, e in pochi secondi si ritrovò per terra.

Mentre riprendeva fiato a fatica, sentì una risata alle sue spalle. Il soldato si tolse il casco, incurante dello stato di quarantena, mostrando il suo volto. La voce di Nev era molesta e malefica, in totale contrasto col volto quasi angelico.

<<Reyn, allora è vero quello che si dice su di te: ti sei definitivamente unito ai Radiati. Sei un ribelle! Tu! E chi lo avrebbe mai detto, che il povero orfanello disagiato sarebbe stato capace di fare una cosa tanto ardita?>> Rise, tenendosi il petto con una mano. <<Te ne do atto: sei riuscito a sopravvivere trai i Radiati e a non farti ammazzare. Mi chiedo come? O forse un'idea ce l'avrei... ti sei ripassato per bene la rossa, eh? Se non fosse una sporca Radiata, me la farei anche io.>>

Tander non ci pensò un secondo ad alzarsi dal pavimento e a sferrargli un cazzotto sul viso. Nessuno lo aveva previsto, tant'è vero che il volto di Nev si girò violentemente, e l'ufficiale rimase in quel modo per alcuni secondi, mentre riprendeva fiato. Quando si girò, un rivolo di sangue colò dal labbro spaccato. Un lampo di rabbia gli attraversò gli occhi, ma sparì con la stessa velocità con cui arrivò.

<<Tu. Spero tu sia consapevole del fatto che quando verrai giustiziato sarò io ad ammazzarti. E morirai nello stesso modo in cui sono stati uccisi i tuoi genitori. Ora, voi, ammanettatelo, e portatelo fuori.>>

Che cosa significava? I Suoi genitori erano morti in un bombardamento! Era così, giusto?

Preso dal panico, Tander si lasciò ammanettare e condurre fuori dalla porta in vetro. Nel corridoio altri soldati cercavano di tener fermo Betelgeuse, il quale aveva il viso sporco di sangue, e non era solo suo. Anche lui aveva cercato di ribellarsi.

Il Radiato dagli occhi luminosi però si accorse dello stato di Tander e provò a parlargli, ma come aprì bocca gli assestarono una ginocchiata al petto che lo fece rimanere senza fiato.

<<Ora.>> disse Nev pulendosi il rivolo di sangue dal viso. <<Portateli nella stanza delle torture. Sono ansioso di sapere se avranno ancora tanta voglia di parlare!>>

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