Capitolo 14

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Narra Lali:
La scuola, era l'incubo, anche di chi non soffriva di bullismo come me. A me la scuola non era mai dispiaciuta, mi sedevo da sola e quando non si faceva lezione leggevo ed ascoltavo musica, ascoltavo le lezioni ed andavo abbastanza bene a scuola. Poi, una settimana dopo la morte di mio fratello, dopo il funerale, tornai a scuola e non ero più la ragazza invisibile, all'improvviso ero quella che aveva perso il fratello perché si era suicidato, nei corridoi la gente mi indicava e sussurrava, alcune persone con cui avevo fatto amicizia in mensa avevano preferito cambiare tavolo o addirittura mangiare alzati, le ragazze più grandi avevano iniziato a prendermi in giro per come mi vestivo, per come camminavo, ed i ragazzi mi facevano cadere o mi facevano altri dispetti. Ma io non ci facevo quasi caso, attraversavo il corridoio con lo sguardo rivolto a terra e la musica a tutto volume nelle orecchie, cercavo di passare inosservata, data la mia altezza, a volte quel trucchetto funzionava, ma il fatto che fossi diversa dagli altri nell'aspetto, non aiutava a mimetizzarmi. -Moscerino, hai perso qualcosa- disse Melody, la capo cherleadr. Mi girai verso di lei, in mano aveva un peluche di stoffa a forma di coniglio marrone e con gli occhi grandi e verdi, era il primo regalo che mi avesse fatto Daniel e ci tenevo molto. Lo tenevo chiuso nel'armadietto della scuola, perché quando mi sentivo giù, lo accarezzavo, lo abbracciavo e quello mi faceva stare meglio. Melody lo teneva per un orecchia, facendolo dondolare avanti ed in dietro. -Ridamelo- dissi, togliendomi le cuffie ed avvicinandomi a lei. Lei mi squadrò e rise di gusto, insieme alle sue amiche, che ridessero per i miei vestiti, una felpa nera che era aperta e lasciava vedere la maglietta di sotto sempre nera con sopra disegnato un teschio, i pantaloni di jeans neri e delle scarpe da ginnastica bianche rovinate e rotte. Oppure stava ridendo dei miei capelli, liberi e scompigliati, o del fatto che ero troppo magra ed avevo un colorito di pelle cadaverico, o forse della mia voce che sembrava ancora quella di una ragazzina, la verità era che non lo sapevo e più di tanto non me ne importava. -Perché dovrei?- mi chiese. -Perché è mio- le risposi. -Chi trova tiene- disse lei di risposta. Ringhiai. -Ma non l'hai trovato, l'hai rubato- le dissi io. Lei alzò un sopracciglio -Hai qualche prova?- mi chiese con aria innocente, cosa che mi fece infuriare ancora di più. Presi il coniglio dalle sue mani con uno scatto veloce e mi misi a correre verso l'uscita, non mi andava di rimanere a scuola. -Sei proprio una bambina- sentivo che mi gridava dietro, ma finsi di non sentirla. Stavo correndo senza guardare, quindi non è un caso che finii addosso a qualcuno, un petto duro, per l'impatto stavo cadendo all'in dietro, ma le sue braccia mi presero in tempo, incorniciandomi tutto il corpo. Lottai per liberarmi, il contatto con altre persone non mi era mai piaciuto. -Lasciami o mi metto ad urlare- gli intimai. -Calmati- disse la sua voce, dolce e vellutata, la sua bocca era accanto al mio orecchio ed il suo respiro mi faceva il solletico e mandava brividi per tutto il mio corpo. Riconobbi quella voce, il suo odore, il suo calore, così familiare. Alzai lo sguardo su un viso che conoscevo bene, che avevo imparato ad associare alle mille emozioni che mi faceva sentire, due occhi verdi e profondi ed una bocca sottile e rosea, che stava sorridendo. Istintivamente mi ritrovai a sorridergli come un ebete. -Che fai qui?- gli domandai, rendendomi conto di dove mi trovavo e che era strano che si trovasse lì. -Ero venuto a trovarti, dovevo vedere come stavi nell'ambiente scolastico, parlare coi professori, il preside, i tuoi amici- mi spiegò lui. Quando pronunciò la parola amici feci una smorfia, poco mascherata, lui se ne accorse, ne ero sicura, ma non mi chiese il perché di quell'espressione, il perché lo conosceva bene. -E tu? Cosa fai nel cortile della scuola, correndo verso l'uscita?- mi domandò lui. In un primo momento mi chiesi se mentirgli, ma ripensandoci sapevo che lui avrebbe capito che stavo mentendo, quindi decisi di dirgli la verità. -Non è iniziata nei migliori dei modi la giornata- gli spiegai. Lui alzò un sopracciglio, non sembrava molto convinto della mia risposta -E tu hai deciso di scappare?- mi chiese. -Dimmi la verità- abbassai lo sguardo sospirando. -Ho litigato con una mia compagna di scuola- gli confessai, senza entrare troppo nei dettagli. -Siete arrivate alle mani?- volle sapere lui, dopo quello che gli aveva detto il giudice, non ero meravigliata di quella domanda. Scossi la testa. -Cos'è successo?- mo domandò, e mi alzò il mento, in modo che lo guardassi negli occhi. Gli mostrai il coniglietto, quando lui posò i suoi occhi sul coniglio bianco di pezza che stringevo in mano, le mie guance si colorarono di un rossore accesso, mi chiesi cosa avrebbe pensato di me, del fatto che giocavo ancora coi peluche, lui era più grande, sicuramente si aspettava qualcuna di più matura. -è il coniglietto che ti ha regalato Daniel, giusto?- mi chiese. Feci cenno di si con la testa, mi chiesi come facesse a saperlo e poi mi ricordai che era il mio psicologo, che sapeva molto di più di me di ciò che avrei ammesso con altre persone. -Si- confermai. -Cosa centra lui?- mi domandò. -Me lo aveva preso- gli spiegai. -Peter, non costringermi a tornare lì dentro, non ci riesco- lo implorai. Lui riportò la sua attenzione su di me, incrociò il suo sguardo al mio e mi sorrise dolcemente, mi si avvicinò con calma, e posò le sue labbra sulle mie, era un bacio casto quanto fugace, infatti, dopo aver posato le sue labbra sulle mie, le tolse quasi immediatamente, dopotutto eravamo in un luogo pubblico, non poteva fare di più e nemmeno io. -Chiamo il giudice, gli spiego la situazione e poi mi accompagni a prendere una cioccolata calda- disse, estraendo il cellulare dalla tasca dei jeans ed allontanandosi un po'. Peter era il mio salvagente, perderlo mi avrebbe lasciato in mare aperto, sarei affogata. Strinsi forte il coniglio, lo guardai e gli dissi. -Daniel, dimmi che almeno lui è eterno- il coniglio non mi rispose, mi guardo coi suoi occhi vitrei privi di espressione. Io sospirai, avevo chiesto ad un coniglio di pezza se conosceva il mio futuro con Peter? Forse stavo uscendo realmente di senno. Sentì la sua mano che si intrecciava in torno alla mia, mi girai verso di lui -Andiamo?- mi chiese. Feci cenno di si con la testa ed insieme, mano nella mano oltrepassammo i cancelli della scuola, la mia prigione. Peter era la chiave per la mia libertà e per la mia felicità. Strinsi più forte la sua mano, avevo tanta paura di perderlo.   

Per sempre insieme LaliterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora