29 I traditori

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Lo scorrere del tempo non veniva scandito dal ticchettio di un orologio. Non veniva segnato dal progressivo allungarsi e accorciarsi delle ombre in superficie. Né tantomeno dal sorgere e dal tramontare del sole.

Nel Sito l'unica cosa che permetteva di percepire il susseguirsi dei secondi era l'accendersi e lo spegnersi dei neon. Accesi nelle ore di "luce", spente in quelle notturne. Non c'era neanche un affievolirsi progressivo che facesse capire il passaggio dal giorno alla notte e viceversa. I neon si spegnevano e accendevano di scatto, tremolanti, caratterizzati dal loro solito sfarfallio, sintomo del continuo ed eccessivo utilizzo. 

Perché, dopotutto, niente è fatto per durare per sempre. Ogni cosa si sarebbe consumata in quel luogo. Dalle lenzuola che coprivano il corpo di Tander. Da i macchinari che monitoravano il suo stato di salute. Dalle pareti, che si facevano sempre più precarie e inconsistenti. Fino ad arrivare al Sito stesso, nella sua totale interezza. Sarebbe stato inglobato dalla terra in un lungo processo di deterioramento.

Il concetto era abbastanza semplice ed elementare. Però era sconosciuto ai suoi abitanti. Questi continuavano il loro ciclo vitale come se la loro condizione fosse normale, come se nulla potesse accadere o cambiare. Gli infermieri passavano ogni giorno, indossando le loro uniformi da lavoro, controllando lo stato dei pazienti in quarantena. I soldati rimanevano immobili lungo i corridoi, cedendo il cambio ad altri sostituti nel momento in cui i neon si accendevano e spegnevano. Il presidente Asimov rimaneva piegato sul tavolo, con le carte sotto il naso, ad analizzare le varie situazioni che gli si presentavano, rigirandosi l'anello d'argento che portava al mignolo, segno evidente della sua agitazione. Tander, sotto lo sguardo attento di Bete, si concedeva ogni tanto di alzare la testa dal suo lettino, osservando lo stato di Landon nell'altro lato del corridoio. Akiva invece, restava seduta immobile all'angolo estremo della sua stanza, cercando di vedere delle facce familiari dal piccolo scorcio che aveva sul corridoio, ignorando la pelle bruciata che implorava cure.

Niente sembrava cambiare mentre i neon continuavano ad accendersi.

A spegnersi.

Ad accendersi.

A spegnersi.

E di nuovo ancora.

Finché.

I passi risuonarono nei corridoi già da molto prima che il gruppo di sottoufficiali raggiungesse l'ala di quarantena e si fermasse davanti alle tre camere occupate.

Ai prigionieri fu dato il tempo di prepararsi ad uscire, rispettando i loro bisogni, ma prima che potessero varcare la soglia delle loro stanze, furono ammanettati ed assegnati ciascuno ad un soldato. Questo però non impedì loro di ribellarsi. Non per cercare una via di fuga, per scappare o per rovesciare la situazione. Ognuno di loro stava cercando di liberarsi dai propri aguzzini semplicemente per raggiungersi, per toccarsi, per rendere reale ciò che il tempo e le pareti di vetro e cemento avevano reso così astratto e solo un ricordo.

Degli occhi come il cielo, come il mare, come la giada, come la terra e come la folgore delle stelle si raggiunsero e si intrecciarono gli uni con gli altri, per sovvertire al mancato contatto fisico.

I soldati li spintonarono e aumentarono la stretta sui loro corpi, in modo da limitarne i movimenti.

Li condussero verso le rampe di scale che portavano ai piani superiori. Attraversarono la zona dell'armeria, dei depositi e quella del rifugio anti bomba. Tander ovviamente, così come Landon, conosceva quel luogo come le sue tasche, e sapeva benissimo che a breve sarebbero risaliti fino alle zone comuni, accessibili a tutti gli abitanti. Naturalmente era l'unico modo per raggiungere il reparto A, assegnato all'amministrazione e alla direzione, il nucleo che dirigeva l'intero Sito. Sarebbe stato un bello spettacolo, pensò Tander. Due ribelli e tre Radiati avrebbero senz'altro fatto scena. Peccato che l'ultima cosa che Tander volesse, era quella di essere al centro dell'attenzione. Ovviamente non aveva nessun amico o parente che avrebbe assistito alla scena, ma non aveva voglia di farsi vedere in quello stato: come un traditore, ammanettato e incarcerato nel luogo e dalle persone con cui era cresciuto.

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