5 I Radiati

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Era buio. Completamente buio. I rami degli alberi si intrecciavano sopra le loro teste, si abbracciavano e si stringevano come mani disperate. La fitta rete di foglie separava il cielo e la luce aranciata del sole dal terreno, viscido e coperto da felci e licheni. L'aria era terrosa, umida, fredda: era come avere la testa immersa in una pozza di fango. I soldati, come un esercito di formiche, camminavano uno dietro l'altro, studiando ciò che li circondava, ciò che per loro era così nuovo.

Nel Sito e nei vari avamposti la gente viveva circondata da cemento e acciaio, perennemente sepolti sotto terra, lontani dall'aria pulita, lontani dal benessere, lontani da una luce naturale. Ma quelle non erano cose che si potevano trovare semplicemente in Superficie. Quelle cose, non esistevano. Erano state distrutte. Tutto era stato distrutto. Le persone. Gli animali. La vegetazione. L'aria pulita. Il sole. La Terra. Al loro posto era rimasto uno scorcio, delle malate imitazioni, di ciò che era esistito prima. Prima di cosa? Prima della guerra. L'uomo aveva sempre intrapreso battaglie, fiero e fiducioso della propria forza e della propria vittoria, pregustando il momento in cui avrebbe conquistato il bottino di guerra. Ma cosa guadagnava mai realmente? Nessuno vinceva. Era tutti vinti. Tutti sconfitti. Non rimaneva più niente. Solo una pallida ombra di ciò che era stato. Solo la Morte, solitaria e silenziosa, raccoglieva silente i resti delle vite che venivano gettati tra le sue braccia, sollevata nel poter dare riposo dal dolore e dall'agonia le anime che venivano sacrificate per fini superiori. Per la conquista. Per la vittoria. La Morte aveva salvato coloro che erano stati condannati contro la loro volontà: giovani soldati spediti al fronte; donne e bambini colpiti dalle radiazioni; paesaggi, animali e vegetazioni spazzati via da bombe nucleari. Anche la Terra presto sarebbe stata salvata dalla sua condanna. Non mancava molto. Il Tempo le aveva donato molto di sé stesso, ma non aveva potuto goderne. La Morte la stava raggiungendo molto prima del previsto. La Morte li avrebbe salvati tutti.

Tander lo sentiva. Sentiva quanto fosse sbagliato ciò che stava accadendo, quanto fosse sbagliato ciò che stava facendo. Perché lui era soltanto un pedone in un'immensa scacchiera: una piccola pedina, mandata avanti per essere sacrificata, in modo che la regina potesse dominare i blocchi bianchi e neri in tutta la sua potenza. Sentiva quanto fosse sbagliato vivere in quel modo, seguendo le regole che venivano imposte, affinché tutto il sistema potesse funzionare in modo corretto, come un gigantesco orologio. Quell'orologio, dicevano, avrebbe cambiato a storia. Avrebbe dominato la Terra e portato alla vittoria il genere umano. Portato alla vittoria di cosa? E chi avrebbe vinto alla fine se tutti sarebbero morti nella dura battaglia?

A volte l'uomo possiede uno strano modo di pensare.

Aveva costruito grandi cose in passato. Tutte cose che, almeno in teoria, sarebbero valse alla sua sopravvivenza. Evidentemente quelle molte cose erano funzionate in modo scorretto. Perché tutto stava finendo.

L'universo ha un senso dell'umorismo particolare, non trovate?

Dopo un lento peregrinare, mentre le formiche seguivano il Generale Donald verso l'uscita dalla boscaglia, mappata da un display che avvolgeva il suo braccio, la squadra raggiunse una vasta distesa di cemento da cui nascevano alti edifici, scheletri di ciò che un tempo, doveva essere una grande città.

I soldati erano sollevati di trovarsi in un ambiente illuminato e anche parzialmente familiare

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I soldati erano sollevati di trovarsi in un ambiente illuminato e anche parzialmente familiare. Anche se erano sconvolti: nessuno di loro avrebbe mai immaginato quanto l'ingegno dell'uomo fosse stato così potente. Il Sito e le unità abitative in cui vivevano non erano niente in confronto alla maestosità di quelle lunghe colonne grigie che si allungavano e si spingevano verso il cielo terso. Erano enormi giganti che li fissavano, dallo sguardo cattivo e tetro, rimproverandoli di aver disturbato il loro lungo riposo.

Dopo qualche secondo di pausa, il generale si rimise in marcia, ricordando alle sue formiche quale fosse il loro compito: trovare e uccidere i Radiati che avevano attaccato gli avamposti di Dallas. Riscossi dalla voce burbera del generale, i soldati strinsero a loro le armi e iniziarono a guardare gli edifici non più con meraviglia, ma con malcelata diffidenza.

Una leggera brezza iniziò a spingerli, a far sollevare le foglie secche dal terreno e a sposare la bruma verde che invadeva l'aria stantia attorno a loro. Dopo che anche quel leggero soffio di vento si estinse, portando via con sè la foschia che li nascondeva, rimase solo un silenzio assordante. Era strano. Troppo strano. C'era troppo silenzio.

La squadra, si guardò attorno. Qualcosa non andava.

A rompere la quiete ci furono tre tonfi. Sembravano come dei tamburi. Ma potevano anche essere i loro cuori agitati che battevano all'unisono. Il generale però conosceva bene quel suono. Lo aveva sentito in tutte le sue campagne in Superficie. Lo aveva sentito ogni volta prima che un gruppo di Radiati potesse attaccare. Perché quello accadde.

Mentre urlava a squarciagola ai suoi soldati di mettersi al riparo, le finestre di vetro dei piani più bassi degli edifici esplosero e numerose figure si riversarono all'esterno. Atterrarono per terra, con maestria ed eleganza, senza ferirsi. La loro pelle di giada era coperta da pelli nere spesse e dure. Le loro mani erano strette attorno a mitragliatrici oppure attorno a lunghi archi e balestre.

Mentre gli umani si voltarono alla ricerca di un riparo, scossi momentaneamente dallo shock, i Radiati alzarono le armi al cielo, e con un urlo bestiale si lanciarono all'attacco.

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