Capitolo 46

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Narra Lali:
Dire che è difficile sarebbe troppo poco. Respiro profondamente ed alcune nuvolette di vapore mi escono dalla bocca, un respiro ghiacciato. Apro la porta di casa. è da molto che non ci vengo, con la scusa di stare da Peter perché mi fa bene non torno a casa da giorni. Respiro l'odore di chiuso, di birra e di pizza. Odore di casa, almeno nel mio caso. Non mi sorprendo che non ci sia nemmeno una decorazione natalizia, già prima della morte di Daniel nessuno credeva in Dio in quella casa, ma il Natale lo festeggiavamo, era un modo per stare insieme senza litigare. Avevamo dei regali e per una volta sembravamo una famiglia vera. Ma dopo la morte di Daniel la parola famiglia non è ciò che utilizzo per definirci. Siamo tutti divisi da muri invisibili, chiusi nei nostri mondi a deprimerci, senza pensare al dolore altrui, senza pensare che quando si condivide il dolore diventa più facile da affrontare. Ma ripensando a Daniel, capisco che non è un pensiero diffuso tra i membri della mia famiglia. Vado in camera, facendo il minimo rumore possibile per non svegliare mia madre. La porta della sua camera da letto è aperta, la vedo stesa sul letto, gli occhi chiusi, respiro regolare. Ha il sonno leggero, si sveglia facilmente anche col minimo rumore, lo so bene. Ha il viso tirato e le mani lungo i fianchi, sopra la coperta, chiuse a pugno, sta facendo un incubo. La guardo per qualche secondo senza sapere cosa fare, baciarla e svegliarla, così per lo meno l'incubo finisce...ma ripensandoci la sua vita è un incubo, un incubo dal quale non può scappare, nel quale è rinchiusa perennemente ed ha tanto bisogno di risposare, dorme raramente. Decido di lasciarla in pace e salgo in fretta le scale, ma sempre cercando di fare il minimo rumore. Apro la porta della mia camera, ma prima di entrare la guardo. è sfoglia, perché ci hanno portato via, praticamente, tutto. Ho un letto, col materasso duro, un armadio alto più di me e che quasi tocca il soffitto, ho un comodino con su poggiata una lampada, un libro ed una foto della famiglia al completo quando io ancora ero piccola, quando il problema più grande che mi attanagliava era scegliere cosa fare da grande, quando ancora pensavo ci potesse essere una scelta, perché non sapevo ancora com'era il mondo. Non ho un computer, per utilizzarlo devo andare ad un internet caffè poco lontano, o da Peter. Però ho una scrivania, piena di libri, fogli volanti e note attaccate al muro e al ripiano in legno della scrivania. Svuoto lo zaino sul letto, faccio cadere qualche penna per terra, qualche foglio vola giù dal letto, ed i libri quando atterrano sul materasso pesante fanno uno strano rumore. Riempio lo zaino di vestiti e poi scendo giù in cucina, prendo delle bottigliette d'acqua e del cibo che non si deve cuocere, e poi frugo in quella che un tempo era la camera degli ospiti, ma ora è la camera di mio padre, e trovo dei soldi, soldi che prendo e metto insieme al resto nello zaino che poi, quando sento la porta di casa aprirsi nascondo sotto al letto. Faccio un respiro profondo per prepararmi. Apro la porta e scendo le scale, sta volta facendo rumore, per far capire che ci sono. Mio padre si gira a guardarmi, è seduto sul divano con una birra in mano ed il telecomando della televisione nell'altra. -Che fai qui?- mi domanda, è leggermente preoccupato ed anche nervoso. -Non dovresti essere a scuola?- stringo con forza le mani per farmi coraggio, il dolore delle unghie che scavano nella pelle mi da coraggio. -Si, dovrei- rispondo. La voce è dura, aliena alle mie orecchie, così strana, così diversa da come me la sarei aspettata, acuta, tremolante, ma no, sembra sicura, più sicura, certamente, della ragazza spaventata che la utilizza. Lui fa spallucce e si gira verso la televisione. Questo mi fa infuriare ancora di più. Non pensa di domandarmi come sto, non se ne preoccupa. Mi metto di fronte a lui, coprendogli la televisione. -Spostati- mi dice, facendomi pure segno con la mano. Io non lo faccio. Mi metto con le braccia conserte e lo fisso. -No- gli dico. Lui mi fissa stupito, più che furioso. -Come?- mi domanda. -Ho detto no- rispondo. Mi guarda più attentamente -è successo qualcosa?- chiede, sembra anche un po preoccupato, non me lo aspettavo. -Si. Mio fratello è morto- gli rammento. Lui mi guarda ancora più stranito, stupito da quella risposta, non se lo aspettava minimamente. -Si- dice lui, la voce addolorata e lo sguardo rivolto dietro la mia spalla, sulla mensola dove è posata la foto di Daniel. Non mi giro, anche se il mio corpo freme per farlo. Non mi dice che è successo tempo fa, che non è più cosa nostra, è un dolore forte, tenebroso, lui ha perso un figlio così come io ho perso un fratello. Riporta lo sguardo addolorato su di me, gli occhi gli luccicano per le lacrime, lacrime che so che non piangerà, non davanti a me. -Cosa c'è Lali?- mi domanda, la voce roca, addolorata, calda. Respiro profondamente. -Daniel non ti odiava- gli dico. Lui non mi fa domande. C'è l'ho a morte con lui, ma per lo meno questo voglio dirglielo, so che lui pensa che Daniel lo odiasse, ma non è così, però è qui che finiscono le cose belle che ho da digli. -Daniel era gay- gli rivelo dopo tanti anni in cui ero stata abituata a nasconderlo a tutti, perché così mi aveva chiesto mio fratello. Mi aveva detto che sopratutto i nostri genitori non dovevano saperlo, non ne sapevo il motivo,ora però lo so. -So cosa pensi dei gay e lo sapeva pure lui. Non si è suicidato per te, però non ti sopportava più, non solo per il tuo parere sui gay, ma per come sei, per come hai trasformato questa casa, per come hai distrutto questa famiglia, coi tuoi debiti di gioco, con l'alcol, col fatto che andavi a lavoro sempre meno. Daniel non ti odiava, non si è suicidato per te e ti voleva bene, ed anche io te ne voglio, ma non sei un bravo padre, pensavo che almeno questo dovevi saperlo, io e Daniel abbiamo lo stesso pensiero- gli dico tutto ciò che penso, tutto ciò che pensava mio fratello e che non gli ha mai potuto dire in faccia. Mi chino su di lui e gli do un bacio su una guancia. Un bacio sia da parte mia che da parte di mio fratello. Cerco di non respirare mentre gli sto vicino, puzza di alcol, fumo di sigaro e dolore. Non si muove. Quando mi allontano e mi reco verso le scale, però si gira verso di me. è a bocca aperta. Sento che lascia cadere la bottiglia ed il telecomando e scoppia in lacrime, pensando che io non lo possa sentire. Mi chiudo la porta alle spalle, chiudendo fuori mio padre ed i suoi lamenti. Lamenti che non ha mai dato a vedere, lacrime che non ha mai pianto per il figlio scomparso le piange ore, insieme a quelle della figlia che sa che non lo rispetta, che non lo vede come un buon padre. Mi stendo sul letto e chiudo gli occhi, ma senza dormire, aspetto...

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 13, 2017 ⏰

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