14 Il figlio del fulmine e il figlio del sole

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Tander era seduto su una delle tante sedie presenti nella biblioteca, dava le spalle alla finestra da cui entravano i caldi raggi del sole, e sfiorandolo, cercavano di sciogliere il gelo nel suo corpo che stava fermando il sangue che scorreva, il cuore che batteva, i polmoni che si gonfiavano. Quel gelo stava congelando ogni singola cosa in lui, persino la mente. L'immagine dei lividi viola sulle costole e la schiena di Landon non accennava a lasciarlo. La violenza e il dolore che erano scaturiti dallo scontro di alcune ore prima lo impregnavano e soffocavano in modo quasi doloroso.

Le immagini dello scontro continuavano a comparire nella sua mente una dietro l'altra: correvano, si affannavano, non lo lasciavano. E lui scorreva le pagine del libro che aveva tra le mani con la stessa velocità. Le voltava voltava voltava voltava finchè non raggiunse la copertina rigida.

A quel punto lasciò cadere il libro sul tavolo e si mise le mani fra i capelli tirandoli, cercando di fermare quel flusso continuo.

Dopo la morte dei suoi genitori non sapeva dove avrebbe potuto trovare la pace: il Sito, quel luogo triste e inanimato, lo annichiliva, gli toglieva la voglia di vivere più di quanto non avesse fatto quel maledetto bombardamento portandogli via i suoi genitori. Aveva sperato che un giorno sarebbe riuscito ad arrivare in Superficie e forse, solo allora, si sarebbe sentito libero.

La Superficie l'aveva raggiunta, ma la pace no.

Una vocina arrogante gli interruppe i pensieri: " Se non riesci a trovare la pace là dove sei, in quale altro luogo speri di trovarla?"

Tander si alzò e lanciò un urlo colmo di frustrazione.

Poi la vide, lì davanti a lui. Lo stava fissando, gli occhi verdi sbarrati, forse impauriti, forse stupiti.

Akiva lo raggiunse e gli mise una mano sulla spalla: << Come stai?>>

Tander sapeva benissimo che non si stesse riferendo alla ferita dietro alla nuca, o ai lividi alla schiena. Sapeva che Akiva aveva capito che in lui esisteva un mostro che lo tormentava incessantemente, che lo divorava senza alcuna pietà, senza lasciare alcun resto di lui.

<<Ho rischiato di perderlo. Di perdere l'unica famiglia che io abbia avuto in questi 13 anni.>> Landon si trovava in infermeria, aveva subito molte più ferite rispetto a lui e ce la faceva a stento a muoversi. Aveva numerosi lividi lungo la schiena, attorno alle costole, sullo sterno, il viso gonfio.

<<Non è stata colpa tua Tander. Non è colpa vostra se la gente prova rancore verso di voi. Ajax non avrebbe dovuto mandare Ares e Titus da voi. Sa fin troppo bene che sono due teste calde.>>

<<Questo non c'entra. Non è giusto che lui sia stato colpito più di me, che abbia subito più danni; ringraziando il dio che indossassimo le armature, sennò non ho proprio idea di cosa sarebbe successo. Io...>> Tander si mise le mani fra i capelli e iniziò a girare per la stanza come se fosse un leone in gabbia <<... penso di essere maledetto. Ogni persona che amo soffre, oppure muore. Mentre io sono condannato ad assistere a tutto questo senza poter fare nulla per aiutarli. C'è qualcuno là fuori che vuole che io patisca tutto questo! Mi rende inutile, inerme, mentre vedo chi amo soffrire!>>

<<Cosa stai dicendo?! Come fai a pensare queste cose assurde?! Tu non sei maledetto Tander. Sei una persona normale, sfortunata, che ha dovuto affrontare tante cose brutte. Guardati attorno! Siamo in guerra. A noi non è permesso essere felici, a noi non è permesso non soffrire. Patiremo le pene dell'inferno finché tutto questo non finirà.>> Akiva si avvicinò a Tander incurante della furia che lo stava divorando: lo prese per le spalle e lo scosse forte con entrambe le mani. <<Guardami!>> Il ragazzo puntò i suoi occhi su di lei: tra le sue ciglia una tempesta stava infuriando violenta. I fulmini cadevano dal cielo dei suoi occhi, illuminando il dolore che dilagava nel suo essere. <<Ora basta. Non voglio che tu stia così!>>

La pioggia smise di precipitare, i fulmini si quietarono, ritraendosi tra le nuvole nere, lasciando il posto a quel blu elettrico e luminoso che caratterizzava gli occhi di Tander.

<<Scusami.>> Tander si ritrasse da lei, fece alcuni passi indietro e poi se ne andò. A grandi falcate attraversò la grande sala zeppa di libri, scomparendo oltre la doppia porta.

Akiva si lasciò cadere a terra.

Sapeva perché era scappato via.

Non voleva che anche lei diventasse una di quelle persone. Preferiva starle lontano. Scappare. Lei glielo avrebbe permesso?

                                               ...

Landon stava contemplando le macchie multi colori che gli tingevano la pelle: sui lividi violacei i medici del clan Omega gli avevano applicato delle misture di erbe verdi dall'odore nauseabondo. Si chiese se non avessero utilizzato le stesse erbe che avevano servito a pranzo per curarlo... che schifo. Mentre continuava ad osservare quelle macchie disgustose, dalla porta dell'infermeria entrò una Radiata dai capelli scuri e gli occhi castani: si guardò attorno e non appena vide Landon lo raggiunse fermandosi accanto al letto in cui riposava. Landon piegò le labbra in un sorriso sardonico e a fatica parlò. Non gli importava se parlare gli procurasse delle fitte lancinanti, non gli importava se i polmoni si rifiutassero di inspirare aria più di quanta non fosse indispensabile: << Ma guarda un po' chi si rivede?! Allora sei venuta qui per portare conforto ai feriti con il tuo dolce e serafico viso?>>

Il volto scuro e imbronciato di Andromeda si fece più scuro e imbronciato - per quanto possa essere possibile.

<<Ti piacerebbe umano. Dimmi >> la Radiata indicò il braccio di Landon disteso acconto al corpo <<non ti hanno ferito alle braccia, giusto?>>

<<Assolutamente no, mia cara, le mie braccia sono sane e forti com- Ahia!!>> Landon si portò la mano sul braccio dove Andromeda lo aveva appena colpito con uno schiaffo. <<E questo cos'era?>>

<<Questo, imbecille, era perché mi hai fatta preoccupare! Ma come ti è venuto in mente di dare inizio a una rissa? Guarda come ti hanno conciato!>> esplose Andromeda indicando l'addome tumefatto di Landon.

Quest'ultimo iniziò a ridere ma si bloccò quasi subito tossendo e portandosi le mani alle costole. Prese cautamente dei respiri profondi cercando di non peggiorare la situazione.

<<Mi dispiace che tu ti sia preoccupata, ma non l'ho iniziata io la rissa. Ma se per farti venire al mio capezzale dovevo farmi picchiare per bene... beh l'avrei fatto prima- Ahia!>> un secondo schiaffo colpì il braccio di Landon, che iniziò a diventare rosso.

<< Sei proprio un imbecille!>> Andromeda si girò e fece per andarsene, ma il ragazzo la bloccò, tirandola per la mano. La Radiata prima guardò le loro mani intrecciate, poi guardò le pozze scure dei suoi occhi.

<< Aspetta, rimani qui, ho bisogno di un po' di compagnia.>>

Andromeda alzò gli occhi al cielo, tolse la mano da quella di lui, e si sedette su un letto lì vicino. Alzò un sopracciglio e lo guardò seria:<< Va bene, rimango, ma basta con questa ilarità e queste battute di cattivo gusto.>>

Landon alzò le mani, in segno di resa:<< Niente più ilarità, niente più battute... ok, ho capito>>

Seguirono alcuni secondi in cui Landon cercò disperatamente qualche argomento a cui appigliarsi per fare conversazione, ma aldilà della guerra, delle battute stupide sul colore della loro pelle verde, e del loro cattivo gusto in fatto di cibo non aveva niente in mente. Sarebbero rimasti in silenzio per tutto il resto della giornata.

Al diavolo!

<<Levami una curiosità...>> Indicò la mistura che aveva sul torace <<Confessa: sono le stesse verdure del pranzo!>>

E con sorpresa Andromeda scoppiò a ridere.

Landon sorrise soddisfatto.


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