13 Valla

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Il sole stava tramontando, scomparendo lentamente sotto l'orizzonte, pronto a lasciare spazio alla notte. Gli ultimi raggi attraversavano la stanza in cui Atreo stava riposando. Si sentiva molto stanco, voleva chiudere gli occhi e dormire per molto, molto tempo; magari per sempre. Di certo non era la morte a spaventarlo... no. Erano i vivi a fargli paura. Per questo sapeva che doveva resistere in modo da sistemare le cose o, quanto meno, una parte. C'erano così tante cose da fare e da raccontare. Sospirò e allungò la mano destra accanto a sé sul letto, accarezzando le lenzuola grezze. Quella parte di letto era vuota da troppo tempo. Valla lo aveva lasciato da 16 anni. Ricordava fin troppo bene il giorno in cui l'aveva conosciuta e anche quello in cui l'aveva persa.

Lei era una grande guerriera. Era fiera. Non aveva paura. Aveva una mente brillante e aperta. Ed era bellissima. Purtroppo però tutte quelle sue eccezionali caratteristiche l'avevano portata alla morte.

Atreo tornò indietro negli anni con la mente. Tornò a quel giorno di pioggia incessante...

La pioggia picchiava forte sulle loro teste, scivolando sulle loro tute di pelle e impregnando i loro capelli. I ricci rossi di Valla si attaccavano sul suo volto attento, solcato da leggere rughe. Gli occhi rimanevano instancabilmente fissi nello spiazzo di cemento davanti a loro, in attesa che i loro interlocutori arrivassero.

<<Val>> Atreo si accostò vicino a lei con fare protettivo << sarebbe meglio se ci mettessimo al riparo, e non solo dalla pioggia. Gli umani potrebbero non rispettare gli accordi e tenderci una trappola. Se ci nascondessimo tra gli edifici...>>

<<No, sono sicura. Verranno da soli. Ho visto i loro occhi: hanno paura, e non di noi. Hanno paura dei loro simili, e per i loro simili. Non sarà una trappola.>> Valla continuò a scrutare le sagome all'orizzonte mentre Atreo scosse la testa sempre più preoccupato. Iniziava a pentirsi di ciò che stavano facendo. Sarebbero finiti in grossi guai se le cose non sarebbero andate come dovuto. A rischio non c'era soltanto la sua posizione come futuro Capoclan, ma anche la sua vita e quella di Valla.

Poi da sotto la nebbia spuntarono delle figure nere, interamente coperte da una corazza spessa e lucida. I tre umani camminavano a passo incerto, le loro teste rivolte verso i due Radiati, le mani poggiate sulle impugnature delle loro armi.

Val si fece sfuggire un piccolo sorriso soddisfatto, ma tornò presto seria e il suo volto divento freddo e duro come la giada. Colmò la distanza che li separava, lasciando che la pioggia la investisse con tutta la sua forza.

<< Siete venuti.>>

<<Perché avevi qualche dubbio?>> la voce che si levò dal trio era quella di una donna. Infatti la figura più sottile si fece avanti mettendosi davanti alla Radiata e puntando i suoi occhi cerulei in quelli scuri di Val. Quest'ultima per la seconda volta represse il sorriso che le era spuntato sulle labbra: erano sorprendenti gli umani, più di quanto si fosse mai aspettata.

<<Nessuno.>> La Radiata si guardò attorno con fare circospetto. <<Ora andiamo però. Dei Radiati e degli umani che si incontrano nello stesso luogo senza tentare di uccidersi è alquanto sospetto. Seguiteci.>>

Si addentrarono nel labirinto di edifici, i quali piangenti, li osservavano dall'alto, curiosi e forse anche consapevoli, di cosa avessero intenzione di combinare. Scelsero una vecchia casa, dalle finestre ancora intere e con un piccolo portico sul davanti: all'interno la casa sembrava quasi intatta, come se il caos scoppiato all'esterno non l'avesse toccata minimamente, fatta eccezione per lo sporco e le rifiniture consunte dal tempo.

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